Proprio mentre stava per aprire la porta di Harrison, Hooch alzò gli occhi dall’orbo ubriacone incontrando lo sguardo di un altro Rosso, e qui accadde la cosa buffa: per un istante, da quanto somigliava a Lolla-Wossiky, lo scambiò per quest’ultimo. Solo che era un Lolla-Wossiky con entrambi gli occhi, e niente affatto ubriaco, nossignori. Dalle piante dei piedi allo scalpo, quel Rosso doveva essere più di un metro e ottanta, ed era appoggiato al muro, la testa rasa tranne il ciuffo dello scalpo, gli abiti puliti e in ordine. E stava diritto, come un soldato sull’attenti, e non degnò Hooch neanche di un’occhiata. Il suo sguardo si perdeva in lontananza. Eppure Hooch capì all’istante che quel ragazzo vedeva tutto, anche se non concentrava lo sguardo su nulla.
Era un pezzo che Hooch non vedeva un Rosso come quello, così gelido e padrone di sé.
Pericoloso, pericoloso… Forse che Harrison si stava rammollendo per lasciar circolare nel proprio quartier generale un Rosso con quello sguardo? Con un portamento da re, e braccia così poderose da piegare un arco ricavato dal tronco di un querciolo di sei anni? Lolla-Wossiky era così spregevole da dargli la nausea. Ma quel Rosso che somigliava a Lolla-Wossiky era l’esatto contrario. E lungi dal fargli venire la nausea, lo faceva infuriare, con quell’aria così orgogliosa e provocatoria da dare l’impressione che si ritenesse alla pari dei Bianchi. Anzi, superiore. Ecco che effetto faceva… di uno che si ritenesse superiore.
Poi Hooch si rese conto di essersi fermato, la mano sulla maniglia, a fissare il Rosso. Quanto tempo era trascorso? Non era bene che la gente capisse fino a che punto quel Rosso lo metteva a disagio. Aprì la porta e fece un passo avanti.
Ma di quel Rosso non parlò, nossignori. Non era proprio il caso che Harrison sapesse quanto quell’unico Shaw-Nee avesse potuto disturbarlo, irritarlo. Perché dietro il grande tavolo antico se ne stava seduto il governatore Bill come il signore Iddio sul suo trono celeste, e Hooch si rese conto che da quelle parti le cose erano davvero cambiate. Non era solo il forte a essere cresciuto, ma anche la vanità di Bill Harrison. E se Hooch voleva davvero ricavare da quel viaggio i profitti che si era ripromesso, era meglio fare in modo che il governatore Bill scendesse di un gradino o due, così da poterlo trattare da pari a pari, e non da mercante a governatore.
«Ho visto i cannoni» disse Hooch, senza nemmeno curarsi di salutare. «A che ti serve tutta quell’artiglieria? Contro i francesi di Detroit o gli spagnoli della Florida? O forse c’entrano i Rossi?»
«Finché esisterà qualcuno disposto a pagare per uno scalpo, i Rossi c’entreranno sempre» spiegò Harrison. «Adesso siediti e rilassati, Hooch. Quando quella porta è chiusa, tra noi due non c’è bisogno di cerimonie.» Eh, sì, come a tutti i politicanti anche al governatore Bill piaceva giocare a carte coperte. Fa’ in modo che chi ti sta di fronte abbia la sensazione che gli stai facendo un favore solo a permettergli di sedersi alla tua presenza, lusingalo finché non si convince che non ha niente da temere, e poi vuotagli pure le tasche a tradimento. Molto bene, pensò Hooch, anch’io ho le mie carte da giocare, e vediamo un po’ chi avrà la meglio.
Hooch si mise a sedere appoggiando gli stivali sulla scrivania del governatore Bill. Tirò fuori una presa di tabacco e se la ficcò nella guancia. Vide che Bill aveva trasalito leggermente, segno certo che la moglie lo aveva costretto per amore o per forza a rinunciare a qualcuna delle sue abitudini virili. «Posso offrirti una presa?» chiese Hooch.
Con riluttanza, Harrison ammise che non gli sarebbe dispiaciuta. «Ho fatto una promessa, e ho quasi dovuto smettere» disse mestamente.
