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«E non ne è arrivata neanche una?»

«Le balene grigie stanziali ci sono, però sono poche», rispose Anawak.

«E le megattere?»

«Stessa storia. Sparite.»

«Ha detto che sta scrivendo un articolo sui beluga?» domandò ancora Samantha.

Anawak la fissò. «Che ne dice di raccontarmi qualcosa di lei? La curiosità non è un suo diritto esclusivo», replicò.

Samantha Crowe gli lanciò uno sguardo divertito. «Davvero? Lei sa già la cosa più importante. Sono una vecchia scocciatrice e faccio domande.»

Sopraggiunse un cameriere e servì ai due, gamberoni giganti con risotto allo zafferano. A dire la verità, stasera avresti voluto star qui da solo, senza nessuno a far domande, pensò Anawak. Eppure apprezzava la compagnia di Samantha. «Che cosa chiede? A chi e perché

Lei tirò fuori dalla corazza un gamberone profumato d'aglio. «Semplice. Io chiedo: c'è qualcuno?»

«C'è qualcuno?»

«Esatto.»

«E la risposta qual è?»

La polpa del gamberone le sparì tra due file di denti bianchissimi. «Non l'ho ancora avuta.»

«Forse dovrebbe chiedere a voce più alta», propose Anawak, facendo il verso a quello lei che gli aveva detto sulla spiaggia.

«Lo farei volentieri», disse Samantha, masticando. «Tuttavia, al momento, il mezzo e le possibilità mi bloccano a una distanza di circa duecento anni luce. Dalla metà degli anni '90 abbiamo analizzato sessanta miliardi di misurazioni e, di trentasette, non siamo ancora riusciti a capire se siano di origine naturale o il tentativo di qualcuno di dirci: 'Ciao'.» Anawak la fissò. «Il SETI? Lei è del SETI?» chiese.

«Esatto. Search for Extra Terrestrial Intelligence. Del progetto di ricerca PHOENIX, per essere precisi», confermò Samantha.

«Lei ascolta lo spazio.»

«Circa un migliaio di stelle simili al sole che abbiano più di tre miliardi di anni, sì. È solo un progetto fra i tanti, ma forse il più importante, se mi permette l'immodestia.»

«Perbacco!»

«Non tenga la bocca aperta, Leon, non è una cosa così straordinaria. Lei analizza il canto delle balene e cerca di capire se ci stanno raccontando qualcosa. Noi ascoltiamo lo spazio perché siamo convinti che brulichi di civiltà intelligenti. Probabilmente lei, con le sue balene, ha ottenuto risultati migliori dei nostri.»

«Io ho solo un paio di oceani; lei ha tutto l'universo.»

«Ci muoviamo in dimensioni diverse, lo ammetto. Però ho sentito dire che delle profondità marine si sa ancora meno che dell'universo.»

Anawak era affascinato. «E lei ha ricevuto segnali che potrebbero dimostrare l'esistenza di forme di vita intelligente?»

«No, abbiamo captato segnali che non riusciamo a classificare. Le possibilità di ottenere un contatto sono molto basse, forse addirittura irrealistiche. A dire il vero, per la frustrazione dovrei gettarmi dal ponte più vicino, tuttavia mi piace troppo mangiare queste cosettine qui, e poi sono ossessionata. Più o meno come lei con le sue balene.»

«Io, perlomeno, so che esistono.»

«Al momento pare di no», sorrise Samantha.

Anawak avrebbe voluto fare mille domande. Il SETI l'aveva sempre interessato. Il progetto di ricerca d'intelligenze extraterrestri era stato formalmente avviato dalla NASA in occasione del Columbus Day del 1992. Ad Arecibo, in Portorico, era stato costruito il più grande radiotelescopio della Terra per portare a termine un progetto rivoluzionario. Nel frattempo, il SETI, grazie alla generosità degli sponsor, aveva intrapreso altri progetti in tutto il mondo, finalizzati alla ricerca di vita extraterrestre. Il PHOENIX era uno dei più noti. «È lei la donna che Jodie Foster ha interpretato in Contact?» chiese.

«Io sono la donna che vorrebbe salire sullo stesso trabiccolo che nel film porta Jodie Foster dagli extraterrestri. Sa, per lei faccio un'eccezione, Leon. Normalmente sono presa da attacchi isterici se qualcuno mi chiede del mio lavoro. Ogni volta sono costretta a spiegare per ore quello che faccio.»

«Anch'io.»

«Appunto. Lei mi ha raccontato qualcosa e io sono in debito. Cos'altro vuole sapere?»

