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«Alla sua salute…». Sul volto di Rochefort apparve per una frazione di secondo una parvenza di sorriso. «Borine santé, Monsieur l’Amiral».

Sorseggiarono le bevande. «Suvvia, non sia cosi serio», lo incalzò Cajal. «Un uomo del suo provato coraggio non deve aver paura dei superiori. Forse del suo capitano, sì, ma non di me. E poi, non le sto impartendo ordini. Al contrario, le ho chiesto tutto l’aiuto ed i consigli che può riuscire a darmi».

Rochefort aveva superato la fase della sorpresa. «Non riesco ad immaginare cosa, signore». Cajal diede il buon esempio bevendo una lunga sorsata della fresca bevanda. La sua, in un bicchiere con lo stemma, era stata annacquata.

Non che volesse far ubriacare Rochefort; voleva solo che si rilassasse e si sentisse ben disposto e speranzoso.

«Immagino lei sappia che è l’unico prigioniero che sia riuscito a fuggire», disse l’ammiraglio. «Incomprensibile. Essi ne hanno probabilmente non più di una o due dozzine, catturati da imbarcazioni danneggiate come la sua, e lei è stato incredibilmente fortunato. Però non sa che da Avalon abbiamo ricevuto altre visite».

«Disertori, signore? Ho sentito di qualche malcontento».

Cajal annuì. «Li hanno spinti paura, avidità, ed altri motivi più degni, il desiderio di ricavare il meglio da una situazione disperata ed evitare il futuro disastro. Sono riusciti a giungere fino a noi, uno ad uno, poche decine in tutto. Naturalmente sono stati sondati tutti, anche più profondamente di lei. Il suo psicoprofilo era già registrato; il Servizio Segreto ha dovuto solo accertarsi che non fosse stato manomesso».

«Non l’avrebbero mai fatto, signore», disse Rochefort. La sua conversazione era tornata viva e colorita. «Una delle cose più immorali che si possano commettere su Avalon è privare qualcuno del suo onore fondamentale. Ciò significa perdere il proprio». Si appoggiò alla poltrona e bevve un sorso veloce. «Mi scusi, signore».

«Non si scusi. Lei sta parlando esattamente nel modo che io desidero. Comunque mi faccia proseguire. I primi fuggiaschi non avevano molto di interessante da riferire. Ultimamente… Beh, non c’è bisogno di far conferenze. Un caso sintomatico servirà a chiarire meglio. Un mercante cittadino, arricchito dal commercio con i vicini mondi Imperiali. A lui non importa nulla se ci prendiamo il suo pianeta, purché la guerra non gli rovini le proprietà e le conseguenze non gli costino tasse extra. Spregevole o realista? Non importa. Il punto è che lui possedeva certe informazioni, e ne aveva certe altre che gli erano state passate perché le riferisse, da ufficiali molto in alto che fanno parte segretamente del gruppo pacifista».

Rochefort fissò Cajal da sopra l’orlo del suo bicchiere. «Lei teme una trappola, signore?».

Cajal allargò le mani. «La sincerità dei fuggiaschi è al di là di ogni dubbio. Ma, prima della partenza, furono loro forniti dati falsi? La sua storia è un’importante conferma delle loro».

«Riguardo il continente di Equatoria?», domandò Rochefort. «È inutile negare l’intelligenza dell’ammiraglio. Probabilmente, se non avessi ritenuto che quanto avevo udito poteva essere significativo, non avrei nemmeno cercato di fuggire. Comunque, ne so molto poco».

Cajal si tirò la barba. «Lei sa più di quanto crede, figliolo. Per esempio, la nostra analisi dello schema del fuoco del nemico, registrata nella prima battaglia di Avalon, rivela che Equatoria è un punto debole. Ora lei è stato sul luogo per mesi. Li ha sentiti parlare. Ha osservato i loro volti, i volti di persone che ha imparato a conoscere. Fino a che punto erano realmente preoccupati?».

«Um-m-m…». Rochefort bevve di nuovo. Cajal premette senza farsene accorgere un pulsante, segnalando la richiesta di altro alcool per il giovane. «Beh, signore, la… signora presso cui mi trovavo… Equatoria non faceva parte del suo dipartimento». Poi aggiunse frettolosamente: «Christopher Holm, il figlio maggiore del loro comandante in capo, sì, sembrava piuttosto preoccupato».

