E Alvin ebbe una gran paura che in lei si celasse qualche potere occulto, capace di trasformare Ta-Kumsaw in un uomo bianco.
«Mi chiamo Becca» disse la donna.
«E lui si chiama Alvin» lo presentò Ta-Kumsaw, o meglio Isaac, dato che a sentirlo parlare sicuramente somigliava ben poco a Ta-Kumsaw. «È figlio di un mugnaio del territorio del Wobbish.»
«È il filo che ho visto correre fuori dell’ordito.» Sorrise ad Alvin. «Vieni avanti» disse. «Voglio proprio conoscere il leggendario Ragazzo Rinnegato.»
«E chi sarebbe?» chiese Alvin. «Il Ragazzo Rinne… che?»
«Rinnegato. Su di lui negli Appalachi circola ogni genere di storie, non lo sapevi? Ta-Kumsaw che un giorno compare nel territorio dell’Osh-Kontsy, il giorno dopo in un villaggio sulle rive del fiume Yazoo, e incita i Rossi a massacrare e torturare. E insieme con lui c’è immancabilmente un ragazzo bianco che esorta i Rossi a essere ancora più spietati, che insegna loro i metodi segreti di tortura usati dall’inquisizione papista in Spagna e in Italia.»
«Questo non è vero» disse Alvin.
La donna sorrise. Le fiamme nei suoi occhi danzarono.
«Debbono proprio odiarmi» aggiunse Alvin. «Non so nemmeno che cosa sia, io, l’inqui… inqui…»
«Inquisizione» disse Isaac.
Alvin avvertì una fitta di paura alla bocca dello stomaco. Se su di lui circolavano storie del genere, questo significava che ormai tutti lo consideravano un criminale… un mostro, praticamente. «Io non faccio che accompagnare…»
«Lo so, quello che fai, e perché» disse Becca. «Da queste parti conosciamo Isaac abbastanza bene da non credere a questo genere di storie.»
Ma ad Alvin non importava nulla di «quelle parti». Quello che veramente gli importava era ciò che pensavano dalle sue parti, nel territorio del Wobbish.
«Non preoccuparti» proseguì Becca. «Nessuno sa chi sia questo leggendario ragazzo bianco. Sicuramente non uno dei due innocenti che Ta-Kumsaw ha fatto a pezzi nella foresta. Sicuramente non Alvin o Measure. Tra l’altro, scusami, chi sei dei due?»
«Alvin» disse Isaac.
«Ah, già» replicò Becca. «Me l’avevi anche detto. Non riesco mai a ricordarmi i nomi delle persone»
«Ta-Kumsaw non ha fatto a pezzi nessuno.»
«Come potrai facilmente immaginare, Alvin, da queste parti non abbiamo dato molto credito nemmeno a questa storia.»
«Oh.» Alvin non sapeva che cosa dire, e avendo vissuto per tanto tempo come un Rosso, fece ciò che fanno i Rossi quando non hanno niente da dire, qualcosa che ai Bianchi difficilmente viene in mente di fare. Non disse assolutamente nulla.
«Pane e formaggio?» chiese Becca.
«Sei troppo gentile. Grazie» disse Isaac.
Una cosa da non credersi. Ta-Kumsaw che ringraziava come un perfetto gentiluomo. Non che in mezzo alla sua gente non si comportasse in maniera nobile e cortese. Ma quando usava la lingua dell’uomo bianco si era sempre mostrato così freddo, così laconico. Fino a ora. Stregoneria.
Becca suonò un campanello.
«È cibo semplice, ma in questa casa viviamo semplicemente. Soprattutto io in questa stanza. Ma mi sembra appropriato a un posto così semplice.»
Alvin si guardò intorno. Becca aveva ragione. Solo allora capì di trovarsi nella capanna di tronchi originaria, con l’unica finestra sopravvissuta da cui entrava a fiotti la luce del meridione. Le pareti erano ancora di legno grezzo; Alvin semplicemente non se n’era accorto, per via della stoffa drappeggiata qua e là, appesa alle pareti, ammucchiata sui mobili, arrotolata in pezze. Una stoffa strana, intessuta di tanti colori che tuttavia non formavano un disegno sensato, ma ondeggiavano da una parte e dall’altra, mutavano di sfumature e di colori — un’ampia striscia azzurra, qualche sottile filo verde — che prima s’intrecciavano e poi si dividevano.
