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— Ma perché i soldati volevano gettarti nell’acqua? — chiese Peter.

— Oh, io sono un pericolosissimo criminale — rispose il nano. — Ma è una lunga storia. Per adesso, se volete invitarmi a colazione… Non avete neppure la più pallida idea dell’appetito che viene ai condannati a morte.

— Mi spiace, possiamo offrirti solo mele — rispose Lucy.

— Certo, ci fosse stato del pesce fresco… Ma meglio che niente — disse il nano, e proseguì: — Buffa questa. Va a finire che qui sono io a invitarvi a colazione. Ho visto delle canne da pesca, sulla barca. Comunque, dobbiamo andarcene da questo posto e raggiungere l’altra parte dell’isola. Non vorrei che qualcuno della terraferma ci trovasse.

— Hai ragione, anch’io avevo avuto la stessa idea.

Il nano e i quattro ragazzi raggiunsero la riva del fiume, misero la barca in acqua con una certa difficoltà e vi salirono. Il nano si improvvisò capitano, e visto che i remi erano troppo grandi per lui, Peter cominciò a vogare mentre l’altro li guidava a nord per il canale. Attualmente si trovavano a est e stavano per doppiare la punta estrema dell’isola; da quel punto i ragazzi potevano vedere il fiume e tutte le baie e promontori che sorgevano oltre. In un primo momento pensarono che sarebbero riusciti a riconoscere qualcuno di quei luoghi, ma la foresta che era cresciuta intorno non lo consentì.

Una volta raggiunto il mare aperto, a est dell’isola, il nano si mise a pescare. La pesca fu decisamente fruttuosa, perché prese un mucchio di pesci arcobaleno simili a quelli che i ragazzi mangiavano a Cair Paravel ai vecchi tempi.

Quando ne ebbero pescati in abbondanza, si diressero verso una piccola insenatura e legarono la barca a un albero. Il nano, che era un uomo decisamente pratico e saggio (certo si possono incontrare nani cattivi, ma non ho mai sentito parlare di uno dissennato), tagliò il pesce, lo pulì e disse: — Adesso ci vuole della legna per accendere il fuoco.

— Ne abbiamo molta, al castello — rispose Edmund.

Il nano fece un fischio prolungato.

— Fulmini e saette — esclamò. — Ma allora c’è veramente un castello.

— Ci sono le rovine — precisò Lucy.

Il nano cominciò a guardarli, mentre una curiosa espressione gli si dipingeva sul volto.

— E chi diavolo…? Be’, questo più tardi. Pensiamo al pranzo, adesso. Ma prima di cominciare ditemi una cosa: potreste mettervi una mano sul cuore e giurare solennemente che non sono morto, che voi non siete fantasmi e io non sono diventato uno spettro come voi?

I ragazzi lo rassicurarono, ma c’era un piccolo problema da risolvere. Come avrebbero fatto a trasportare il pesce? Non avevano niente per legarlo insieme, non c’era nemmeno un cestino. Alla fine decisero di usare il cappello di Edmund, visto che nessun altro ne aveva uno. In un momento qualsiasi Ed non avrebbe certo acconsentito di buon grado, ma visto che aveva una fame da lupo…

All’inizio il nano non parve molto a suo agio nel castello. Cominciò a guardarsi intorno e ad annusare: — Piuttosto spettrale, eh? Mmm, sento puzza di fantasmi.

Ma si tranquillizzò appena ebbe acceso il fuoco ed ebbe mostrato ai ragazzi come arrostire i magnifici pesci sulla brace. Bisogna riconoscere che non è facile mangiare pesce bollente senza forchetta, soprattutto quando si è in cinque con un solo temperino a disposizione. Proprio per questo, alla fine del lauto pranzo tutti si erano bruciati le dita. Ma, dal momento che erano quasi le nove di sera e si erano svegliati alle cinque del mattino, nessuno fece troppo caso alle scottature, come invece sarebbe successo in un altro momento. Quando ebbero bevuto l’acqua del pozzo e gustato le mele rimaste, il nano preparò una sorta di calumet lungo quasi come il suo braccio, lo riempì di tabacco, lo accese e, avvolto in una nube profumata di fumo, disse: — È venuto il momento.

— Raccontaci prima la tua storia — lo pregò Peter. — Poi ti racconteremo la nostra.

— Bene, visto che mi avete salvato la vita devo esaudirvi: il problema è che non so da che parte cominciare. Innanzi tutto, e per presentarmi, vi dirò che sono un messaggero di re Caspian.