«Com’è questo posto? Specialmente quella regione, come si chiama? Ah, Scorpeluna. Stiamo raccogliendo tutte le informazioni che possiamo, ma con tanti mondi che ci sono intorno, chi si interessa di quelle zone deserte, se non chi ci vive?».

Rochefort raccomandò la lettura di un paio di libri. Cajal non si prese il disturbo di ricordargli che i computer del Servizio Segreto dovevano averli rintracciati in libreria giorni o settimane prima. «Nulla di speciale», proseguì il tenente. «Mi sono reso conto che si tratta di un largo e brullo altopiano, circondato da montagne che su Avalon definiscono alte, vicino al centro del continente, che, come l’ammiraglio sa bene, non è grande. C’è forse della selvaggina, ma non c’è da sperare di poter vivere di quello che offre». Si fermò per dare più enfasi alla frase. «Nemmeno delle truppe di contrattacco».

«E quelli, che hanno interi oceani da attraversare, verrebbero a trovarsi in definitiva più lontani da casa di quanto non lo siano i nostri dalle navi», mormorò Cajal.

«È uno sbarco pericoloso, signore».

«Non dopo che avremmo fatto fuori le postazioni locali. E quelle deliziose montagne protettrici…».

«Io la pensavo allo stesso modo, signore. Da quello che so delle attrezzature disponibili di produzione e di trasporto, e dell’organizzazione Ythrana, in genere piuttosto carente, non sono in grado di trasferire sul luogo grossi rinforzi con sufficiente velocità. Sia che la mia fuga li metta in allarme, sia che non lo faccia».

Cajal si piegò sullo scrittoio. «Immaginiamo di fare una cosa del genere», disse. «Immaginiamo di stabilire una base per navi e per missili terra-terra. Cosa pensa che farebbero gli Avaloniani?».

«Dovrebbero arrendersi, signore», rispose prontamente Rochefort. «Loro… io non pretendo di capire gli Ythrani, ma la maggioranza umana, beh, ho l’impressione che sarebbero molto più vicini di noi ad un Götterdämmerung, ma non sono pazzi. Se noi siamo lì, a terra, possiamo sparare su quel che ci pare: non indiscriminatamente così da rovinare il loro amato pianeta — è questa prospettiva che li tiene sui carboni ardenti — ma selettivamente, lanciando alla carica proprio i nostri corpi…». Scosse la testa. «Le chiedo scusa. Mi esprimo in maniera confusa. E poi, potrei anche sbagliarmi».

«Le sue impressioni confermano tutti gli studi xenologici che ho letto», gli disse Cajal. «Inoltre, le sue derivano da un’esperienza unica». Arrivò il nuovo drink. Rochefort sollevò qualche obiezione, ma Cajal gli disse: «Lo prenda, la prego. Io desidero che i suoi ricordi, la sua totale consapevolezza di quella società e di quell’ambiente vengano fuori a ruota libera. Questa non è una decisione facile. Ciò che lei mi dice non risolverà da solo il mio dilemma, ma ho bisogno di qualsiasi elemento, anche il più piccolo».

Rochefort lo fissò intensamente. «Lei vuole invadere, vero, signore?», gli domandò.

«Naturalmente. Non sono una macchina di morte. E nemmeno i miei superiori».

«Lo voglio anch’io. Corpo di Cristo», Rochefort si fece il segno della croce davanti al crocifisso, «come lo voglio!». Mise giù il suo bicchiere, ed aggiunse: «Una domanda, signore. Tirerò fuori tutto quello che posso. Ma se lei decide di svolgere questa operazione, può mettermi nel primo gruppo di assalto? Serviranno alcune Meteore».

«Quello è l’incarico più pericoloso, tenente», lo avvisò Cajal. «Non possiamo essere sicuri che non abbiano delle riserve nascoste. Perciò all’inizio non possiamo impegnarci troppo. Lei si è meritato qualcosa di meglio».

Rochefort sollevò il bicchiere, e se fosse stato di vetro, invece che di vitrile, l’avrebbe infranto nella sua stretta. «Io domando proprio ciò che mi sono guadagnato, signore».