Anawak non ebbe bisogno di riflettere. «Perché finora non avete ottenuto risultati?»

Samantha sembrava divertita. Spazzolò i gamberoni giganti dal piatto e attese un po' prima di rispondere. «Chi ha detto che non ne abbiamo ottenuti? La Via Lattea contiene circa cento miliardi di stelle. Individuare pianeti simili alla Terra presenta qualche difficoltà, perché la loro luce è troppo debole. Riusciamo a postularne l'esistenza solo con calcoli matematici, ma teoricamente dovrebbero essere tantissimi. Comunque il problema rimane: provi lei ad ascoltare un miliardo di stelle!»

«Certo», sorrise lui. «È molto più facile occuparsi di ventimila megattere.»

«Come vede, c'è da invecchiare con un simile impegno. È un po' come se lei dovesse dimostrare l'esistenza di un pesce minuscolo e per farlo dovesse passare al setaccio ogni litro d'acqua dell'oceano. Ma i pesci si muovono. Potrebbe ripetere la procedura fino al giorno del giudizio e magari arrivare alla conclusione che un simile pesce non esiste. E invece ce ne sono tantissimi, solo che nuotano sempre in un litro d'acqua diverso da quello che lei sta osservando. Ora, il PHOENIX osserva contemporaneamente diversi litri d'acqua, ma diciamo che noi ci limitiamo al Georgia Strait. Capisce? Là fuori ci sono delle civiltà. Non lo posso provare, ma sono convintissima che il loro numero sia enorme. Peccato che l'universo sia infinitamente grande. Questo annacqua le nostre possibilità molto più di quanto non faccia il distributore automatico di caffè ad Arecibo.»

«La NASA non aveva trasmesso un messaggio nell'universo?» chiese Anawak.

«Ah.» Gli occhi della donna brillavano. «Intende dire che non stiamo solo in ascolto, ma mandiamo anche segnali? Certo che l'abbiamo fatto. Nel 1974, da Arecibo, abbiamo spedito un messaggio verso M13, un ammasso stellare globulare. Ma ciò non risolve il nostro problema. Ogni segnale, che provenga sia da noi sia da altri, va perso nello spazio interstellare. Sarebbe un caso incredibile se venisse ricevuto da qualcuno. Inoltre stare ad ascoltare costa meno che mandare messaggi.»

«Tuttavia aumenterebbe le possibilità.»

«Forse non vogliamo aumentarle», disse Samantha.

«Perché no?»

«Noi vorremmo, però molti sono diffidenti. C'è gente convinta che sarebbe meglio non attirare l'attenzione perché 'loro' potrebbero arrivare qui e portarci via la nostra bella Terra. Uh! Potrebbero addirittura mangiarci.»

«Ma è una sciocchezza.»

«Non so se è una sciocchezza. Personalmente credo anch'io che un'intelligenza in grado di fare viaggi interstellari abbia ormai superato lo stadio del caos», replicò Samantha. «D'altra parte, credo anche che un simile argomento non possa essere trattato con leggerezza. L'umanità deve riflettere su come farsi notare. Altrimenti c'è il rischio di creare equivoci.»

Anawak rimase in silenzio. Improvvisamente gli tornarono in mente le balene. «Non le capita mai di scoraggiarsi?» le chiese.

«A chi non è mai successo? Ma per quello ci sono le sigarette e i video.»

«E se raggiungesse il suo scopo?»

«Buona domanda, Leon.» Samantha fece una pausa, strisciando distrattamente il dito sul piano del tavolo. «In fondo, è da anni che mi chiedo quale sia il nostro vero scopo. Credo che, se conoscessi la risposta, interromperei le ricerche. Una risposta è sempre la fine di una ricerca. Forse siamo tormentati dalla solitudine della nostra esistenza, dall'idea di essere un caso che non si è ripetuto da nessun'altra parte. Ma forse vogliamo anche la prova che siamo soli e quindi occupiamo davvero la posizione privilegiata che sosteniamo ci spetti nel creato. Non lo so. Perché lei studia balene e delfini?»

«Sono… curioso.» No, non è del tutto vero, pensò Anawak mentre rispondeva. È più che semplice curiosità. Ma che cosa sto cercando? Samantha aveva ragione. In fondo facevano la stessa cosa. Ciascuno tendeva l'orecchio nel proprio cosmo e sperava di ottenere risposte. Ciascuno provava il profondo desiderio di trovare una società di esseri intelligenti che non fossero umani.