«Non vi è mai successo di andarci in due o tre?»
«Questo è il posto in cui la terra parla a tutte le creature che vi abitano. Le parole della terra sono l’erba e gli alberi; i suoi ornamenti sono gli uccelli e gli animali.»
Scambiastorie notò che, quando voleva, Ta-Kumsaw parlava l’inglese come un Bianco. No: come un Bianco istruito. Ornamenti. Dove mai aveva potuto imparare una parola del genere nella regione dell’Hio? «Sicché non ci è consentito di salire?»
Il volto di Ta-Kumsaw restò inespressivo.
«Be’, io direi di provarci ugualmente. La strada che ha preso la sappiamo… e allora prendiamola, che la si veda o no.»
Ta-Kumsaw continuò a tacere.
«Hai forse intenzione di restartene lì impalato lasciandolo lassù a morire?»
Per tutta risposta, Ta-Kumsaw fece un passo avanti, un passo che lo portò a faccia a faccia — o meglio, a petto a petto — con Scambiastorie. Ta-Kumsaw gli afferrò una mano, mentre con l’altra lo abbracciò stringendolo a sé e intrecciando le proprie gambe con le sue. Scambiastorie si chiese per un istante quale effetto avrebbero fatto a chi avesse potuto vederli, così stretti uno all’altro che non si capiva più a chi appartenesse una gamba e a chi l’altra. Il vecchio avvertiva il battito del cuore di Ta-Kumsaw, il cui ritmo gli sembrava molto più imperioso del pulsare lontano e precipitoso del suo. «Non siamo più due uomini» sussurrò Ta-Kumsaw. «Non siamo più un uomo bianco e un uomo rosso, divisi dal sangue versato. Siamo un solo uomo con due anime, un’anima rossa e una bianca, ma un corpo solo.»
«Benissimo» disse Scambiastorie. «Sia come vuoi tu.»
Sempre tenendo stretto Scambiastorie, Ta-Kumsaw si girò di fianco; ora avevano anche le teste premute insieme, orecchio contro orecchio, tanto che Scambiastorie non udiva più niente all’infuori del battito del cuore di Ta-Kumsaw, simile al martellare delle onde dell’oceano. Ma adesso che i loro corpi erano uniti e i loro cuori potevano dirsi fusi in uno solo, Scambiastorie scorse chiaramente un sentiero che risaliva il fianco della Collina Ottagonale.
«Vedi anche tu…» cominciò a dire Ta-Kumsaw.
«Lo vedo» l’interruppe Scambiastorie.
«Allora restami attaccato» disse Ta-Kumsaw. «AI desso siamo come Alvin… un’anima rossa e un’anima bianca nello stesso corpo.»
Tentare di salire sulla collina così uniti era scomodo, se non addirittura ridicolo. Ma ogni volta che i loro movimenti li allontanavano uno dall’altro, anche solo di un capello, il sentiero sembrava farsi più difficile, nascondersi dietro un tralcio di rampicanti, un cespuglio, un ramo sporgente. Così Scambiastorie si aggrappò a Ta-Kumsaw con la stessa disperazione con cui il Rosso si aggrappava a lui, e insieme riuscirono a compiere la difficile scalata fino alla vetta.
Arrivato in cima, Scambiastorie restò stupefatto nel vedere che, invece di trovarsi su un’unica collina, si trovavano sulla cresta di un anello formato da otto colline separate, con al centro una valle ottagonale. Fatto curioso, lo stesso Ta-Kumsaw era rimasto sconcertato. Adesso sembrava incerto; la sua presa su Scambiastorie non era più sicura come prima; non era più lui a dirigere.
«Dove andrebbe un Bianco una volta arrivato qui?» chiese Ta-Kumsaw.
«Giù, si capisce» disse Scambiastorie. «Quando un Bianco vede una valle, scende a vedere che cosa c’è dentro.»
«Fate sempre così?» chiese Ta-Kumsaw. «Senza sapere dove siete, dove sono le cose?»
Solo allora Scambiastorie capì che in quel luogo Ta-Kumsaw non poteva più far ricorso al suo senso della terra. Sulla Collina Ottagonale il Rosso era cieco come il Bianco.
«Avanti, scendiamo» disse Scambiastorie. «Guarda, non abbiamo più bisogno di stringerci uno all’altro. È solo un pendio erboso, e non ci servono sentieri.»