In risposta al campanello di Becca entrò qualcuno, probabilmente un uomo anziano a giudicare dalla voce; Becca gli chiese di portare da mangiare, ma Alvin non lo guardò neanche, perché non riusciva a staccare lo sguardo da quel tessuto. A che cosa poteva servire tutta quella stoffa? A che scopo una simile disordinata e vivacissima accozzaglia di colori?
E poi, dove finiva?
Alvin si avvicinò a una decina di pezze arrotolate, appoggiate verticalmente una all’altra in un angolo, e si accorse che ogni rotolo veniva fuori dall’altro. Qualcuno aveva preso la fine di ciascuna pezza avvolgendola su se stessa in modo da formare l’inizio della pezza successiva, e così via, così che ora il tessuto uscendo dal fondo di un rotolo balzava in alto per rituffarsi al centro di quello successivo, formando una specie di catena. Non era un mucchio di pezze separate; era un’unica pezza, arrotolata fino a diventare quasi troppo pesante per poter essere alzata, e allora cominciava quella successiva senza che le forbici avessero mai toccato il tessuto. Alvin cominciò a fare il giro della stanza seguendo con le dita il disegno della stoffa appesa alle pareti e piegata sul pavimento. Gira gira, arrivò alla fine, proprio mentre il vecchio rientrava nella stanza con pane e formaggio. Il tessuto usciva dalla parte anteriore del telaio di Becca.
Nel frattempo, Ta-Kumsaw aveva continuato a rivolgersi a Becca con la sua voce da Isaac, e lei a rispondergli con quella sua voce profonda e melodiosa, con un lievissimo accento forestiero simile a quello di certi olandesi dalle parti di Vigor Church, che in America ci erano nati ma, nella pronuncia, conservavano ancora una traccia della terra d’origine. Solo ora, in piedi davanti al telaio, con il cibo su un tavolino basso circondato da tre sedie, solo ora Alvin prestò attenzione a quello che i due si dicevano, e questo soltanto perché avrebbe tanto voluto chiedere a Becca a che cosa servisse tutta quella stoffa che lei stava evidentemente tessendo da più di un anno, a che cosa servisse quell’unica lunga pezza che nessuno tagliava per ricavarne qualcosa. Era quello che la mamma avrebbe chiamato «uno spreco vergognoso», avere qualcosa e non usarlo, come la sua vicina Dally Framer che aveva una voce così bella e a casa cantava tutto il giorno, mentre in chiesa non apriva bocca.
«Mangia» disse Ta-Kumsaw. E nel rivolgersi bruscamente ad Alvin, la sua voce perse qualsiasi accento britannico; era di nuovo il vero Ta-Kumsaw. Alvin allora si tranquillizzò, rendendosi conto che sotto non c’era alcuna stregoneria, che Ta-Kumsaw aveva semplicemente due modi di parlare; ma ovviamente questo fece sorgere nella sua mente nuove domande, riguardo a dove Ta-Kumsaw potesse avere imparato a parlare in quel modo. Alvin non aveva mai sentito accennare nemmeno per caso al fatto che Ta-Kumsaw potesse avere degli amici bianchi nello Stato degli Appalachi; e si poteva star certi che una storia del genere avrebbe fatto in fretta a circolare. Anche se non era difficile immaginare il motivo per cui Ta-Kumsaw avrebbe avuto tutto l’interesse a evitarlo. Che cosa avrebbero detto i Rossi infiammati dalle sue parole se avessero potuto vederlo adesso? Che ne sarebbe stato della guerra?
Tra l’altro, com’era possibile che Ta-Kumsaw volesse veramente la guerra, se tra i Bianchi aveva dei veri amici come la gente di quella valle? Sicuramente per un Rosso la terra di quel posto era morta. Come faceva Ta-Kumsaw a sopportare una cosa del genere? Ad Alvin dava una tale sensazione di vuoto che, pur essendosi ingozzato di pane e formaggio fino ad avere la pancia che gli strabuzzava in fuori, continuava a sentire qualcosa che gli rodeva dentro, il bisogno di tornare nella foresta e avvertire dentro di sé il canto della terra.
Mentre Alvin e Ta-Kumsaw mangiavano, Becca riferiva a quest’ultimo le ultime novità della valle, citando nomi che ad Alvin non dicevano nulla, tranne per il fatto che ciascuno avrebbe potuto essere il nome di qualche abitante di Vigor Church; c’era perfino gente che si chiamava Miller, cosa del tutto naturale considerando che molti mugnai si chiamavano così — in inglese miller significa appunto «mugnaio» — e in una valle di quelle dimensioni si produceva sicuramente grano bastante a dar lavoro a più di un mulino.