«Non ho detto che lo sia», replicò Ferune, «solo che il tempo non si può affferrare con nessuna rete».
«Già. Mi dispiace se… beh, non avevo intenzione di fare discorsi oziosi, specialmente quando mi hai già sentito farne fin troppi. Solo che stiamo passando dei giorni difficili, in casa». L’uomo si alzò dalla poltrona, oltrepassò l’Ythrano e si fermò davanti alla finestra, dalla quale guardò fuori attraverso un velo di fumo.
«Torniamo al lavoro vero», disse. «Vorrei fare delle domande specifiche sulle effettive condizioni di efficienza del Dominio. E sarà meglio che tu stia a sentire quello che è successo qui mentre eri assente… quello che è successo in tutto il sistema Laurano, anzi, che è dannatamente vicino alla catastrofe. Neanche qui c’è niente di buono».
3
La vettura identificò la sua destinazione e cominciò ad abbassarsi. La sua quota iniziale era tale che il viaggiatore all’interno poteva cogliere la visione di una dozzina di macchioline di terreno che spuntavano in mezzo alle acque scintillanti. Ma quando si fu avvicinato, esse erano scomparse sotto l’orizzonte, e adesso vedeva soltanto il cono irregolare di St. Li.
Con un diametro all’equatore di appena 11.308 chilometri, Avalon ha un nucleo magmatico più piccolo, in proporzione a quello della Terra; una massa di 0,635 non può contenere altrettanto calore. Perciò le forze che spingono la terra verso l’alto sono deboli. Nello stesso tempo c’è una forte attività erosiva. La pressione atmosferica al livello del mare è simile a quella terrestre — e coll’aumentare dell’altitudine diminuisce più lentamente, a causa del gradiente gravitazionale — e la rotazione più veloce causa un’attività meteorologica piuttosto intensa. Di conseguenza, la superficie è generalmente piatta, e la vetta più alta della catena di Andromeda non raggiunge i quattromilacinquecento metri. Né la terra emersa si presenta in masse molto estese. Corona, che parte dal polo nord e giunge fin oltre il Tropico delle Spade, ha una superficie di appena otto milioni di chilometri quadrati, più o meno quella dell’Australia. Sull’emisfero opposto, Equatoria, New Africa e New Gaiila sono più delle grosse isole che dei veri e propri continenti minori. Tutto il resto consiste in isole ancora più piccole.
Eppure c’è qualcosa di gigantesco. Circa duemila chilometri ad est di Gray inizia quella catena sottomarina i cui picchi, che svettano nel cielo, sono conosciuti come Oronesia. Corre verso sud, attraversa il Tropico delle Lance e termina infine non lontana dal Circolo Antartico. In tal modo forma una vera barriera idrologica; la sua parte occidentale segna i limiti dell’Oceano di Mezzo, quella orientale delimita il Mare Esperide nell’emisfero settentrionale e l’Oceano del Sud al di là dell’equatore. Essa ospita un’ecologia ben distinta, incredibilmente ricca. Ed in conseguenza di ciò, dopo la colonizzazione, si è trasformata in un fenomeno sociologico. Qualunque eccentrico, umano o Ythrano, può recarsi laggiù, trasformare una o più isole e viverci un’esistenza indisturbata.
I gruppi del continente erano diversi sia come dimensioni sia come organizzazione e tradizione. Ma se pure in qualche modo si potevano considerare qualcosa di simile ai clan, alle tribù, alle baronie, alle comunità religiose, alle repubbliche e così via, i loro membri si contavano almeno nell’ordine delle migliaia. In Oronesia esistevano delle singole famiglie che si tramandavano il nome; una volta cresciuti e sposati, i figli cadetti dovevano trovarsi nuove società indipendenti.
Naturalmente si arrivava di rado a questi estremi. In particolare la gente di Highsky era piuttosto numerosa, controllando la pesca intorno ai 30° N di latitudine ed occupando una vasta estensione dell’arcipelago. Ed erano anche alquanto convenzionali, per quanto il termine, applicato agli Ythrani, abbia un signnificato abbastanza relativo.
