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La guardia d’onore lo salutò e lo ammise alla presenza di Ferune. (Holm non sopportava tutta quella cerimoniosità inutile, nel suo dipartimento, ma riconosceva l’importanza che aveva per gli Ythrani). La stanza interna era tipica: spaziosa e scarsamente ammobiliata, poche austere decorazioni, un banco, un tavolo e del macchinario da ufficio adattato alle esigenze ornitoidi. Invece di una diapositiva, sulla parete c’era una vera finestra, enorme, aperta e da cui entrava una brezza profumata di giardino, con un panorama di Gray e delle acque scintillanti della baia.

Ferune vi aveva aggiunto diversi souvenir di altri pianeti ed una libreria piena di copie dei classici terrestri, che leggeva per diletto in tre lingue originali. Piuttosto piccolo, con le piume rossicce, aveva in sé un pizzico di iconoclastia. Il suo gruppo, Mistwood, era sempre stato uno dei più avanzati di Avalon, meccanizzato come una comunità umana e, di conseguenza, grande e prospero. Era piuttosto insofferente nei confronti della tradizione, la religione, e qualsiasi forma di conservatorismo. Tollerava un minimo di formalità perché non poteva farne a meno, ma non aveva mai affermato di apprezzarla.

Saltando dal suo trespolo, si diresse a piccoli balzi verso Holm, stringendogli le mani secondo il costume terrestre. «Kh-r-r, lieto di vederti, vecchio furfante!». Parlava in Planha; le gole Ythrane sono meno versatili di quelle umane (benché naturalmente nessun umano potrà mai pronunciare esattamente i loro suoni) e lui voleva evitare sia la seccatura di chiedere un vocalizzatore, sia la stravaganza di un accento scorretto.

«Com’è andata?», gli chiese Holm.

Ferune fece una smorfia. Ma non è la parola esatta. Le sue penne non erano semplicemente più intricate di quelle degli uccelli terrestri, ma collegate molto più strettamente ai muscoli ed alle terminazioni nervose, ed i loro movimenti costituivano un intero universo espressivo su cui l’uomo non avrebbe mai potuto contare. Irritazione, inquietudine, rabbia sotterranea e sgomento fecero fremere tutto il suo corpo.

«Huh». Holm trovò una poltrona progettata per gli umani, vi si sprofondò e si portò il tabacco piccante alla lingua. «Dimmi».

Gli artigli ticchettarono sul legno piacevolmente venato, mentre Ferune passeggiava su e giù. «Detterò un rapporto completo», disse. «In breve, è peggio di quanto temessi. Sì, stanno cercando affannosamente di organizzare un comando unificato e di cacciare in testa ad ogni capitano l’idea dell’azione come dottrina. Ma non hanno la più piccola nozione in proposito».

«Dio onnipotente», esclamò Holm, «sono cinque anni che glielo andiamo ripetendo! Io pensavo… oh, al diavolo, le comunicazioni sono così approssimative, in questa cosiddetta marina da guerra, che non ho altro su cui basarmi se non delle impressioni, e credo che siano quelle sbagliate… Insomma tu lo sai che io pensavo, che noi pensavamo di essere già a buon punto sulla strada di una certa riorganizzazione».

«Lo eravamo, ma la cosa non è durata. Eccessivo orgoglio, litigi, dispute sui dettagli. Noi Ythrani — almeno la nostra civiltà dominante — non ci troviamo a nostro agio in una struttura strettamente centralizzata». Ferune fece una pausa. «In realtà», proseguì poi, «l’argomento più convincente contro un’eventuale rinuncia alla nostra organizzazione planetaria separata e scarsamente coordinata in favore di una struttura gerarchica sul modello terrestre è stato che la Terra potrà contare su forze di gran lunga più notevoli, ma queste devono controllare un volume di spazio assai più vasto di quanto non debba fare il Dominio; e se ci dichiara guerra, esse verranno a trovarsi in fondo ad una linea di comunicazioni così lunga che un’azione unificata si rivelerà controproducente».

«Huh! E a quei cervelli di gallina di Ythri non è venuto in mente che l’Impero non è stupido? Se la Terra attacca, non sarà dalla Terra che la guerra comincerà, ma da un settore vicino ai nostri confini».

