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«E allora, Donna, tu sei stata incaricata di farmi compagnia a causa di un pasto rinviato», fece galante Saracoglu baciandole la mano. «Ti assicuro, sono tutt’altro che contrariato». Benché basso di statura, aveva una figura vivace ed un volto oscuramente piacevole. E si accorse subito che, malgrado la sua solennità, la ragazza sapeva ascoltare un uomo e, cosa ancor più rara, sapeva rivolgergli domande stimolanti.

Stavano passeggiando nel giardino. Quei cespugli di rose e quegli alberi di ciliegi avrebbero quasi potuto essere piante della Terra; Esperance era il gioiello dei pianeti colonizzati. Pax, il sole, era ancora alto sull’orizzonte, nel pieno dell’estate, e disponeva i suoi raggi caldi attraverso un vecchio muro di mattoni. L’aria era tiepida, e risuonava dei canti degli uccelli e profumava dei verdi odori che provenivano dalla campagna. Un paio di vetture volavano in alto, ma Fleurville non era abbastanza grande perché il rumore del traffico potesse giungere così lontano dal centro.

Saracoglu e Luisa passeggiavano lungo sentieri di ghiaia, conversando. Erano sorvegliati, ovvero discretamente accompagnati, ma non c’era alcuna dama di compagnia a seguirli qualche passo indietro. C’era invece un mercenario Gorzuniano, enorme e con quattro braccia, che si disinteressava completamente delle svenevolezze di un flirt.

Il problema è, pensò il governatore, che lei ha preso a conversare sul serio.

Dapprima era stato piuttosto piacevole. Lei lo aveva incoraggiato a parlare di se stesso. «… Sì, il Conte di Anatolia sono io. Onestamente, anche se il luogo è sulla Terra, è un grado di nobiltà piuttosto basso. Sono un burocrate di carriera. Forse sarebbe stato meglio se avessi fatto l’artista: io mi diletto con la creta e i colori ad olio. Ti piacerebbe vedere qualcosa? Ahimè, sai come vanno queste cose. Ci si aspetta che i nobili imperiali servano l’Impero, punto e basta. Magari fossi nato in un’era di decadenza! Sfortunatamente, l’Impero non è rimasto un minuto tranquillo, ma ha continuato ad espandersi in continuazione».

Dentro di sé, sorrideva per la sua messinscena. A cinquantatrè anni standard, tarchiato, tendente al grasso, totalmente calvo, due occhietti su un naso gigantesco e due costose amanti a palazzo… era lì a recitare la parte di un adolescente che imita un homme du monde! Be’, ogni tanto ci si divertiva, così come gli piacevano i vestiti sgargianti e i gioielli. Gli consentivano di sfuggire alla realtà, che non gli aveva mai permesso di migliorare il suo aspetto neppure grazie alla bioscultura.

Proprio a questo punto lei domandò: «Stiamo davvero per attaccare gli Ythrani?».

«Eh?». L’angoscia di quella domanda gli fece girare bruscamente la testa per fissarla in faccia. «Beh, i negoziati sono ad un punto morto, ma…».

«Chi è che li ha portati a un punto morto?». Lei teneva lo sguardo fisso davanti a sé, mentre il tono della voce era salito di un’ottava ed il leggero accento spagnolo si era intensificato.

«Chi ha dato inizio alla maggior parte dei casi di violenza?», ribatté lui. «Gli Ythrani. Non che siano dei mostri, intendiamoci. Ma sono predatori per natura. E non hanno una forte autorità — un governo vero e proprio, anzi — che controlli gli impulsi dei gruppi. Questo è stato uno degli ostacoli più grossi nel tentativo di trovare un accordo».

«Quanto è stato sincero il tentativo… da parte nostra?», domandò lei, ancora rifiutandosi di guardarlo in faccia. «Quanto tempo è che aspettate di gettarvi nella mischia? Mio padre non mi dirà nulla, ma è evidente, è stato evidente fin da quando si è trasferito qui — succede spesso che il quartier generale della marina e quello civile si trovino sullo stesso pianeta? — è evidente che si sta preparando qualcosa».

