E come sempre accadeva quando Scambiastorie gli rivolgeva di queste domande, Dio non ebbe molto da dirgli.
Scambiastorie non aveva il minimo desiderio di interrompere Ta-Kumsaw. O meglio, immaginò che in quel momento Ta-Kumsaw non avesse molta voglia di mettersi a discutere con un uomo bianco. Ma dentro di sé sentì crescere una visione. Non una visione come quelle che si attribuivano ai profeti, non un’immagine offerta alla sua vista interiore. Le visioni di Scambiastorie si presentavano in forma di parole, e lui non sapeva di che cosa si trattasse finché le sue stesse parole non glielo rivelavano. Ma anche in quei momenti, sapeva bene di non essere un profeta; le sue visioni non erano mai tali da poter cambiare il mondo, ma solo registrarlo, capirlo. In quel momento tuttavia Scambiastorie non si pose il problema del valore di quelle sue visioni. Gli vennero, e lui fu costretto a prenderne atto. Ma in quel luogo non gli era concesso di scrivere. Che gli rimaneva da fare, dunque, se non pronunciare quelle parole ad alta voce?
Così Scambiastorie parlò, disponendo le parole in versi, perché era così che le visioni andavano espresse, in poesia. All’inizio la storia che andava narrando lo confuse, e Scambiastorie non riuscì a capire se la terribile luce che lo accecava mentre le parole gli capitombolavano fuori delle labbra fosse la luce di Dio o quella di Satana. Sapeva soltanto che chiunque dei due avesse voluto una simile carneficina, si meritava abbondantemente la rabbia di Scambiastorie, e il vecchio non provò alcun ritegno nel fustigarlo con i suoi versi.
Tutto defluiva in quelle sue parole che sgorgavano dalle sue labbra in un getto così violento che Scambiastorie a malapena riusciva a riprender fiato e certamente non interruppe nemmeno per un istante il ritmo del suo discorso, e la sua voce si faceva sempre più forte mentre i versi che gli venivano spremuti dall’intimo saettavano contro la dura parete d’aria che lo circondava, quasi sfidando Dio ad ascoltarlo e a ricambiare la sua rabbia.
«Basta!»
Era Ta-Kumsaw. Scambiastorie si fermò a bocca aperta, mentre altre parole, altro dolore, si affollavano alle sue labbra. Ma Ta-Kumsaw non era uomo da tollerare la disobbedienza.
«È finito» disse Ta-Kumsaw.
«Sono morti tutti?» sussurrò Scambiastorie.
«Da quaggiù non posso sentire se c’è ancora vita» rispose Ta-Kumsaw. «Posso sentire solo la morte… Il mondo è stato lacerato come una vecchia coperta, che non potrà mai essere rammendata.» La disperazione lasciò immediatamente il posto a un odio gelido e implacabile. «Ma può essere lavata.»
«Se avessi potuto impedirlo, Ta-Kumsaw…»
«Sì, tu sei un brav’uomo, Scambiastorie. E tra voi ce ne sono altri. Corazza-di-Dio Weaver, per esempio. E se tutti i Bianchi fossero come te, se tutti imparassero a capire la terra, tra noi non ci sarebbero più guerre.»
«Ma io e te non siamo in guerra, Ta-Kumsaw.»
«Puoi forse cambiare il colore della tua pelle? E io posso forse cambiare il colore della mia?»
«Non si tratta della nostra pelle, ma dei nostri cuori…»
«Se tutti i Rossi fossero schierati da una parte e tutti i Bianchi dall’altra, da che parte ti metteresti?»
«Nel mezzo, implorando entrambi di…»
«Ti metteresti con la tua gente, e io con la mia.»
Scambiastorie capì che era impossibile ribattere. Forse avrebbe avuto il coraggio di rifiutare una simile scelta. Forse no. «Prego Iddio che non si arrivi mai a questo punto.»
«Ci siamo già arrivati, Scambiastorie» affermò Ta-Kumsaw. «Dopo quel che è successo oggi, finalmente non avrò più difficoltà a radunare il mio esercito di uomini rossi.»