Dunque Harrison sentiva la mancanza della vita da scapolo. Molto bene, per Hooch era una buona notizia. Ora sapeva che il vecchio Bill aveva un punto vulnerabile. «Ho sentito dire che adesso ti fai scaldare il letto da una bianca di Manhattan» fece.
Funzionò; Harrison arrossì violentemente. «Ho sposato una signora di Nuova Amsterdam» replicò in tono glaciale.
A Hooch non fece la minima impressione. Era esattamente ciò che voleva. «Sposato!» esclamò. «Che mi prenda un colpo! Ti chiedo scusa, governatore, era una cosa che avevo sentito dire, devi perdonarmi. Mi ero fidato di… di quello che dicevano le voci.»
«Voci?» chiese Harrison.
«No, guarda, lasciamo stare. Lo sai come parlano i soldati. Mi vergogno anche solo di essere stato ad ascoltarli. Che diamine, dopo aver venerato il ricordo della tua prima moglie per tutti questi anni, se fossi stato veramente tuo amico avrei dovuto sapere che in casa tua avresti fatto entrare soltanto una signora, e dopo un regolare matrimonio.»
«Quello che voglio sapere» insisté Harrison «è chi ha insinuato che si trattasse di qualcos’altro.»
«Ma via, Bill, sono solo chiacchiere da caserma; non ho alcuna intenzione di mettere qualcuno nei guai solo perché non sa tenere a freno la lingua. È appena arrivato un carico di liquore, Bill, per l’amor del cielo! Non si può rinfacciare a nessuno quello che dice quando in testa ha soltanto il whisky. No, adesso fammi il favore di prenderti una bella presa di tabacco, e di ricordare che tutti i tuoi ragazzi ti ammirano e ti rispettano.»
Harrison pescò una cicca di rispettabili dimensioni dalla borsa che gli veniva offerta e se la ficcò nella guancia. «Sì, Hooch, lo so, non è questo a infastidirmi.» Ma Hooch capì che la cosa invece lo infastidiva, eccome, e che Harrison era talmente infuriato che non riusciva neanche a sputare diritto, e lo dimostrò mancando la sputacchiera. Una sputacchiera, notò Hooch, che fino a quel momento era stata lucida come uno specchio. Che da quelle parti non sputasse più nessuno, tranne Hooch?
«Ti stai civilizzando» osservò Hooch. «Tra un po’ ti vedremo con le tendine di pizzo alle finestre.»
«Le ho già» disse Harrison. «A casa mia.»
«E graziosi vasi da notte di porcellana.»
«Hooch, hai il cervello di un serpente e la lingua di un porco.»
«È per questo che mi vuoi bene, Bill… perché tu invece hai il cervello di un porco e la lingua di un serpente.»
«Puoi ben dirlo» confermò Harrison. «Ricordati sempre che posso mordere, e mordere a fondo, e con una buona dose di veleno. Ricordatelo sempre, prima di provare a giocarmi qualcuno dei tuoi tiri mancini.»
«Tiri mancini!» protestò Hooch. «A che cosa vuoi alludere, Bill Harrison? Di che cosa mi accusi?»
«Ti accuso di non averci fatto più arrivare una goccia di liquore per quattro lunghi mesi, al punto che ho dovuto far impiccare tre Rossi che erano penetrati nei miei magazzini. Perfino i miei soldati sono rimasti a secco!»
«Io? Ma se ti ho portato questo carico più in fretta che potevo!»
Harrison si limitò a sorridere.
Hooch conservò la sua espressione dolorosamente oltraggiata. Era una delle sue espressioni migliori, e per di più era in parte giustificata. Chiunque dei suoi concorrenti, se lui gli avesse lasciato anche solo una mezza testa di vantaggio, avrebbe sicuramente trovato il modo di arrivare a Carthage City per primo. Non era colpa di Hooch se per puro caso gli capitava di essere la canaglia più astuta, subdola e ignobile in un ramo d’affari che già in partenza non poteva certo definirsi roba da educande.
L’espressione di innocenza offesa di Hooch durò più a lungo del sorriso di Harrison, più o meno come Hooch si era aspettato.
«Ascoltami bene, Hooch» esordì Harrison.
«Forse sarebbe meglio che tu mi chiamassi ‘signor Ulysses Palmer’» disse Hooch. «Solo gli amici mi chiamano Hooch.»