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«E voi l’avete lasciata andare?»

«Proprio come la mia antenata seduta al suo telaio lasciò partire sua figlia perché attraversasse l’oceano con un nuovo telaio e un padre premuroso al suo fianco, sì, anch’io l’ho lasciata andare.» Becca sorrise mestamente. «Abbiamo tutti un lavoro da compiere, ma non esiste lavoro ben fatto che non abbia il suo prezzo. Quando Isaac se la portò via, mi trovavo già in questa stanza. Tutto ciò che è accaduto è stato un bene.»

«Ma se quando è arrivato non gli avete nemmeno chiesto come stava vostra figlia! E ancora non glielo avete chiesto.»

«Non ne avevo bisogno» disse Becca. «Alla custode del telaio non può accadere niente di male.»

«Be’, se vostra figlia se n’è andata, chi prenderà il vostro posto?»

«Forse prima o poi arriverà un altro marito. Un marito che resterà in questa casa, e costruirà un altro telaio per me, e un altro ancora per una figlia di là da venire.»

«E a voi che cosa succederà?»

«Quante domande, Alvin» protestò Ta-Kumsaw. Ma la sua voce era bassa e stanca e britannica; Alvin non provava alcuna soggezione per il Ta-Kumsaw che leggeva i libri dei Bianchi, e di conseguenza non si curò di quel benevolo rimprovero.

«Che ne sarà di voi quando vostra figlia prenderà il vostro posto?»

«Non lo so» disse Becca. «Ma si narra che andiamo nel luogo da cui vengono i fili.»

«E laggiù che cosa fate?»

«Filiamo.»

Alvin cercò di immaginarsi la madre di Becca, e sua nonna, e tutte le donne che le avevano precedute, tutte in fila, cercò di immaginarsi quante potessero essere, tutte al lavoro davanti al filarello, che torcevano la fibra grezza infilata nel fuso ricavandone fili bianchi che finivano chissà dove, si allungavano e sparivano nel nulla finché a un certo punto non si spezzavano. O forse quando il filo si spezzava, esse lo tenevano per un istante tra le mani, un’intera vita umana, e poi lo gettavano in alto finché non veniva afferrato da un venticello passeggero, e poi ricadeva giù e andava a impigliarsi nel telaio di qualcuno. Una vita in balia del vento, che casualmente andava a intessersi nella tela dell’umanità; una vita nata in un momento arbitrario, che lottava per trovare il modo di inserirsi nella tela, e trovava la sua forza nell’intrecciarsi con tutte le altre.

E nell’immaginare tutto questo, Alvin immaginò anche di capire meglio la natura di quella tela. Più l’ordito era stretto, infatti, più il tessuto acquistava forza e resistenza. I fili che serpeggiavano alla superficie della stoffa, tuffandosi solo raramente nella trama, contribuivano poco alla robustezza del tessuto, molto al colore. Altri fili dei quali il colore neanche si distingueva erano invece profondamente inseriti nella trama e tenevano insieme tutto il resto. In quei fili nascosti che univano tutti gli altri c’era qualcosa di intrinsecamente buono. Da quel momento in poi, Alvin avrebbe saputo apprezzare nel suo giusto valore la persona — uomo o donna — che viveva una vita tranquilla e poco appariscente, alla quale gli altri non prestavano né attenzione né considerazione, e che pure continuava a intessere la propria vita in quella del villaggio, del paese o della città, unendo e rinsaldando tutte le altre vite; e Alvin avrebbe silenziosamente salutato quella persona rendendole omaggio in cuor suo, consapevole che era proprio la sua vita a dare resistenza al tessuto, consistenza alla trama.

Alvin ricordò anche i numerosi fili che si interrompevano là dove avrebbe avuto luogo la battaglia voluta da Ta-Kumsaw, come se questi avesse preso un paio di forbici e li avesse troncati di netto.

«Non c’è modo di evitarlo?» chiese Alvin. «Non c’è speranza che la battaglia non si svolga, e i fili non si spezzino?»

Becca scosse la testa. «Se Isaac si rifiutasse di parteciparvi, la battaglia avrebbe luogo anche in sua assenza. No, i fili non sono stati spezzati da qualcosa che Isaac abbia fatto. Si sono spezzati nel momento in cui un qualsiasi uomo rosso ha scelto un corso d’azione che lo avrebbe sicuramente portato a morire in battaglia; se è questo che ti preoccupa, tu e Isaac non siete andati in giro a spargere la morte, non più di quanto lo stia facendo Vecchio Hickory. Quella che avete sparso è soltanto una possibilità di scelta. Nessuno era tenuto a credervi. Nessuno era costretto a scegliere la morte.»

