«Giù» ordinò Alvin.
Scambiastorie obbedì allo strattone di Alvin e s’inginocchiò, pur temendo di non riuscire più a rialzarsi attraverso il tetto di rovi che gli si era immediatamente formato sopra la testa.
Poi Alvin gli guidò la mano finché Scambiastorie non sentì quella di un’altra persona, e all’improvviso i rovi si diradarono un pochino e Scambiastorie poté vedere Ta-Kumsaw disteso per terra, col sangue che gli grondava da centinaia di ferite aperte sul corpo seminudo. «È arrivato fin qui da solo» disse Alvin.
Ta-Kumsaw aprì gli occhi. Nel suo sguardo fiammeggiava la rabbia. «Lasciatemi qui» sussurrò.
Per tutta risposta, Scambiastorie strinse a sé con un braccio la testa di Ta-Kumsaw. Adesso che una superficie maggiore dei due corpi era a contatto, i rovi sembrarono piegarsi e indietreggiare. Dove fino a un attimo prima c’erano stati soltanto rovi, adesso Scambiastorie scorse un sentiero.
«No» protestò Ta-Kumsaw.
«Non possiamo uscire di qui senza aiutarci a vicenda» gli fece osservare Scambiastorie. «Che ti piaccia o no, se vuoi vendicarti dei Bianchi hai bisogno dell’aiuto di un Bianco.»
«Allora lasciami qui» sussurrò Ta-Kumsaw. «Salva la tua gente lasciandomi morire.»
«Neanch’io posso scendere senza di te» insisté Scambiastorie.
«Bene» fece Ta-Kumsaw.
Scambiastorie notò che le ferite di Ta-Kumsaw sembravano molto meno numerose, e quelle rimaste avevano già fatto la crosta ed erano pressoché guarite. Subito dopo si accorse che anche le sue ferite non gli facevano più male. Si guardò intorno. Alvin era seduto contro il tronco di un albero, a occhi chiusi, esausto, sfinito, come se l’avessero appena frustato.
«Guarda quanto gli costa guarirci» disse Scambiastorie.
Per una volta, l’espressione di Ta-Kumsaw tradì la sorpresa; la sorpresa, poi la rabbia. «Non ti ho chiesto di guarirmi!» gridò. Sottrattosi a forza all’abbraccio di Scambiastorie, cercò di avventarsi su Alvin. Ma all’improvviso un tralcio di rovi sbucato dal nulla gli si avvolse intorno al braccio, e Ta-Kumsaw gridò, non di dolore ma di rabbia. «Nessuno può costringermi a fare quello che non voglio!» urlò.
«Perché dovresti essere l’unico essere umano a godere di questo privilegio?» chiese Scambiastorie.
«Farò quel che ho deciso di fare e nient’altro, qualunque cosa la terra mi dica!»
«È esattamente quello che dice il fabbro nella fucina» disse Scambiastorie. «O il contadino che abbatte gli alberi della foresta.»
«Come osi paragonarmi a un uomo bianco!»
Ma i rovi si avviluppavano sempre più strettamente intorno al suo corpo, finché Scambiastorie non riuscì in qualche modo, dolorosamente, ad avvicinarsi a lui e ad abbracciarlo. Ancora una volta Scambiastorie sentì che le sue ferite si rimarginavano, e vide quelle di Ta-Kumsaw svanire con la stessa rapidità dei tralci che avevano anch’essi lasciato la presa, afflosciandosi a terra. Alvin li guardava supplichevole, come per dire: quanta forza mi sottrarrete ancora, prima di fare quello che sapete di dover fare?
Con un ultimo grido angosciato, Ta-Kumsaw si voltò abbracciando Scambiastorie con la stessa forza disperata della prima volta. Insieme, discesero l’ampio sentiero che adesso conduceva ai piedi della collina. Alvin li seguì incespicando.
Dormirono nello stesso luogo in cui avevano trascorso la notte precedente; ma il loro fu un sonno inquieto. Al mattino, Scambiastorie senza dire una parola ripose nella bisaccia i suoi pochi beni terreni, compreso il libro le cui parole in quel luogo non avevano più senso alcuno. Poi baciò Alvin sulla testa e se ne andò. A Ta-Kumsaw non disse niente, né questi disse niente a lui. Entrambi sapevano che cosa la terra avesse detto, ed entrambi sapevano che per la prima volta in vita sua Ta-Kumsaw andava contro a ciò che sarebbe stato bene per la terra, per soddisfare un bisogno diverso. Scambiastorie non cercò nemmeno più di discutere. Sapeva che Ta-Kumsaw sarebbe andato avanti per la sua strada senza curarsi di nulla, anche se questo significava vedersi il corpo solcato da mille ferite sanguinanti. Scambiastorie sperò soltanto che Alvin avesse la forza di restare con Ta-Kumsaw sino in fondo, e di tenerlo in vita anche quando ogni speranza fosse scomparsa.
