Strani animali, in effetti.
Infilò tutto nella borsa e andò a lezione. Due ore dopo, era sulla jeep e stava attraversando il paesaggio collinare e i fiordi in direzione Kristiansund. Ormai era iniziato il disgelo. Gran parte della neve era sparita, lasciando posto a una campagna nera e marrone. In quei giorni, le condizioni meteorologiche rendevano difficile la scelta dell'abbigliamento. All'università, metà del personale era raffreddato. Johanson si era premunito e aveva preparato una valigia che forse era troppo pesante per il volo in elicottero, ma non aveva voglia di prendersi un raffreddore sulla Thorvaldson, e soprattutto non tollerava che la scelta del suo abbigliamento fosse dettata dal mezzo di trasporto. Tina l'avrebbe preso in giro nel vederlo con tutto quel bagaglio, ma non gli importava. Se fosse stato possibile, si sarebbe portato anche una sauna da viaggio. Inoltre nel suo bagaglio c'erano alcune cose che sarebbero state senza dubbio utili durante una notte su una nave in compagnia di una donna. Sì, erano solo amici, ma ciò non implicava che dovessero tenere le distanze.
Johanson guidava lentamente. Avrebbe potuto raggiungere Kristiansund in un'ora, ma la fretta non faceva per lui. A metà percorso, la strada costeggiava l'acqua e procedeva lungo una serie di ponti, pertanto lui si gustò la vista di quel panorama selvaggio. Nei pressi di Halsa, imboccò la strada che passava sui fiordi, scorgendo vari ponti che attraversavano l'acqua color ardesia. La stessa Kristiansund sorgeva su diverse isole. Superò la città e passò sull'isola di Averoy, un luogo carico di storia, giacché era stato uno dei primi a essere abitato subito dopo l'ultima glaciazione. Sveggesundet, un pittoresco villaggio di pescatori, sorgeva sulla punta estrema dell'isola. Durante l'alta stagione, era invaso da eserciti di turisti e le barche viaggiavano senza sosta tra le isole. In quel momento c'era poca gente, ma già s'intravedeva l'attesa dell'imminente estate, foriera di guadagni.
Dopo due ore di viaggio, svoltò nel parcheggio ghiaioso del Fiskehuset, un ristorante la cui terrazza offriva una bella vista sul mare. Era chiuso e non c'era anima viva. Tina era seduta a un tavolo di legno, all'aperto, incurante del freddo, ed era in compagnia di un giovane che Johanson non conosceva. Il modo in cui i due se ne stavano vicini sulla panca gli fece però sorgere un sospetto. Si avvicinò e tossicchiò. «Sono in anticipo?»
Lei sollevò lo sguardo. Nei suoi occhi c'era uno straordinario luccichio. Johanson osservò l'uomo che le stava vicino — un trentenne di corporatura atletica, coi capelli biondo scuro e con un viso dai bei lineamenti — e il sospetto divenne certezza. «Posso tornare più tardi», disse cortesemente.
Lei fece le presentazioni. «Kare Sverdrup… Sigur Johanson.»
Il biondo sorrise a Johanson e gli tese la mano destra. «Tina mi ha raccontato molte cose di lei.»
«Spero nulla che la possa inquietare.»
Kare sorrise. «Al contrario, so che lei è un intrattenitore straordinariamente affascinante.»
«Un vecchiaccio straordinariamente affascinate», lo corresse Tina.
«Un libidinoso vecchiaccio», completò Johanson. Si sedette sulla panca di fronte ai due, sollevò il colletto della giacca a vento e appoggiò vicino a sé la borsa contenente le analisi. «La parte tassonomica. Molto esauriente. Posso fare una sintesi, se vuoi.» Guardò Kare. «Non vorremmo annoiarla. Tina le ha raccontato di cosa si tratta oppure si è limitata a guardarla, sospirando d'amore?»
Tina gli gettò un'occhiataccia.
«Capisco.» Johanson aprì la borsa e tirò fuori le buste. «Allora, ho mandato uno dei tuoi vermi al Forschunginstitut di Francoforte e un altro allo Smithsonian Institute: ci lavorano i migliori tassonomi che io conosca e sono specialisti nel campo dei vermi. Un altro verme è andato a Kiel, per essere analizzato col microscopio elettronico a scansione lineare, ma non ho ancora i risultati. Manca anche l'analisi dello spettrometro di massa. Anzitutto ti posso dire su che cosa sono d'accordo gli esperti.»
«Davvero?»
Johanson si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe. «Sono d'accordo sul fatto che non sono d'accordo.»
