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17

L’armata Imperiale accerchiò Avalon e l’attacco cominciò.

Una volta ancora navi e missili si lanciarono, dardi d’energia solcarono i cieli, globi infuocati esplosero e morirono, in uno spazio di migliaia e migliaia di chilometri quadrati. Stavolta quelli che guardarono da terra videro i bagliori risplendere, ora dopo ora, fino a che gli occhi nonne soffrirono, e videro il mondo diventare momentaneamente livido e gettare grandi ombre. La battaglia si spostava in avanti.

Nondimeno avanzò a passo misurato. Cajal aveva affrettato la sua decisione e scagliato la sua potenza con la massima velocità militarmente possibile — questione di giorni — per evitare che il nemico avesse il tempo di rafforzare quel suo punto vulnerabile. Ma adesso che era in ballo, non voleva correre rischi inutili. Bastavano quei pochi. E poi la situazione era del tutto diversa dalla precedente. Aveva a disposizione circa il triplo della forza, e non aveva preoccupazioni se anche i resti della marina avaloniana potevano agire di nascosto negli oscuri abissi del sistema di Laura. Le pattuglie riferivano, in base alle indicazioni strumentali, che essi si stavano raccogliendo alla distanza di una o due unità astronomiche. Poiché non mostravano alcuna intenzione di lanciarsi nella fornace, lui non vedeva il motivo di sprecare armi contro di loro.

Non ordinò nemmeno la demolizione definitiva dell’ammiraglia di Ferune, quando i robot all’interno riconobbero il nemico ed aprirono il fuoco. Fluttuava lontana, ed aveva scarse munizioni ed una portata di tiro troppo ridotta perché valesse la pena di perdere tempo con lek Era più semplice oltrepassare il povero vecchio scafo e le ossa che ne costituivano l’equipaggio.

Invece si concentrò sulla metodica riduzione delle difese planetarie. Il guscio più esterno era costituito dalle fortezze, alcune grandi, la maggior parte più piccole, in azione di pattuglia in centinaia di orbite inclinate a molti angoli rispetto all’eclittica. Rispetto alle navi spaziali vere e proprie avevano certi vantaggi. Potevano essere rifornite in continuazione dal basso. Quasi tutte interamente automatiche, erano meno versatili ma anche meno fragili dei nervi e della carne. Un certo numero delle più piccole non era nemmeno stato scoperto, finché non aveva avuto la ventura di strapazzare qualche terrestre di passaggio.

Tutto questo, comunque, era successo nel corso della prima battaglia. Di conseguenza la flotta assediante d’appoggio aveva potuto tracciare il grafico di ciascuna, distruggendone non poche ed impedendo ogni tentativo di rimpiazzarle. E nemmeno il lancio di salve da terra poteva più considerarsi una sorpresa. E nello spazio le navi avevano i loro vantaggi, per esempio la mobilità.

La tecnica generale di Cajal fu quella di spedire squadre ad alta velocità ed accelerazione. Non appena il bersaglio era a portata di tiro, esse sguinzagliavano tutto ciò di cui disponevano e poi applicavano immediatamente vettori imprevedibili per sfuggire al fuoco di risposta. Se la prima ondata falliva, seguiva subito una seconda, una terza, una quarta… finché la difesa non era saturata e la stazione esplodeva in vapori e frammenti. Non avendo adesso alcun motivo di proteggersi le spalle o le linee di rifornimento, Cajal poteva largheggiare con le munizioni, e infatti lo faceva.

Le navi spaziali, in tutto quel movimento, erano obiettivi virtualmente disperati per i missili che dovevano sollevarsi nell’atmosfera, vincendo la forza di gravità, partendo da velocità iniziale zero. Gli Avaloniani se ne accorsero ben presto e desistettero in seguito da quella manovra.

Il piano di Cajal non richiedeva la preventiva distruzione di ciascuna unità orbitale. Sarebbe stato talmente costoso che avrebbe dovuto fermarsi ed attendere ulteriori rifornimenti da parte dell’Impero; e invece lui aveva fretta. Decise perciò che era necessario neutralizzare la luna, e per un po’ Morgana fu circondata e tempestata a tal punto che le montagne crollarono e le valli si liquefecero.

Per il resto, nel complesso, gli Imperiali puntarono su quelle fortezze che, nelle loro orbite sempre mutevoli, avrebbero potuto minacciare la prima forza di sbarco nella data prevista dallo schema tattico. Limitando così il suo obiettivo, Cajal riuscì a concentrare efficacemente tutte le sue energie. Quelle ore brucianti, che raggiunsero i due giorni avaloniani, videro la più rapida penetrazione mai effettuata in difese così robuste.

