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— Certo. Ho sempre desiderato appartenere a un lignaggio più nobile e onorevole.

— Tu sei nato dal signore Adamo e donna Eva — disse Aslan. — Una discendenza che è al tempo stesso un grande onore e una vergogna. In virtù di essa, il più povero dei mendicanti potrà alzare la testa con orgoglio e il più grande imperatore dovrà abbassarla per contrizione; in ogni caso, devi esserne fiero.

Caspian annuì.

— E adesso — proseguì Aslan — mi rivolgo a voi, uomini e donne di Telmar. Volete tornare nell’isola da cui vennero i vostri padri, e che si trova nel mondo degli uomini? Non è un luogo spiacevole. La stirpe dei pirati si è estinta e ora quella terra è disabitata. Ci sono pozzi d’acqua dolce, il suolo è fertile, c’è legna per costruire e nelle lagune il pesce abbonda. Il passaggio è pronto per il vostro ritorno nell’isola. Ma di una cosa devo avvertirvi: una volta dall’altra parte, non potrete tornare indietro perché il passaggio sarà chiuso per sempre.

Scese il silenzio. Uno dei soldati di Miraz, un buon diavolo grande e grosso, disse: — Bene, accetto l’offerta.

— Hai fatto la scelta giusta — ribatté Aslan. — E dal momento che sei stato il primo a dire di sì, la forza della magia ti accompagnerà. Avrai una bella vita e un radioso futuro in quella terra. Avanti, forza!

L’uomo, per la verità un po’ pallido, si fece avanti. Aslan e la sua corte si tirarono indietro, lasciandolo avvicinare a quella specie di soglia.

— Avanti, figlio mio, va’ — lo incitò Aslan, chinandosi verso di lui e sfiorando il naso dell’uomo con il suo. Non appena il soldato fu investito dall’alito di Aslan, una luce diversa brillò nei suoi occhi, forse stupita, sicuramente non triste o malinconica, come se cercasse di ricordare qualcosa. Poi raddrizzò le spalle e attraversò la porta.

Tutti puntarono lo sguardo su di lui. Videro i tre pezzi di legno e attraverso di essi gli alberi, l’erba e il cielo di Narnia. Poi videro l’uomo fra i due stipiti e un secondo più tardi non lo videro più.

Dall’altra parte della radura i discendenti di Telmar cominciarono a lamentarsi: — Cosa gli è successo, poveretto? Ci vogliono uccidere tutti? Ah, io da lì non passo…

Poi uno di loro, di gran lunga più scaltro degli altri, disse: — Attraverso quei bastoni non si vede un nuovo mondo. Se volete che ci crediamo, perché non mandate avanti uno di voi? Mi pare che i vostri amici se ne stiano alla larga, dalla porta.

L’uomo non aveva ancora finito di parlare che Ripicì si fece avanti e s’inchinò ad Aslan.

— Se il mio esempio può essere di qualche aiuto, Aslan, prenderò undici topi con me e a un tuo segnale passeremo dalla porta senza esitare.

— No, piccola creatura — rispose Aslan, accarezzando delicatamente la testolina di Ripicì con la zampa vellutata. — Vi farebbero cose terribili, nel nuovo mondo. Sareste fenomeni da baraccone e vi esporrebbero nei mercati e nelle fiere. Sono altri quelli che devono andare.

— Avanti — disse Peter rivolgendosi a Edmund e a Lucy. — Adesso tocca a noi.

— Che vuoi dire? — chiese Edmund.

— Da questa parte — indicò Susan, che sembrava aver capito tutto. — Venite nel bosco con me. Dobbiamo cambiarci d’abito.

— Cambiare cosa?

— I nostri vestiti — rispose Susan. — Conciati così faremmo ridere i polli, in una stazione inglese. Non vi pare?

— Ma abbiamo lasciato le nostre cose al castello di Caspian — disse Edmund.

— No — intervenne Peter, guidando gli altri nel cuore della foresta. — Guardate, i nostri abiti sono qui. Sono stati portati in un fagotto stamattina, è tutto predisposto.

— Allora è di questo che tu e Susan parlavate con Aslan quando ci siamo svegliati? — chiese Lucy.

— Sì, e anche di altre cose. — Il tono di Peter era solenne. — Non posso dirvi tutto, ragazzi. Ci sono cose che Aslan voleva comunicare a me e a Susan, perché non torneremo mai più a Narnia.

— Mai più? — gridarono Lucy e Edmund in coro.

— Voi invece potrete tornare — li tranquillizzò Peter. — Da quello che ha detto lui, mi è sembrato di capire che un giorno tornerete. Ma Susan e io non potremo accompagnarvi: siamo troppo grandi, ormai.

— Peter, questa sì che è una bella sfortuna. Potrai mai rassegnarti?

— Credo di sì — rispose Peter. — È tutto molto diverso da come avevo immaginato. Te ne renderai conto quando anche per te sarà l’ultima volta, ma adesso non c’è tempo da perdere. Ecco, questi sono i vestiti.

Fu una cosa strana e poco simpatica spogliarsi degli abiti regali e indossare la divisa della scuola (un po’ sgualcita, per la verità) ai margini della grande assemblea. Un paio di Telmarini, fra i più irriducibili, li canzonarono. Le altre creature di Narnia, invece, si alzarono in onore di Peter il Re supremo, di Susan regina del corno, di re Edmund e della regina Lucy, salutandoli.

Era l’addio fra amici che si volevano un gran bene e fu versata qualche lacrima, soprattutto da Lucy. Gli animali li baciarono, gli orsi bruni li strinsero forte, con Briscola furono scambiate calorose strette di mano e con Tartufello un abbraccio rapido e baffuto. Caspian, come c’era da aspettarsi, chiese a Susan di riprendere il corno e Susan, c’era da aspettarsi anche questo, disse che no, poteva tenerlo lui. Infine ci fu il commiato da Aslan, il saluto più straordinario ma anche più doloroso.

Dopodiché Peter si diresse verso la porta, con Susan che gli teneva una mano sulla spalla. Edmund aveva la mano sulla spalla di Susan e Lucy su quella di Edmund; in una lunga fila seguivano i Telmarini, il primo dei quali si era attaccato a Lucy con la mano. Raggiunta la soglia accadde qualcosa che è difficile descrivere, perché sembrò loro di vedere tre cose contemporaneamente. Una era l’antro di una caverna che si affacciava sul verde splendente e l’azzurro profondo di un’isola nel Pacifico: era l’isola in cui i discendenti di Telmar si sarebbero trovati dopo aver attraversato la porta. La seconda era la radura di Narnia, le facce dei nani e degli animali, gli occhi profondi di Aslan e le chiazze bianche sulle guance del tasso. Ma la terza visione, che cancellò rapidamente le altre due, era il selciato freddo e grigio di una stazione di campagna, una panchina con intorno i bagagli e quattro ragazzi seduti su di essa, come se non si fossero mai mossi. Certo, al momento del passaggio fra quel mondo e questo la stazione era sembrata banale e un po’ triste, ma a ben guardare aveva un suo fascino, con quel buon odore di stazione familiare, il cielo d’Inghilterra e la fine dell’estate che li aspettava.

— Bene — esclamò Peter. — È stato bello, ragazzi.

— Accidenti — piagnucolò Edmund. — Ho dimenticato a Narnia la mia torcia nuova.

FINE