«Ma loro in quel momento non sapevano di scegliere.»

«Certo che lo sapevano» lo smentì Becca. «Tutti quanti lo sappiamo. Non vogliamo ammetterlo neanche di fronte a noi stessi, fino al momento stesso della morte, ma in quel momento, Alvin, ci vediamo davanti tutta la nostra vita, e capiamo che giorno dopo giorno abbiamo scelto le circostanze in cui saremmo morti.»

«E se uno se ne va in giro tranquillamente e gli cade un macigno in testa e lo sfracella?»

«È stato lui a decidere di trovarsi in un posto dove succedono cose del genere. E in quel momento non guardava in alto.»

«Non ci credo» disse Alvin. «Secondo me la gente può sempre cambiare quello che le succederà, e certe cose succedono senza che nessuno le abbia volute.»

Becca gli sorrise, tendendo il braccio verso di lui. «Vieni, Alvin. Lasciati stringere. La tua candida fede mi rincuora, e a quella fede voglio aggrapparmi, anche se non riesco a farla mia.»

Becca lo strinse a sé per qualche minuto, e ad Alvin quel braccio intorno alle spalle ricordò a tal punto la stretta forte e gentile di sua madre, che gli venne perfino un po’ da piangere. Anzi, pianse molto di più di quello che avrebbe voluto, se pure aveva avuto intenzione di piangere. E si guardò bene dal chiedere a Becca di mostrargli il filo della sua vita, pur immaginando che trovarlo non sarebbe stato difficile: l’unico filo nato nella parte bianca della tela, che poi emigrava dall’altra parte e diventava verde. Sicuramente diventava verde, come quelli dei seguaci del Profeta.

Di un’altra cosa era sicuro, talmente sicuro che non si prese nemmeno la briga di informarsi, anche se non era certo il tipo che si vergognava di far domande. Era sicuro che Becca sapesse quale fosse il filo di Ta-Kumsaw, ed era altrettanto sicuro che il proprio filo e quello di Ta-Kumsaw erano strettamente intrecciati uno all’altro, almeno per un certo tratto. Finché Alvin fosse restato al suo fianco, Ta-Kumsaw sarebbe vissuto. Alvin sapeva che la loro vicenda aveva due possibili conclusioni: nella prima, Alvin moriva per primo lasciando solo Ta-Kumsaw, che ben presto sarebbe morto a sua volta; nella seconda, nessuno dei due moriva, e i loro fili proseguivano fino a scomparire. A dire il vero, ci sarebbe stata anche un’altra possibilità: che Alvin se ne andasse, abbandonando Ta-Kumsaw al proprio destino. Ma se l’avesse fatto, non sarebbe stato più Alvin, per cui non aveva alcun senso considerarla una possibilità visto che così non era.

Quella notte Alvin dormì in biblioteca, su una stuoia, dopo aver letto qualche pagina di un libro scritto da un tale chiamato Adam Smith. Dove fosse andato a dormire Ta-Kumsaw, Alvin non lo sapeva, né si sognò di chiederlo. Quello che un marito fa con sua moglie non è cosa che debba interessare i bambini. Questo lo sapeva; ma allo stesso tempo si chiese se il motivo principale per cui Ta-Kumsaw era tornato in quella casa non fosse tanto il desiderio di vedere il telaio, quanto quella fame di cui aveva parlato Becca. Il bisogno di un’altra figlia che potesse prendersi cura del telaio di Becca. A giudizio di Alvin, non era affatto una cattiva idea affidare la tela dell’America bianca alle mani della figlia di un uomo rosso.

Il mattino seguente Ta-Kumsaw se lo riportò via nella foresta. Non parlarono più di Becca, né di qualsiasi altro argomento; tutto era tornato come prima, con Ta-Kumsaw che parlava solo per ordinargli di fare questo o quello. Alvin non lo udì più parlare con la sua voce da Isaac, tanto che cominciò a dubitare di averla mai udita.

Sulla riva settentrionale del fiume Hio, a poca distanza dalla confluenza col Wobbish, si andava raccogliendo l’esercito dei Rossi, più Rossi di quanti Alvin avrebbe mai creduto che ne potessero esistere in tutta l’America. Più gente di quanta Alvin avrebbe mai potuto immaginarsi di veder radunata in un unico luogo.