Verso mezzogiorno, dopo aver camminato quasi in linea retta verso ovest per tutta la mattina, Scambiastorie si fermò e tirò fuori il libro dalla bisaccia. Con suo grande sollievo, riusciva di nuovo a leggerlo. Aprì la cinghia che racchiudeva gli ultimi due terzi del libro, le pagine che riservava a se stesso, e trascorse il resto del pomeriggio scrivendo tutto ciò che gli era accaduto, tutto ciò che Alvin gli aveva raccontato, tutto ciò che egli stesso temeva per il futuro. Scrisse anche le parole della poesia che gli era venuta alla mente il mattino precedente, i versi che gli erano venuti alle labbra, anche se la visione era quella di Alvin. Quella poesia era sempre giusta e vera, ma nel leggerne le parole scritte sul suo libro, la forza che le animava parve svanire. Non gli era mai capitato di arrivare così vicino a essere un poeta; ma ora quel dono lo aveva abbandonato, né del resto gli era mai appartenuto. Proprio come il giorno prima lui e Ta-Kumsaw avevano attraversato quel prato senza scorgervi niente di speciale, senza nemmeno immaginare che per Alvin era stato una carta geografica dell’intero continente, così ora, una volta scritte quelle parole nel suo libro, Scambiastorie non ricordava più la forza che le aveva ispirate.
Scambiastorie non poteva viaggiare come i Rossi, dormendo in piedi e camminando tutta la notte. Perciò gli ci volle più di qualche giorno per compiere il lungo viaggio verso ovest fino alla città di Vigor Church, dove sicuramente avrebbe trovato un sacco di gente con una vicenda lunga e amara da raccontargli. Se mai qualcuno aveva avuto bisogno di un uomo come Scambiastorie a cui narrare la propria vicenda, quel qualcuno erano proprio gli abitanti di Vigor Church. Eppure, se mai era esistita una storia che Scambiastorie esitasse a farsi raccontare, era la loro. Ma non esitò. Era in grado di sopportarlo. Ci sarebbero state molte altre vicende oscure da raccontare prima che Ta-Kumsaw fosse giunto al termine del suo cammino; meglio cominciare subito, in modo da non restare indietro.
XVI
LA FAYETTE
Seduto dietro la sua immensa scrivania, Gilbert de La Fayette era intento a scrutare la grana del legno. Davanti a lui erano aperte diverse lettere. Una era di de Maurepas per il re Carlo. Freddie era stato evidentemente conquistato da Napoleone. La lettera traboccava di lodi per il piccolo generale e per la sua brillante strategia.
Maestà, presto dunque otteremo la vittoria decisiva che darà nuova gloria al Vostro nome. Il generale Bonaparte si rifiuta di lasciarsi imprigionare negli angusti limiti della tradizione militare europea. Sta infatti addestrando i nostri soldati a combattere come i Rossi, anche se è sua intenzione costringere i cosiddetti americani a battersi in campo aperto come gli europei. Mentre Andrew Jackson raccoglie un esercito americano, noi raccogliamo un esercito di uomini che avrebbero ben più diritto di fregiarsi del nome di americani. I diecimila uomini di Ta-Kumsaw schierati al nostro fianco ci aiuteranno a distruggere i diecimila uomini di Vecchio Hickory. In questo modo Ta-Kumsaw avrà vendicato il sangue versato nel massacro del Tippy-Canoe, mentre noi, distruggendo l’esercito americano, sottometteremo tutto il territorio dal fiume Hio al lago Huron. E di tutto questo riconosciamo volentieri il merito alla Vostra Maestà, poiché foste Voi ad inviarci il generale Bonaparte, l’unico uomo capace di una simile conquista. E se adesso voleste inviarci altri duemila francesi per rafforzare le nostre linee così da indurre gli americani a compiere qualche azione precipitosa, il Vostro intervento sarà l’elemento decisivo della nostra vittoria.