— Chi? — fecero i ragazzi in coro.

— Caspian Decimo, sovrano di Narnia, che possa regnare a lungo — rispose solennemente il nano. — In realtà non è ancora re ma dovrebbe diventarlo: noi speriamo che ce la faccia. Attualmente è solo il sovrano di noi Vecchi Narniani.

— Scusa, cosa significa "Vecchi Narniani"?

— Vedete, noi… possiamo considerarci ribelli, suppongo — rispose il nano.

— Ho capito. E Caspian è il capo di questa fazione: i Vecchi Narniani.

— In un certo senso — replicò il nano, annuendo con un cenno della testa. — Personalmente lui è un Nuovo Narniano, un Telmarino… non so se riuscite a seguirmi.

— Io ho qualche difficoltà — rispose Edmund.

— È più intricato della Guerra delle Due Rose! — aggiunse Lucy.

— Dovete scusarmi, è colpa mia. Credo che la cosa migliore sia partire dall’inizio e raccontarvi come Caspian crebbe alla corte di suo zio e in seguito decise di schierarsi dalla nostra parte. Ma è una storia molto lunga, vi avverto.

— Meglio così. Noi adoriamo ascoltare storie — disse Lucy.

E così il nano cominciò il suo racconto. Non starò a ripetervelo con le sue parole, interrompendomi ogni tanto per rispondere alle domande e ai dubbi dei ragazzi, perché ci vorrebbe troppo tempo e fareste una gran confusione. Basti pensare che i nostri amici riuscirono a chiarire solo in seguito alcuni lati oscuri della vicenda. Però il succo della storia è questo.

4

Il nano racconta la storia del principe Caspian

Il principe abitava in un grande castello proprio al centro di Narnia con lo zio Miraz, il re, e una zia dai capelli rossi, la regina Prunaprismia. Caspian era orfano di padre e madre e la donna verso la quale nutriva il più grande affetto era la sua nutrice. Dal momento che era principe, aveva giocattoli meravigliosi con cui passare il tempo, ma nonostante questo il momento più bello, per lui, era sul far della sera, quando i giocattoli venivano riposti e la nutrice gli raccontava splendide fiabe.

Il principe non pensava molto allo zio e alla zia, ma un paio di volte la settimana il re lo mandava a prendere e insieme passeggiavano per mezz’ora su una gran terrazza nell’ala sud del castello. Un giorno, mentre passeggiavano, il re disse al principe: — Ragazzo, presto dovrai imparare a cavalcare e tirar di spada. Sai che tua zia e io non possiamo avere figli, così prenderai il mio posto quando non ci sarò più. Allora, sei contento?

— Veramente non lo so, zio — rispose Caspian.

— Non lo sai? — ribatté Miraz. — E cos’altro si potrebbe desiderare, nella vita?

— Io un desiderio ce l’avrei — rispose Caspian.

— Un desiderio? Avanti, sentiamo.

— Io… vorrei tanto essere vissuto ai vecchi tempi — spiegò Caspian.

Fino a quel momento re Miraz aveva parlato con il tono di voce tipico degli adulti quando sembra che non gl’importi granché delle cose che dicono. Ma all’affermazione di Caspian lo zio gli lanciò un’occhiata indagatrice.

— Cosa? Di quali vecchi tempi parli?

— Come puoi non ricordare, zio? Mi riferisco a quando tutto era diverso. Quando gli animali avevano il dono della parola e c’erano creature buone e generose che vivevano nell’acqua o in mezzo agli alberi. Si chiamavano naiadi e driadi e non mancavano i nani. Nelle foreste c’erano i piccoli, cari fauni con le zampe da capra…

— Stupidaggini, fantasie da ragazzini — esplose lo zio. — Fantasie, hai capito? Ormai sei troppo grande per prestare attenzione a certe fandonie; alla tua età dovresti avere la testa alle battaglie e a grandi imprese, non alle favolette.

— Ma a quei tempi c’erano battaglie e grandi imprese — ribatté Caspian. — Gesta meravigliose. Pensa che una volta la Strega Bianca divenne regina di tutto il territorio, e con un incantesimo fece sì che fosse sempre inverno. Due ragazzi e due ragazze venuti da un mondo lontano uccisero la strega e diventarono re e regine di Narnia. Si chiamavano Peter, Susan, Edmund e Lucy, e regnarono a lungo, e tutti vissero felici e contenti, perché Aslan…