Sono come un uomo che freme sulla soglia del Paradiso, eppure è incapace di entrarvi perché la chiave gli viene negata. «Velocità della luce!» Un’allegoria… ma di che cosa? Nel linguaggio comune tanto varrebbe parlare della velocità del bel tempo o del granito! Ogni giorno lo supplico invano di darmi la chiave del suo linguaggio. Eppure anche adesso, nei sigilli che prepara per me, c’è un potere più grande di qualunque altro uomo abbia mai conosciuto prima.
Ma non basta. Il Potere continua a parlare di sé come di qualcuno condannato a un’estrema solitudine; l’ultimo membro d’una razza estranea alla Terra… Parla come se ricavasse uno strano piacere dalla mia pura e semplice presenza, e dal fatto di potermi parlare. Ma quando lo imploro di dirmi un Nome o una Parola che mi darebbero un potere ben più grande di quello che mi centellina coi sigilli, si mostra divertito e mi chiama sciocco, seppure in tono cortese e amico. E parla sempre più nel suo linguaggio allegorico, di forze della natura e di campi di forza… e mi ha dato un sigillo che, quando lo userò, creerà per me un palazzo dalle mura d’oro e le colonne di smeraldo! E poi mi ha ammonito, sarcastico, che un solo saccheggiatore munito di un’ascia o d’una zappa di ferro lo farebbe svanire in un attimo!
Sto quasi impazzendo, Johannus! Ma è certo indicibile la saggezza che si può ottenere da lui. Procedendo con cautela, passo passo, sono giunto a comportami come se fossimo soltanto degli amici, di razza diversa, uno dei quali, lui, immensamente più saggio… ma pur sempre amici più che principe e suddito. Però, ricordo sempre gli ammonimenti degli autori più versati i quali affermano che si deve essere sempre sul chi vive contro i Poteri evocati nel corso di un’Operazione.
Sto elaborando un piano. È pericoloso, lo so bene, ma sono in preda a una disperazione crescente. Starmene qui, fremente, sulla soglia di tanto potere e saggezza quali un uomo non ha mai neppure concepito, e poi vedersi negato…
Il mercenario che ti porterà questa mia missiva partirà domani. È sciancato, e potrebbe impiegar mesi per arrivare. Tutto si deciderà prima che tu riceva questa mia. So che mi auguri ogni fortuna.
C’è mai stato uno studioso dei misteri che si sia trovato in una situazione così grama, con tutto il sapere possibile a portata di mano, ma non ancora tutto suo?
Il tuo amico
Carolus
Scritto nella sporca e cadente locanda di Montevecchio
Johannus! Un corriere è diretto a Gand per incarico del mio Signore di Brabante, ed io colgo l’occasione d’inviarti questa corrispondenza. Credo d’impazzire, Johannus! Possiedo poteri che nessun uomo ha neppure immaginato, prima d’ora, e sono qui, angosciato e pieno d’amarezza. Ascoltami!
Per tre settimane sono andato ogni giorno sulla cima della collina al di là di Montevecchio, per trascrivere il linguaggio cifrato di cui ti ho già ragguagliato. Il mio scritto era colmo di sigilli e di misteri, ma non possedevo nessuna Parola di Potere, nessun Nome di Autorità. Il Potere si era fatto sempre più beffardo, ma il suo sarcasmo era sempre più venato di tristezza. Insisteva a dire che le sue parole non contenevano nessun cifrario, e dovevano semplicemente esser lette con un po’ di attenzione. Alcune le aveva ripetute moltissime volte, al punto che erano diventate soltanto delle istruzioni per mettere insieme dei pezzi di metallo, in modo meccanico. Insisté finché imparai a memoria quelle istruzioni. Ma senza Parola, senza Nome,… niente più di un’accozzaglia di pezzi di metallo messi insieme in maniera strana.
Ma com’era possibile che il metallo inanimato, non infuso dal potere dei Nomi o delle Parole, fosse in grado di operare dei misteri?
Finalmente mi convinsi che non mi avrebbe mai rivelato la saggezza che mi aveva promesso. Ero arrivato a una tale familiarità con questo Potere che giunsi a coltivare l’idea di ribellarmi, e a credere persino di avere una possibilità di successo. C’era quella nebulosità intorno alla sua forma che veniva mantenuta da un sigillo che portava al fianco, chiamato «generatore». Se quella nebulosità fosse stata distrutta, non avrebbe potuto vivere, o per lo meno era quello che mi aveva detto. Proprio per quella ragione lui non osava toccare nulla che fosse fatto di ferro. Quella era la base del mio piano.