L’aeromobile atterrò sulla spiaggia, al di sotto di un insediamento. L’uomo che ne scese era alto, con i capelli rosso-scuri, ed indossava dei sandali, un gonnellino e delle armi.
Tabitha Falkayn aveva visto il velivolo che scendeva e si era incamminata per andarlo a ricevere. «Salve, Christopher Holm», disse in Anglico.
«Vengo come Arinnian», le rispose lui in Planha. «Che la fortuna ti sia a fianco, Hrill».
Lei sorrise. «Scusami se non approfondisco il motivo». Poi, accortamente: «Mi hai fatto sapere di volermi vedere a proposito di una questione pubblica. Deve avere qualcosa a che fare con la crisi di frontiera. Probabilmente il tuo Khruath ha deciso che Corona occidentale e Oronesia settentrionale devono studiare un sistema per difendere il Mare Esperide».
Lui annuì goffamente, mentre i suoi occhi cercavano di sfuggire il divertimento di lei.
Enorme sulla sua testa, con il sole brillante in mezzo a banchi di cumuli, l’arco del cielo. Un navigante volava lontano, svolgendo mansioni di ricerca per la scuola di pesca; una mandria di shua Ythrani sbatteva le ali sotto il controllo di un pastore e dei suoi uhoth; un pteropleurone locale si muoveva pesantemente in mezzo ad una colonia di corvi di scogliera. Il mare color indaco rollava, arricciandosi in verdi frangenti trasparenti per poi esplodere in nubi di schiuma sul litorale sabbioso quasi bianco. A qualche chilometro di distanza si scorgevano dei motopescherecci a strascico. Verso terra il suolo saliva rapido. Sui punti più alti del declivio si distingueva ancora il pallido smeraldo dei campi di susin; e solo pochi tipi di arbusti riuscivano a crescere tra quel labirinto di radici. Ma più in là le colline erano state arate, e il grano a grappoli degli Ythrani frusciava e rosseggiava, a protezione del terreno e nutrimento degli shua, mentre boschi di palme da cocco, mango, aranci e piante di pane nero si ergevano più su per alimentare i membri umani dell’Highsky. Soffiava un venticello tiepido ma rinfrescante, che sapeva di sale e di iodio e di fragranze.
«Immagino si sia ritenuto che delle riunioni tra uccelli sarebbero state una buona idea», proseguì Tabitha. «Voi montanari avrete i vostri bei problemi per capire noi dell’oceano, e viceversa, senza contare l’handicap costituito dalla diversità della specie. Anche gli ornitoidi si incontreranno, eh?». La sua espressione divenne pensosa. «Tu devi essere un delegato, naturalmente. La tua zona ne ha pochi, come te. Ma perché venire di persona? Non che non sia il benvenuto, ma anche una telefonata…».
«Forse… sarà necessario che parliamo a lungo», rispose lui. «Per giorni e giorni, di tanto in tanto». Lui dava per scontato che avrebbe ricevuto ospitalità; un ospite era sacro per qualsiasi gruppo.
«Ma perché proprio io, poi? Sono una semplice locale».
«Sei una discendente di David Falkayn».
«Non ha molta importanza».
«Ne ha dove vivo io. Inoltre… beh, ci siamo già visti qualche altra volta, in occasione dei Khruath più importanti o nel corso di visite reciproche e… abbiamo una certa familiarità. Tra gente del tutto estranea non saprei da dove cominciare. Se non altro tu… tu puoi consigliarmi chi consultare, e presentarmi. No?».
«Certo». Tabitha gli prese le mani. «E poi sono contenta di vederti, Chris».
Il suo cuore ebbe un sussulto. Si sforzò di non mostrare imbarazzo. Perché divento così timido davanti a lei? Dio lo sapeva se lei era attraente. Qualche anno più di lui, robusta, di forte costituzione, seni pieni e gambe lunghe, faceva una gran bella figura nella sua tunica corta e senza maniche. Aveva il naso camuso, la bocca larga, gli occhi verdi e ben separati sotto le grosse sopracciglia; non si era mai preoccupata di eliminare la bianca cicatrice sulla guancia destra. I capelli, tagliati sotto le orecchie, erano ossigenati, e contrastavano violentemente con la carnagione abbronzata e leggermente lentigginosa.