«Donna», disse Saracoglu con gravità, «quando una flotta spaziale può trasformare in tombe interi pianeti, c’è chi si prepara al peggio e chi dà un giro di vite ai regolamenti di sicurezza». Fece una pausa. «C’è anche chi scopre che non è saggio lasciare che le rispettive sfere di influenza si intersechino, come hanno scoperto l’Impero e il Dominio. Mi sembra che tu, relegata quaggiù in un sistema relativamente isolato… mi sembra che tu ti sia messa in testa che l’Impero stia provocando la guerra allo scopo di conquistare l’intero Dominio. Questo non è vero».

«Che cosa è vero?», replicò lei acidamente.

«Che ci sono stati degli scontri sanguinosi in merito a dispute di territorio ed a conflitti di interesse».

«Sì. I nostri commercianti stanno perdendo degli affari potenziali».

«Fosse solo quello. Le questioni commerciali si possono sempre negoziare. Ma le rivalità politiche e militari sono ben più dure. Per esempio, chi di noi assorbirà il complesso Antoranite-Kraokan intorno a Beta Centauri? Uno di noi dovrà farlo, e quelle risorse irrobustirebbero notevolmente la Terra. Gli Ythrani, impadronendosi di Dathyna, si sono già rafforzati più di quanto a noi piaccia, visto che sono una razza potenzialmente ostile. Inoltre, rettificando questa frontiera incerta, potremmo meglio difenderci contro un attacco di fianco dei Merseiani». Saracoglu sollevò una mano per prevenire la protesta di lei. «In effetti, Donna, il Roidhunato è ben lontano e non molto grande. Ma sta sviluppandosi ad una velocità allarmante, ed un’aggressiva attitudine alla conquista è insita nella sua ideologia. Il dovere di un impero è quello di provvedere ai suoi discendenti».

«Ma perché non possiamo semplicemente stipulare un trattato, dare un quid pro quo, dividere le cose in un modo giusto e ragionevole?», chiese Luisa.

Saracoglu sospirò. «Le popolazioni dei pianeti si ribellerebbero, perché trattate come oggetti inanimati. Nessun governo con una tendenza del genere potrebbe sopravvivere». Gesticolò. «E poi, l’universo ha troppe incognite. Abbiamo viaggiato per centinaia — nei primi tempi per migliaia — di anni luce verso stelle particolarmente interessanti. Ma a quante di esse siamo passati vicino? Cosa potrebbe succedere una volta che lo scoprissimo? Nessuna autorità responsabile, umana o Ythrana, lascerà ciecamente simili opportunità ad una razza aliena.

«No, Donna, questo non è un problema suscettibile di soluzione pulita e definitiva. Dobbiamo semplicemente fare del nostro meglio, sia pure goffamente. Il che non vuol dire soggiogare gli Ythrani. Io sono il primo a garantire il diritto di Ythri ad esistere, a percorrere la sua strada, e anche a procurarsi i suoi possedimenti planetari. Ma questa frontiera si deve stabilizzare».

«Situazioni simili esistono già con altre razze, ma non rappresentano un problema…».

«Naturalmente. Perché dovremmo combattere coloro che respirano idrogeno, per esempio? Sono così diversi che a stento riusciamo a comunicare con loro. Il fatto è che gli Ythrani sono troppo simili a noi. Come dice un vecchio proverbio, sullo stesso pianeta non c’è posto per due».

«Ma noi possiamo vivere insieme a loro! Ci sono degli umani che lo fanno! E da molte generazioni!».

«Vuoi dire Avalon?».

Lei annuì.

Saracoglu intuì l’occasione per ricondurre il discorso su argomenti più agevoli. «Beh, quello è indubbiamente un caso interessante», le disse sorridendo. «Cosa ne sai, a proposito?».

«Molto poco», ammise lei, sottomessa. «Qualche notizia qua e là, da quando sono venuta su Esperance. La galassia è così grande, anche solo questa minuscola parte che ne abbiamo esplorato…».

«Potresti andarci, su Avalon», disse lui. «Non è lontano, saranno dieci o dodici anni luce. Piacerebbe anche a me. Pare che quella società sia insolita, se non addirittura unica».

«Ma non capisce? Se umani e Ythrani possono convivere su un solo pianeta…».

«È diverso. Lascia che ti spieghi meglio. Neanch’io ci sono mai stato, ma mi sono documentato bene sull’argomento».