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«Che cosa dite?», mormorò Cajal, ormai un vecchio.

«Non abbiamo desiderio di combattere», dichiarò Liaw, «o di peggiorare la sofferenza dei nostri fratelli. Però non possiamo cedere ciò che il nostro popolo si è guadagnato a caro prezzo».

«Governatore Holm?».

«Lei non rinnoverà il suo attacco finché abbiamo qui i suoi uomini», rispose a bruciapelo l’uomo. «Non li terremo per sempre. Gliel’ho già detto, noi non negoziamo sulle spalle degli esseri viventi. Però il momento ed i modi del loro rilascio dovranno essere discussi».

Lo sguardo di Cajal si trasferì sull’ultimo schermo. «Presidente Vickery?».

La risposta fu accompagnata da un sorriso da politico. «Gli eventi mi hanno costretto a mutare la mia opinione riguardo al quadro strategico, ammiraglio. Rimango saldo nella mia opposizione alle tendenze assolutiste. Il mio stimato collega, il Governatore Saracoglu, mi ha sempre fatto l’impressione di essere un individuo estremante ragionevole. Lei è appena ritornato da un prolungato colloquio con lui, al quale hanno preso parte senza dubbio molte persone intelligenti e ben informate. Non è emersa alcuna possibilità di compromesso?».

Cajal si chinò, quasi fosse oppresso da un peso. «Potresti discutere e mercanteggiare per giorni», disse. «A che serve? Mi servirò dei miei poteri discrezionali e metterò subito davanti a voi il massimo che sono autorizzato ad offrirvi».

Holm abbrancò i braccioli della poltrona.

«Il governatore ha fatto notare che Avalon ha già soddisfatto gran parte dei termini dell’armistizio», disse a fatica l’ammiraglio. «Le sue fortezze orbitanti non esistono più. La sua flotta è ridotta in frammenti il cui sequestro, come richiesto, non farebbe per voi alcuna reale differenza. Cosa più importante, le unità imperiali si trovano ora sul vostro pianeta.

«Non rimane nulla se non qualche particolare tecnico. Ai nostri feriti ed ai nostri medici deve essere conferito il nome riconosciuto di forze di occupazione. Deve essere stabilito un comando sulle vostre attrezzature militari; uno o due uomini per stazione saranno sufficienti per soddisfare a questa richiesta e non costituiranno alcuna minaccia, per quanto concerne un’eventuale presa di potere nel caso che la tregua venisse meno. Eccetera. Potete vedere qual è l’idea generale».

«Salvare la faccia», grugnì Holm. «Uh-huh. Perché no? Ma che succederà in seguito?».

«Rimane da stipulare il trattato di pace», disse la voce, sempre più prosciugata. «In confidenza, posso dirvi che il Governatore Saracoglu ha inviato all’Impero la sua più viva raccomandazione perché Avalon non venga annesso».

Vickery fece per farfugliare qualcosa. Liaw rimase impassibile. Holm respirò pesantemente e si appoggiò contro lo schienale.

Ce l’avevano fatta. Ce l’avevano fatta davvero.

Le chiacchiere sarebbero continuate, sarebbero continuate all’infinito, insieme ad un gran numero di insignificanti particolari e di interminabili pignolerie. Ma non importava. Avalon sarebbe rimasto Ythrano… sarebbe rimasto libero.

La sua prima felicità, tranquilla ed intensa, fu di sapere che quella sera avrebbe potuto tornare a casa da Rowena.

19

Non ci furono intuizioni istantanee, né rivelazioni e riconciliazioni drammatiche. Ma Arinnian avrebbe ricordato una certa ora.

Il lavoro per suo padre aveva cessato di essere così pressante. E lui si rese conto che avrebbe dovuto utilizzare il tempo libero che aveva riguadagnato per riprendere i suoi studi. Poi decise che nulla era meno pratico della praticità fuori posto, e Tabitha fu d’accordo con lui. Lei si fece assegnare un incarico che non richiedeva molta attività. Alla fine, magari, avrebbe dovuto tornare alla sua isola a rimettere in ordine le sue cose, ma per il momento era ancora confinata a Gray. Lui chiamò Eyath al visifono nella stanza che aveva preso in affitto. «Ehm, che ne diresti di una gita in barca?».