Inevitabilmente subì delle perdite. Perdite che aumentarono quando le sue navi cominciarono a passare così vicine al di sopra dell’atmosfera che i proiettori e le postazioni di missili di stanza al suolo presero a funzionare con grande efficacia. Il passo successivo fu quello di rendere impotenti alcune di quelle armi, insieme a certe altre installazioni.

Il capitano Ion Munteanu, addetto al comando del tiro a bordo del Phobos, istruì i suoi ufficiali mentre la nave si lanciava in avanti.

«La nostra è una missione speciale, come dovete aver intuito dal tipo di vascello che ci è stato assegnato. Non stiamo andando a dare una ripulita ad un posto che dà fastidio ai ragazzi. Siamo diretti verso una città. Vedo una mano. Domande, guardiamarina Ozumi?».

«Sì, signore. Due. Come e perché? Noi possiamo lanciare siluri e missili da richiamo a sufficienza, ed abbastanza funzionali, al punto che se insistiamo abbastanza a lungo, qualcuno dovrà per forza attraversare o aggirare i negacampi, ed esplodere dove può fare un bel lavoro. Cioè contro bersagli militari. Ma senza dubbio le loro città avranno una protezione più efficace».

«Lei forse vuole insegnare a chi ne sa di più, guardiamarina? Certamente che l’avranno. Attrezzature potenti e complicate, più una protezione esterna costituita da missili terra-aria. Noi bombarderemo quanto più e quanto meglio possiamo, in modo che la detonazione avvenga ad alta quota substratosferica. Lo schema che sto per mettere in atto dovrebbe consentire ad almeno un’unità di raggiungere quel livello prima di essere intercettata. Se no, ricominceremo da capo».

«Signore, lei non intenderà distruggere un continente!».

«No, no. Si calmi. Si ricordi che questa nave non è nemmeno attrezzata per una cosa del genere. Abbiamo ordini di non danneggiare irreparabilmente i beni immobili di Sua Maestà. No, si tratterà di armi pesanti e crudeli, è vero, ma pulite, e regolate per scaricare il loro contenuto direttamente sul bersaglio, prevalentemente sotto forma di radiazioni. I disintegratori non servirebbero a molto, contro i negacampi. Daremo una spruzzata alla parte centrale della città, ed il Servizio Segreto mi riferisce che i settori periferici sono altamente infiammabili».

«Signore, non voglio annoiarla. Ma perché facciamo una cosa del genere?».

«Non per capriccio, Ozumi. Bisogna effettuare uno sbarco. La guerra dall’esterno potrebbe durare un bel po’. Questa particolare città, Centauro, come la chiamano loro, è il porto principale e la capitale industriale. Non lasceremo che continui a rifornire i nostri nemici».

La fronte di Ozumi era cosparsa di goccioline di sudore. «Donne e bambini…».

«Se hanno un po’ di buon senso, devono già aver evacuato tutte le persone non essenziali», scattò Munteanu. «Onestamente, non me ne importa un accidente. L’ultima volta ho perso un fratello, qui. E se ha finito di piagnucolare, possiamo metterci al lavoro».

Quenna volava lentamente al di sopra del canale di Livewell Street. Era caduta la notte, una notte chiara, contrariamente a quasi tutte le notti degli opprimenti inverni del Delta. Per quello, ed anche a causa dell’oscuramento, poteva vedere le stelle. La spaventarono; ce n’erano troppe, di quelle piccole cose fredde ed ostili. E non erano soltanto stelle, le era stato detto. Erano soli, e da essi veniva la guerra, quella guerra che aveva messo sottosopra il mondo.

Era stato bello dapprima, con tutto quell’andirivieni di Ythrani, e il tintinnio nei borsellini, e i momenti in cui dimenticava tutto tranne la bellezza del maschio e il suo amore; in mezzo a loro, poteva permettersi sbronze e droghe per sentirsi felice, soprattutto alle feste. Le feste erano un’idea umana, a quanto aveva sentito (chi era stato a dirglielo? Cercò di ricordarsi il volto, il corpo. E ci sarebbe anche riuscita, se l’uno e l’altro non si fossero confusi tra le voci, la musica ed il fumo che inebriava). Una buona idea. Come le era sembrata la guerra. Amore, amore, amore, risate, risate, risate, sonno, sonno, sonno, e se poi ti svegli con la lingua cattiva e gli aghi che ti trafiggono la testa, poche pillole ti rimetteranno subito in sesto.