Выбрать главу

«Spazzate via tutto quanto hanno ancora in orbita», disse Cajal. «Abbiamo bisogno di campo libero per spostare in continuazione i nostri trasporti».

Il capo del personale si schiarì la gola. «Hr-r-m, l’ammiraglio sa delle navi nemiche?».

«Sì. Stanno accelerando verso l’interno. È piuttosto chiaro che tutte quelle che possono, cercano di dirigere verso il pianeta in caduta libera; le altre fanno azione di disturbo».

«Non dovremmo cercare di intercettarle?».

«Non possiamo sprecare mezzi. Spazzare via quelle fortificazioni esaurirebbe buona parte delle nostre sforze. Il nostro primo compito è quello di tirar fuori gli uomini dal vicolo cieco in cui noi… io… li ho cacciati». Cajal si irrigidì. «Se si possono ragionevolmente risparmiare alcune unità di lavoro orbitale, sì, che vadano pure a caccia di tutti gli Avaloniani che possono, purché usino le munizioni con molta parsimonia, e si servano soprattutto delle armi a energia. Io dubito che riusciranno a farne fuori molti. Gli altri dovremo lasciarli andare per i fatti loro, forse con qualche rimpianto da parte nostra». Emise una risatina metallica. «Come diceva sempre all’Accademia il vecchio professore Wu-Tai, ti ricordi, Jim? "La prova migliore che si può sempre prendere una decisione è la nostra stima fallace delle probabilità"».

Le tempeste tropicali su Avalon erano più furiose di quanto potesse immaginare chi proveniva da un pianeta con minore irradiazione e rotazione più lenta. Per un giorno e una notte, l’imbarco degli uomini più gravi dovette essere rimandato. Oltre alla possibilità di perdere il vagone-trasporti, c’era la certezza che quelle piogge brucianti avrebbero ucciso qualcuno mentre veniva trasportato dalle baracche alle passerelle.

Quelli più o meno sani, atterrati di recente, dovettero lottare per erigere degli argini. I rapporti, appena udibili e gracchianti in mezzo alle scariche di elettricità statica, riferivano che da ogni ruscello si riversava un’ondata dirompente.

Nessuna di queste condizioni riguardava Rochefort. Lui si trovava a uno stadio intermedio, troppo malridotto per lavorare, troppo sano per richiedere un trasporto immediato. Seduto su una sedia, era accalcato in mezzo a centinaia di suoi compagni, in un bunker puzzolente ed esalante vapori, cercando di dominare i brividi e la nausea che lo attraversavano ad ondate successive, e talvolta pensava indistintamente a Tabitha Falkayn e talvolta ad Ahmed Nasution, che era morto tre giorni prima.

Le navi avaloniane che erano riuscite a passare attraverso lo sbarramento discesero su Equatoria, dove ufficiali della guardia nazionale assegnarono loro le rispettive posizioni.

La tempesta ebbe un’ultima sfuriata prima di cessare. I primi vascelli imperiali decollarono dalla base semidistrutta. Erano navi da guerra, che sondavano il terreno per le improvvisate navi-ospedale imbottite di uomini che dovevano seguirle. Dei caccia giunsero in appoggio abbandonando la loro orbita.

Daniel Holm era seduto di fronte ad un analizzatore, che inviavia le sue parole ed il suo volto ossuto alle trasmittenti più potenti del pianeta, collegate fra loro. Una trasmissione che non si poteva fare a meno di sentire:

«… Stiamo bloccando la loro rotta di fuga. Non potete far fuoco su di noi in tempo utile per salvare un numero di uomini che, secondo i nostri calcoli, ammonta ad un quarto di milione. Anche se non resistessimo, forse la metà di loro non ce la farebbe mai a sopravvivere per ricevere le cure adeguate. E non voglio neppure pensare agli altri… danni agli organi, ai nervi, al cervello, ben oltre le possibilità di rigenerazione della moderna medicina.

