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Scelse con cura le parole: «Senza dubbio mi sposerò. Io penserei, se non le dispiace, penserei di dare il suo nome ad un figlio».

«Perbacco, ne sarei onorato più di qualsiasi patacca l’Imperatore mi ponesse su questo petto che tende a scivolare verso il basso», disse automaticamente. «Vogliamo entrare? Forse è un po’ presto per bere; ma d’altra parte questa è un’occasione particolare».

Ah, bene, pensò cercando di dominare il dolore, il sogno ad occhi aperti è stato un ospite gradito, ma penso di essere libero, ormai, da impegni di ospitalità. Posso rilassarmi e godere dei piaceri di un governatore, di un cavaliere, di un nobile di alto rango, di un Lord consigliere, di uno statista in pensione che detta interminabili e menzognere memorie.

Domani vedrò che cosa offre questo luogo per quanto riguarda signore brillanti e compiacenti. Dopo tutto si è di mezza età soltanto una volta.

Era piena estate, a Gray, quando la notizia raggiunse Avalon. C’era stata un po’ di tensione — chi poteva davvero fidarsi dell’Impero? — e così la felicità esplose tra la popolazione umana come una festa.

Christopher Holm e Tabitha Falkayn lasciarono in anticipo tutta quell’allegria. Annunci, cerimonie e festeggiamenti potevano aspettare; essi avevano deciso che la notte della pace finale sarebbe stata la loro notte di matrimonio.

Nondimeno non avevano alcuna fretta. Quella non era l’usanza dei gruppi. Piuttosto, la coppia cercava di diventare tutt’uno con il suo mondo, il suo destino, ed i suoi morti — nell’attesa del periodo dell’amore e dell’amore stesso — finché non si erano risolti tutti i problemi ed essi potevano liberamente concedersi l’uno all’altra.

Al di là del promontorio settentrionale le colline erano ancora disabitate, benché le piante i cui semi ancestrali erano arrivati insieme ai pionieri avessero da molto tempo cessato di essere straniere. Chris e Tabby atterrarono in un tramonto il cui rosso ed oro impazzava sul mare tranquillo. Rizzarono la tenda, mangiarono, bevvero un piccolo bicchiere di vino e si scambiarono un lungo bacio; in seguito, mano nella mano, passeggiarono lungo un sentiero che seguiva la cresta.

Sulla loro sinistra, mentre la luce del giorno si affievoliva, erbe come il trifoglio a grappoli e la spada-del-dolore precipitavano a capofitto verso le acque, le quali brillavano immense, fino ad un orizzonte che si confondeva con un cielo i cui toni andavano dal violetto al nero cristallino. La stella della sera spiccava come una candela in mezzo alle costellazioni che stavano per fare la loro apparizione. Sulla loro destra c’era la foresta, nereggiante, ancora dolce per gli odori di pino. Una leggera brezza calda faceva risuonare i rampicanti ad arpa e faceva balenare il chiarore tra le foglie-gioiello.

«Eyath?», domandò lei una volta.

«Torna a casa», rispose lui.

Questo, ed il suo tono e la sua bocca che sfiorava i capelli appena visibili di lei, significava: Facendomi capire che dovevo guarirla, e come dovevo farlo, tu hai guarito me, amore mio.

Il tocco delle labbra di lei che gli baciavano delicatamente la guancia rispose: Per la mia stessa felicità, che è cresciuta e continua a crescere.

Nondimeno lui sentì che in lei c’era una domanda. E pensò di sapere quale fosse. Gli era sorta spesso dentro ma lui, lettore, filosofo, poeta, sapeva interrogare i secoli meglio di lei, il cui dono era quello di capire l’adesso.

Non la forzò ad esprimerla a parole. Per il momento bastava che lei fosse lì, e fosse sua.

Morgana sorse, piena, macchiata di tenebre e meno luminosa di una volta, tanto era stata butterata e riempita di cicatrici. Tabby si fermò.

«Ne valeva la pena?», disse, e lui avvertì il lento incedere dell’angoscia.