Attraversato un ruscello, trovarono Alvin disteso su un prato, sul quale aleggiava un sottile strato di nebbia. Il ragazzo non presentava segni di ferite, ma era privo di sensi e tremava come una foglia — quasi avesse la febbre, anche se la fronte era fresca — e il suo respiro era rapido e affannoso. Proprio come aveva detto Ta-Kumsaw: stava morendo.
Scambiastorie lo toccò, lo carezzò, lo scrollò, cercando di svegliarlo. Alvin non diede segno di essersi accorto della loro presenza. Ta-Kumsaw non poteva essere di alcun aiuto. Seduto accanto al ragazzo, gli teneva la mano e gemeva piano, così piano che Scambiastorie dubitò che egli stesso se ne rendesse conto.
Ma Scambiastorie non era tipo da cedere alla disperazione, se tale era il sentimento che si era impadronito di Ta-Kumsaw. Si guardò intorno. Lì vicino cresceva rigoglioso un albero dalle foglie d’un verde giallastro che alla luce dell’alba parevano d’oro puro. Da un ramo pendeva un frutto dalla pelle chiara. No, bianca. E all’improvviso, subito dopo averlo visto, Scambiastorie ne sentì l’odore, dolce e pungente, così forte che gli pareva quasi di sentirlo sulla lingua.
Agì, senza pensare a ciò che doveva fare, ma facendolo e basta. Si avvicinò all’albero, ne spiccò il frutto, quindi tornò là dove Alvin era disteso a terra, così piccolo e indifeso. Scambiastorie gli mise il frutto sotto il naso, come avrebbe fatto con una boccetta di sali, per farlo rinvenire. A un tratto il respiro rapido e superficiale di Alvin si fece più profondo, una serie di rantoli affannosi. Il ragazzo aprì gli occhi, schiuse le labbra, e dalle mascelle serrate uscì un gemito quasi identico al lamento di Ta-Kumsaw; quasi identico al guaito di un cane preso a calci.
«Dagli un morso» disse Scambiastorie.
Ta-Kumsaw si chinò in avanti, gli afferrò la mascella con una mano, la mandibola con l’altra, gli infilò le dita tra i denti e con grande sforzo lo costrinse ad aprire la bocca. Scambiastorie gli cacciò il frutto tra i denti; Ta-Kumsaw lo costrinse a chiudere di nuovo la bocca. Il frutto si spaccò, schizzando in bocca ad Alvin un liquido chiaro che colandogli lungo la guancia gocciolò nell’erba. Lentamente, a fatica, Alvin cominciò a masticare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Inghiottì. A un tratto alzò le braccia, afferrò Scambiastorie per il collo e Ta-Kumsaw per i capelli, e si tirò a sedere. Aggrappato a entrambi, attirandoli a sé con il viso di entrambi così vicino al suo che ciascuno dei tre respirava il fiato degli altri, Alvin pianse finché il viso di tutti e tre non fu bagnato, e siccome anche Ta-Kumsaw e Scambiastorie piangevano, nessuno poteva essere sicuro di chi fossero le lacrime che stendevano un lucido velo sul viso di ciascuno.
Alvin non disse molto, ma abbastanza. Raccontò ai suoi compagni ciò che era accaduto sul Tippy-Canoe quel mattino, del sangue che aveva tinto di rosso le acque del fiume, dei mille sopravvissuti che lo avevano attraversato sull’acqua fattasi liscia e dura; del sangue sulle mani dei Bianchi, e in particolare su quelle di uno di loro.
«Non è abbastanza» disse Ta-Kumsaw.
Scambiastorie non fece commenti. Non spettava a un Bianco spiegare a Ta-Kumsaw che i carnefici del suo popolo avevano ricevuto una punizione esattamente commisurata alle loro colpe. In più, Scambiastorie non era neanche sicuro di crederci.
Alvin narrò loro come avesse trascorso la sera e la notte precedenti con Measure, salvandolo da morte sicura; e come avesse trascorso la mattina a placare l’infinita sofferenza di novemila morti innocenti che urlavano nella mente del Profeta… novemila volte quell’unico urlo nero che anni prima aveva fatto impazzire Lolla-Wossiky. Che cos’era stato più difficile… guarire Measure, o guarire Lolla-Wossiky? «È proprio come dicevi tu» sussurrò Alvin rivolto a Scambiastorie. «È impossibile costruire quel muro più in fretta di quanto non vada in rovina.» Poi, esausto ma finalmente tranquillo, Alvin si addormentò.
Scambiastorie e Ta-Kumsaw restarono uno di fronte all’altro ad ascoltare il respiro lento e regolare di Alvin, raggomitolato in mezzo a loro.