«Noi possiamo salvarli. Noi di Avalon. Abbiamo a nostra disposizione le attrezzature, su tutto il pianeta. Letti, équipe di infermieri, equipaggiamento per le diagnosi, droghe adeguate, trattamenti di sostegno. Le vostre squadre d’ispezione ed il vostro personale medico saranno i benvenuti. Il nostro desiderio non è quello di far manovre politiche sulla pelle di esseri umani. Nel momento in cui voi accetterete di rinnovare il cessate il fuoco e di far indietreggiare la vostra flotta garantendoci la sicurezza, le nostre squadre di salvataggio prenderanno il volo per Scorpeluna».

18

La corsia era pulita e ben diretta, ma vi si dovevano affollare quaranta uomini e non c’era nemmeno uno schermo; del resto, i programmi locali non avrebbero interessato gran parte di loro. Comunque non avevano alcun passatempo se non leggere e lagnarsi fra loro. In gran parte preferivano il secondo. Dopo un po’ Rochefort aveva chiesto delle cuffie antirumore in modo da potersi dedicare alla lettura dei libri che gli erano stati prestati. E le teneva quasi tutto il giorno.

Perciò non udì il coro di battute salaci. Solo quando qualcuno gli toccò una spalla, si rese conto di qualcosa. Ehi, pensò. È già ora di pranzo? Sollevò gli occhi da Il popolo di Gaiila e vide Tabitha.

Il cuore gli esplose nel petto e prese a battere furiosamente. Le mani gli tremavano a tal punto che riuscì con difficoltà a togliersi le cuffie.

Lei se ne stava in piedi di traverso nella stanza che odorava di antisettici, e si stagliava contro una finestra alle sue spalle, aperta all’azzurro ed ai germogli della primavera. Una semplice tuta nascondeva le curve ed il portamento eretto. Le vide il volto che aveva perso qualche chilo. Le ossa sporgevano ancor più evidentemente di prima, sotto la pelle più scura ed i capelli resi chiari da un sole più forte di quello che brillava su Gray.

«Tabby», bisbigliò, ed allungò una mano verso di lei.

Lei gliela prese, senza stringere né sorridere troppo. «Ciao, Phil», gli disse con la familiare voce roca. «Hai un aspetto migliore di quanto mi aspettassi, quando mi hanno detto che avevi tre tubi dentro il corpo».

«Avresti dovuto vedermi prima». Senti che le sue parole tremavano. «Come va? Come stanno gli altri?».

«Io sto bene. E stanno bene anche molti di coloro che conosci. Draun e Neysslan sono morti».

«Mi dispiace», mentì lui.

Tabitha gli lasciò la mano. «Sarei dovuta venire prima», disse, «ma ho dovuto aspettare una licenza, e poi ci è voluto del tempo per controllare in quelle interminabili liste di pazienti e trovare un trasporto fin qui. C’è ancora tanta disorganizzazione e molte carenze». Gli occhi erano verdi e seri. «Non ero nemmeno sicura che fossi su Avalon, e se fossi vivo o morto. Mi ha fatto piacere, quando ho saputo che eri vivo».

«Come potevo restare lontano… da te?».

Lei abbassò le palpebre. «Come va la tua salute? Qui sono tutti troppo occupati per perdersi in dettagli».

«Beh, quando mi sarò rimesso un poco vogliono spedirmi su una regolare nave ospedale della marina Imperiale, togliermi il fegato e sostituirlo con uno nuovo. Forse potrebbe volerci un anno terrestre, per riprendermi del tutto. Ma mi hanno promesso che ce la farò».

«Splendido». Il suo tono era molto formale. «Ti trattano bene, qui?».

«Per quanto è possibile, sì, a pensarci bene. Ma i miei compagni di stanza non sono proprio il mio tipo, e i medici e gli assistenti, sia Imperiali che Avaloniani, non possono sospendere il lavoro per chiacchierare con me. Sono stato molto solo, Tabby, finché non sei venuta».

«Cercherò di tornare a farti visita. Ti renderai conto che sono in servizio attivo, e buona parte del tempo che mi rimane devo passarlo a St. Li».

La debolezza sembrò aggredirlo di nuovo. Si abbandonò contro i cuscini e lasciò cadere le braccia sulla coperta. «Tabby… hai intenzione di aspettare… per quest’anno?».