«Illuminante.»
«Sostanzialmente hanno confermato la mia prima impressione. Si tratta, con un certo margine di verosimiglianza, di Hesiocaeca methanicola, noto anche come 'verme del ghiaccio'.»
«Il mangiametano?»
«La definizione non è corretta, mia cara, ma fa lo stesso. Questa è la prima parte. La seconda è che le mascelle enormemente pronunciate e le numerose file di denti fanno sorgere dei dubbi. Queste caratteristiche fanno pensare a un predatore, oppure a uno scavatore o a un macinatore. E questo è strano.»
«Perché?»
«Perché ai vermi del ghiaccio non servono apparati tanto grandi. È vero che hanno le mascelle, ma sono decisamente più piccole.»
Kare ridacchiò, imbarazzato. «Mi scusi, dottor Johanson, io non capisco molto di questi animali, però m'interessano. Perché non hanno bisogno delle mascelle?» chiese.
«Perché vivono in maniera simbiotica», spiegò Johanson. «Assumono batteri che a loro volta vivono negli idrati di metano…»
«Negli idrati?» chiese Kare.
Johanson gettò una fugace occhiata a Tina e lei scrollò le spalle, borbottando: «Spiegaglielo».
«È semplice. Forse ha sentito dire che gli oceani sono pieni di metano», cominciò.
«Sì, in questo periodo non si legge altro.»
«Il metano è un gas. Si trova in grandi quantità sul fondale marino lungo la scarpata continentale. La superficie del fondale è gelata. Acqua e metano si uniscono in una sorta di ghiaccio, che resiste solo se sottoposto a pressioni elevate e basse temperature. Ecco perché si trova solo a una certa profondità. Questo ghiaccio si chiama 'idrato di metano'. Fin qui tutto chiaro?»
Kare annuì.
«Bene. Nell'oceano ci sono batteri ovunque. Alcuni assimilano il metano: lo mangiano e separano l'acido solfidrico. È vero che i batteri sono microscopici, però la loro quantità è tale che essi ricoprono il fondale marino come un tappeto. Infatti parliamo di 'tappeti di batteri'. Questi tappeti si trovano prevalentemente dove ci sono idrati di metano. Domande?»
«Non ancora», disse Kare. «Presumo che ora entrino in gioco i vermi.»
«Esatto. Ci sono vermi che vivono dei prodotti di rifiuto dei batteri. Hanno un legame simbiotico con loro. In alcuni casi, il verme mangia i batteri e li tiene dentro di sé; in altri casi, essi vivono su di lui. In un modo o nell'altro, procurano il nutrimento ai vermi. Per questo il verme vive sugli idrati. Si mette comodo, si concede un bel boccone di batteri e non fa molto altro. Per esempio, non ha bisogno di scavare perché non mangia il ghiaccio, ma i batteri che ci stanno sopra. Si limita a rotolare su se stesso per sciogliere un avvallamento e poi se ne sta lì, tutto soddisfatto.»
«Capisco», disse Kare lentamente. «Il verme non ha nessun motivo di spingersi in profondità. Ma gli altri vermi lo fanno?»
«Ci sono specie diversissime. Alcune mangiano i sedimenti o i tessuti presenti sui sedimenti, oppure elaborano il detritus», rispose Johanson.
«E cos'è?»
«È tutto ciò che, dalla superficie, affonda negli abissi marini. Cadaveri, particelle, resti di ogni genere. Ci sono vermi che non vivono in simbiosi coi batteri e quindi hanno potenti mascelle per afferrare la preda o scavare.»
«In ogni caso, i vermi del ghiaccio non hanno bisogno di mascelle», disse Kare.
«Certo, hanno piccole mascelle per triturare minuscole quantità di idrati o per filtrare i batteri. Ma non dei dentoni come quelli degli esemplari di Tina», rispose Johanson.
Quell'argomento sembrava appassionare sempre più Kare. «Se i vermi scoperti da Tina vivono in simbiosi coi batteri che mangiano il metano…»
«… dobbiamo chiederci a che cosa serve quell'arsenale di mandibole e denti», confermò Johanson. «Adesso la questione diventa ancora più intrigante. I tassonomi hanno trovato un secondo verme che sembra avere una struttura mandibolare simile. Si chiama Nereis, ed è un predatore che si trova a tutte le profondità. Il piccoletto di Tina, dunque, ha le mandibole e i denti del Nereis, ma il suo aspetto fa pensare a un antenato preistorico del Nereis. Per così dire, un Tyrannereis rex.»