Finsi di cader malato, e dissi che avrei riposato in una capanna dal tetto di paglia che si trovava ai piedi di quella stessa collina. Era l’abitazione d’un contadino, assai rozza e primitiva, adesso disabitata. Non c’era in essa un solo chiodo di ferro. Se provava per me l’amicizia che dichiarava, mi avrebbe concesso di assentarmi e di riposare là dentro per tutta la mia malattia. Se la sua amicizia fosse stata davvero grande, avrebbe potuto persino venir laggiù a trovarmi, nella capanna. Sarei rimasto solo, là dentro, nella speranza che la sua amicizia arrivasse a tal punto.
Strane parole, queste, da parte di un uomo, nei confronti di un Potere! Ma avevo parlato con lui ogni giorno, per tre settimane. Giacqui, gemendo, tutto solo nella capanna. Il secondo giorno venne a trovarmi. Finsi una grande gioia e mi detti da fare per accendere un fuoco con una candela che avevo tenuta accesa. Lui lo considerò un segno d’onore e di rispetto, ma in realtà era un segnale. E poco dopo, infatti, mentre si stava informando di quella che credeva fosse la mia malattia, giunse un urlo da là fuori. Era il prete del villaggio: un uomo semplice ma assai coraggioso a modo suo. Al segnale dato dal fumo che s’innalzava dalla casa del contadino, si era avvicinato strisciando e, nel massimo silenzio, aveva disteso al suolo tutt’intorno alla capanna una catena di ferro, che aveva avvolto in panni perché non producesse il minimo cigolio. E adesso comparve, in piedi, davanti alla porta della capanna, col crocefisso alzato, intonando a gran voce un esorcismo. Un uomo davvero coraggioso, quel sacerdote, visto che gli avevo dipinto il Potere come un demone immondo.
Il Potere si girò e mi guardò, ed io impugnai con mano ferma il pugnale.
«Ho in mano il metallo maledetto», l’aggredii con rabbia. «Un cerchio dello stesso metallo circonda la capanna. Ora, dimmi in fretta le Parole e i Nomi che fanno funzionare i sigilli! Dimmi il cifrario per svelare tutto ciò che mi hai fatto scrivere! Fallo, e io ucciderò questo sacerdote, getterò lontano la catena di ferro e tu potrai andartene illeso da qui. Ma fai presto, altrimenti…».
Il Potere gettò a terra un sigillo. Quando la pergamena toccò il suolo, l’aria per un attimo si fece confusa e qualcosa di orribile cominciò a formarsi. Ma poi la pergamena fumò e si trasformò in cenere. Il cerchio di ferro intorno alla capanna aveva distrutto il suo potere quando aveva tentato di usarlo. Ora lui sapeva che avevo detto la verità.
«Ah!» esclamò il Potere, con voce aspra. «Gli uomini! Ed io che mi ero illuso che uno di loro fosse mio amico!». Si portò la mano al fianco. «Avrei dovuto immaginarlo. Il ferro mi circonda, la mia macchina si scalda…».
Mi fissò. Gli alzai il pugnale davanti agli occhi, in un gesto spietato.
«I Nomi!» gridai. «Le Parole!» Concedi anche a me il potere, e ucciderò il prete!»
«Ho tentato di darti la saggezza», rispose il Potere, calmo. «E tu mi pugnalerai col metallo maledetto, se io non ti dirò cose che non esistono. Ma non c’è bisogno che tu mi pugnali. Non posso vivere a lungo in un cerchio di ferro. La mia macchina sta per bruciarsi, il mio campo di forza verrà meno. Soffocherò in quest’aria sottile che per te è densa quanto basta. Questo non ti soddisfa? Devi pugnalarmi, per giunta?».
Balzai in piedi dal mio giaciglio di paglia per minacciarlo con ferocia ancora maggiore. Era follia, non è vero? Ma ero impazzito, Johannus!
«Non farlo», disse il Potere. «Potrei ucciderti qui, adesso… potrei farti morire con me! Ma ti avevo accettato come amico. Andrò fuori a incontrare il tuo prete. Preferisco morire per mano sua. O, chissà, forse lui non è uno sciocco come…».