Le parole balzarono alle labbra di Scambiastorie come animate da volontà propria: «È un’opera terribile, quella che hai intrapreso, se per mandarla avanti è necessaria la morte di tanta brava gente!»
Ta-Kumsaw rispose con un ruggito, balzando addosso a Scambiastorie, atterrandolo e costringendolo spalle a terra sull’erba del prato. La mano destra di Ta-Kumsaw stringeva Scambiastorie per i capelli; la sinistra lo aveva ghermito alla gola. «Tutti i Bianchi che non riusciranno a fuggire di là dal mare moriranno!»
Ma non aveva intenzione di ucciderlo. Infuriato com’era, Ta-Kumsaw non gli strinse la gola fino a soffocarlo. Un istante dopo il Rosso mollò la presa e rotolò di fianco, nascondendo la faccia nell’erba e allargando le braccia e le gambe in modo da abbracciare la terra con quanto più del suo corpo era possibile.
«Mi spiace» disse Scambiastorie. «Non avrei dovuto dirlo.»
«Lolla-Wossiky!» esclamò Ta-Kumsaw. «Quanto avrei preferito essermi sbagliato, fratello mio!»
«È vivo?» chiese Scambiastorie.
«Non lo so» rispose Ta-Kumsaw. Girò la testa in modo da premere la guancia sull’erba e puntò su Scambiastorie uno sguardo da incenerire. «Le parole che stavi pronunciando, Scambiastorie. Che cosa significavano? Che cos’hai visto?»
«Non ho visto niente» disse Scambiastorie. Poi, anche se seppe la verità solo pronunciandola, aggiunse: «Era della visione di Alvin che stavo parlando. Era quello che aveva visto lui. Il padre e i fratelli marciano lontano. E il firmamento gronda sangue umano. La visione è sua, mia è la poesia».
«E il ragazzo dov’è?» chiese Ta-Kumsaw. «Ha trascorso tutta la notte sulla collina; ma adesso dov’è?» Ta-Kumsaw balzò in piedi, voltandosi verso la Collina Ottagonale. «Nessuno vi ha mai trascorso una notte intera, e ora il sole sta per spuntare e lui non è ancora tornato.» Ta-Kumsaw si girò d’un tratto verso Scambiastorie. «Non riesce a scendere.»
«Che vuoi dire?»
«Ha bisogno di me» disse Ta-Kumsaw. «Lo sento. In lui si è aperta una terribile ferita. La terra sta assorbendo tutta la sua forza.»
«Che cosa c’è su quella collina? Che cos’è stato a ferirlo?»
«Chi lo sa che cosa può trovare dentro di sé un ragazzo bianco?» si chiese Ta-Kumsaw. Poi si voltò di nuovo verso la collina, come se qualcuno l’avesse chiamato. «Sì» disse, e di buon passo si avviò verso l’altura.
Scambiastorie lo seguì, senza far cenno alla contraddizione: Ta-Kumsaw, che aveva giurato di combattere contro i Bianchi finché — morti o fuggiti — non ne fosse rimasto più nemmeno uno, adesso si affrettava verso la Collina Ottagonale per salvare un ragazzo bianco.
Si fermarono entrambi nel punto dal quale Alvin aveva cominciato a salire.
«Vedi qualcosa?» chiese Scambiastorie.
«Non ci sono sentieri» rispose Ta-Kumsaw.
«Ma ieri l’hai visto» insisté Scambiastorie.
«Ieri un sentiero c’era.»
«Allora prova da qualche altra parte» disse Scambiastorie. «Cerca la tua via per salire sulla collina.»
«Un’altra via non mi condurrebbe nello stesso punto.»
«Suvvia, Ta-Kumsaw, la collina è grande, ma non così grande da non poter trovare quello che cerchi nel giro di un’ora.»
Ta-Kumsaw fissò Scambiastorie con aria sprezzante.
Imbarazzato e un po’ meno sicuro di sé, Scambiastorie proseguì ugualmente. «Allora per arrivare nello stesso posto sei obbligato a prendere lo stesso sentiero?»
«Come faccio a saperlo?» sbottò Ta-Kumsaw. «Non ho mai sentito dire che due persone siano salite sulla collina una dopo l’altra usando lo stesso sentiero.»