, rispose lei con ogni penna.

Le condizioni erano poco meno che perfette. Ma quando la barca lasciò la baia, venne la pioggia. Lo scafo scivolava sulle onde increspate color oliva scuro, emettendo un rumore sordo; dal cielo nascosto scrosciava l’acqua a grandi sciabolate che si infrangevano sulla pelle, veniva giù in gelidi zampilli e schiumava dove toccava il mare.

«Andiamo avanti?», le domandò.

«Mi piacerebbe». Lo sguardo di lei cercò la terraferma, un’ombra verso poppa. Non c’erano altri vascelli in mare, né volatori in cielo. «È riposante starsene qui così soli».

Lui annuì. Si era spogliato, e la pulizia di quell’acqua gli riempiva i capelli e scorreva sulla sua carne.

Lei lo fissava dal suo posatoio in cima alla cabina, separata da lui dall’abitacolo di guida. «Avevi qualcosa da dirmi», gli espresse con due parole e con tutto il corpo.

«Sì». La barra del timore gli tremava fra le dita. «Ieri sera, prima che lei se ne andasse…». In Planha non ebbe bisogno di pronunciare altre parole.

«Compagno di vento, compagno di vento», ansimò lei. «Ne sono felice». Allungò a metà le ali verso di lui, trasalì e le ritrasse.

«Per sempre», le disse lui, in preda a un timore reverenziale.

«Per te non avrei potuto desiderare di meglio che Hrill», replicò Eyath. Poi, scrutandolo con più attenzione: «Ma sei ancora agitato».

Lui si morse le labbra.

Eyath attese.

«Dimmi», si costrinse a dire Arinnian, fissando il ponte. «Tu ci vedi dal di fuori. Sono in grado di essere ciò che lei merita?».

Lei non rispose subito. Perplesso per non aver ricevuto l’immediato «sì» che si aspettava, il giovane sollevò lo sguardo quasi a sondare il silenzio di lei. Non osò interrompere il suo pensiero. Le onde rimbombavano, la pioggia scrosciava ridendo.

Alla fine ella disse: «Io credo che lei sarà capace di renderti tale».

Arinnian rimase lì a leccarsi la ferita. Eyath stava per scusarsi, poi fece appello a tutta la sua risolutezza e si trattenne. «Da molto tempo sentivo», disse invece, «che avevi bisogno di qualcuno come Hrill per capire come ciò che è sbagliato per il mio popolo sia giusto, sia il fine e il significato della vita per il tuo».

Anche lui raccolse il suo coraggio per dire: «In teoria conoscevo già la seconda parte del tuo discorso. Ora si è trasformata in un fatto. Oh, prima ero geloso. Sono ancora incapace di assistere me stesso, e forse lo sarò finché vivo. Lei, tuttavia, vale qualsiasi prezzo io debba pagare. Ciò che sto imparando, Eyath, sorella mia, è che lei non è te e tu non sei lei, ed è bene che entrambe siate ciò che siete».

«Lei ti ha dato la saggezza». L’Ythrana si rannicchiò per proteggersi dalla pioggia.

Arinnian vide il suo dolore ed esclamò: «Lascia che io trasmetta quel dono. Ciò che ti è accaduto…».

Ella sollevò il capo e lo fissò con fierezza.

«È forse peggio di ciò che è accaduto a lei?», la sfidò Arinnian. «Io non chiedo pietà — parola umana — per la passata stoltezza, ma penso che il mio destino fosse più duro del vostro, tutti gli anni sprecati ad immaginare l’amore del corpo come qualcosa di sporco, ad immaginare che ci fosse una reale differenza dal tipo d’amore che porto a te, Eyath. Adesso dobbiamo renderci giustizia l’un l’altra. Io voglio che tu divida le mie speranze».

Lei saltò giù dalla cabina, si avvicinò a lui e lo avvolse nelle ali, appoggiandogli la testa contro la spalla, mormorando. Le gocce di pioggia risplendevano sulla cresta come i gioielli di una corona.