«Abbiamo notato ben pochi segni di attività militare nei sistemi confinanti».

«Certamente!». Holm batté il pugno sul bracciolo della poltrona. «Perché mai dovrebbero rivelare i loro preparativi? Voi lo fareste? Si riuniranno nello spazio, a parsec di distanza da qualsiasi stella, riducendo al minimo il traffico fra il punto di raccolta della flotta e qualsiasi pianeta nel quale i nostri esploratori possano mettere il naso. In uno spazio di pochi anni luce cubici possono nascondere una potenza capace di spazzarci via dall’universo».

«Me l’hai già detto altre volte», replicò amaramente Ferune. «Ed io l’ho riferito. Con scarso successo». Smise di passeggiare, e per un po’ nella stanza regnò il silenzio.

La luce gialla di Laura disegnava ombre di foglie sul pavimento. Rabbrividirono entrambi.

«Dopo tutto», disse Ferune, «i nostri sistemi ci hanno salvato, durante i Tumulti».

«Non puoi paragonare avventurieri, pirati, conquistatori da strapazzo, barbari che non avrebbero mai fatto un passo al di fuori della loro atmosfera se non avessero avuto la ventura di acquistare delle navi praticamente autofunzionanti… non puoi paragonare tutta quella marmaglia con le mani sporche di sangue alla Terra Imperiale».

«Lo so», replicò Ferune. «Ma il punto è questo: i sistemi Ythrani hanno funzionato perché sono in accordo con la natura Ythrana. Nel corso di quest’ultimo viaggio ho incominciato a domandarmi se un tentativo di diventare povere copie dei nostri rivali non possa essere fatale. Il tentativo è stato fatto, capisci — avrai particolari in abbondanza — ma può darsi che non ne ricaveremo altro che confusione. Ho deciso che mentre Avalon deve fare ogni sforzo per collaborare, nello stesso tempo si deve aspettare ben poco aiuto dall’esterno».

Cadde di nuovo il silenzio. Holm guardò il suo superiore, collega, amico da anni; e non per la prima volta si rese conto di quanto fossero estranei tra loro.

Si trovò a fissarlo come se non avesse mai visto in faccia un Ythrano.

In piedi, il Governatore era alto circa centoventi centimetri, dai piedi alla punta della cresta; un individuo alto avrebbe raggiunto più o meno i centoquaranta, diciamo fino a metà petto di Holm. Dal momento che il corpo era inclinato in avanti, l’altezza effettiva dal muso alla coda era leggermente superiore. Pesava sui venti chili, e la specie non superava mai i trenta.

La testa sembrava scolpita, e dalla fronte bassa sporgeva all’indietro per contenere il cervello. Una cresta ossuta si inarcava giù per la fronte terminando in un paio di narici, appena nascoste dalle penne, e le narici sovrastavano una bocca flessibile, con una lingua color porpora e molti denti bianchi e aguzzi. La mascella, piegata verso il basso e piuttosto delicata, si fondeva con un collo robusto. Il volto era dominato dagli occhi, grandi e color ambra, e dalla cresta piumata fitta e smerlettata che si ergeva sulla fronte, sollevandosi al di sopra della testa e poi correndo giù fino a metà del collo: in parte a scopi aerodinamici, in parte come elmo per proteggere le ossa sottili del cranio.

Il torso sporgeva in avanti con un vistoso osso carenato, che nella sua estremità inferiore era fiancheggiato dalle braccia. Come forma e dimensioni, queste non erano molto dissimili da quelle di un umano un po’ magro; non avevano penne e la pelle era di un color giallo scuro, nella razza di Ferune, mentre in altre sottospecie Ythrane era marrone o nera. Le mani assomigliavano meno a quelle di un uomo. Ciascuna era dotata di tre dita racchiuse tra due pollici; ciascun dito possedeva un’articolazione in più rispetto al corrispondente umano, ed un’unghia che si poteva meglio definire un artiglio. Dalla parte interna del polso spuntava uno sperone. Le mani erano grandi in proporzione alle braccia, e percorse da muscoli guizzanti; si erano evolute come strumenti per lacerare, in appoggio ai denti. Il corpo terminava in una coda piumata a forma di ventaglio, abbastanza rigida da poterlo sostenere, quando era necessario.