«La guerra, vuoi dire?», suggerì Chris.

«Sì». La ragazza sollevò il braccio libero. «Guarda lassù. Guarda dovunque — in tutto questo globo, verso quei soli — morte, mutilazioni, agonia, lamenti funebri, rovina, perdite come quella lassù, tutte cose di cui abbiamo privato i nostri figli… per un semplice punto di vista politico!».

«Me lo sono domandato anch’io», confessò lui. «Ricordati, comunque, che abbiamo conservato per i nostri figli qualcosa che altrimenti avrebbero perso. Abbiamo conservato il loro diritto di essere se stessi».

«Vuoi dire di essere ciò che siamo. Ma immagina che fossimo stati sconfitti. E ci siamo andati vicini. La prossima generazione sarebbe cresciuta in una soddisfatta sudditanza all’Impero. Non sarebbe stato così? E allora che diritto avevamo noi di fare quello che abbiamo fatto?».

«Ho deciso che l’avevamo, questo diritto», replicò lui. «Non che esista alcun principio semplice, né che io non possa sbagliarmi. Ma a me sembra… beh, che ciò che noi siamo, la nostra società o civiltà o comunque vuoi chiamarla, abbia una vita ed un diritto che sono soltanto suoi».

Tirò un sospiro. «Amore mio», riprese poi, «se le comunità non si opponessero agli abusi ed alle sopraffazioni, finirebbero subito in pasto al più forte ed al più avido. Non credi? Ed alla fine, una mortale, monotona uguaglianza. Niente sfide, niente aspirazioni a ciò che può offrire qualcun altro. Cosa diamo alla vita, se lasciamo che le cose accadano senza il nostro intervento?

«E poi, lo sai, le ostilità non devono durare in eterno. Magari, tanto per fare un esempio, il Governatore Saracoglu e l’ammiraglio Cajal avranno avuto degli antenati che hanno combattuto a Lepanto in due parti opposte». Vide che lei non aveva capito la sua citazione storica. Ma non importava, Tabitha seguiva il significato del suo discorso. «Il punto è che entrambi abbiamo lottato, entrambi abbiamo resistito, entrambi siamo sopravvissuti per offrire qualcosa alla razza, qualcosa di speciale che nessun altro avrebbe potuto offrire. Non credi che qui ad Avalon noi abbiamo salvato una parte del nostro futuro?».

«Un futuro macchiato di sangue», disse lei.

«Certo, sarebbe stato meglio farne a meno», acconsentì lui. «Eppure, noi sofonti siamo quel che siamo; era inevitabile. Forse un giorno ci sarà qualcosa di meglio. Forse perfino questo nostro vivere ambiguo, alati e non alati insieme, sarà di qualche aiuto. Naturalmente dobbiamo continuare a tentare».

«E per un po’ potremo contare sulla pace», mormorò lei.

«Non ci basta per essere felici?», le domandò.

Poi Tabitha gli sorrise attraverso le lacrime illuminate dalla luna e disse: «Sì, Arinnian, Chris, il più caro di tutti», e lo cercò.

Eyath lasciò Gray prima dell’alba.

A quell’ora, dopo la baldoria della notte, aveva il cielo tutto per sé. Sollevandosi, cavalcò il vento e se ne fece trasportare ancora più in alto. Scorreva, l’aria, e cantava. Le ultime stelle, la luna calante ammantavano di mistero il mare e la terra; più avanti, nitide attraverso il biancore del cielo, si ergevano le montagne di casa.

Faceva freddo, ma quel freddo le faceva scatenare il sangue dentro il corpo.

Lei pensò: Colui che si è preso cura di me e colui che mi ha posseduta dividono lo stesso onore. È abbastanza.

I muscoli danzavano, le ali battevano, vive fin nei remiganti più esterni. Il pianeta ruotava verso il mattino. Mio fratello e mia sorella hanno trovato la loro felicità. È ora che vada in cerca della mia.

I picchi innevati fiammeggiarono, mentre il sole si sollevava in un trionfo di luce.

Alto è il cielo, e santo.

FINE