Выбрать главу

Doveva riflettere.

Aveva bisogno d'aria fresca.

Ad ampie falcate si diresse verso la piattaforma dell'elevatore esterno. Soffiava un vento impetuoso, che gli scompigliava i capelli. Il mare era ancora più agitato. Nel giro di qualche secondo, una pellicola di schiuma gli coprì il volto. Andò sul bordo della piattaforma e guardò il paesaggio lunare, frastagliato e in movimento del mar di Groenlandia.

Che doveva fare?

Sala di controllo

Judith Li si trovava davanti ai monitor. Vide Johanson che esaminava la parete e poi, frustrato, lasciava l'hangar.

«Perché questo ridicolo accordo?» brontolò Vanderbilt. «Crede davvero che terrà la bocca chiusa fino a stasera?»

«Mi fido di lui», disse Judith Li.

«E se si sbagliasse?»

Johanson sparì nell'ingresso dell'elevatore esterno. Judith Li si girò verso Vanderbilt. «Domanda superflua, Jack. Ovviamente il problema lo risolverà lei. E proprio ora.»

«Un momento.» Peak sollevò le mani. «Questo non era previsto.»

«Risolvere? Che significa risolvere?» chiese Vanderbilt, subdolo.

«Risolvere significa risolvere», sbottò Judith Li. «Sta arrivando una tempesta. E con la tempesta non si dovrebbe stare fuori. Un colpo di vento…»

«No.» Peak scosse la testa. «L'accordo non era questo.»

«Sal, tenga la bocca chiusa.»

«Maledizione, Jude! Possiamo chiuderlo in cella per un paio d'ore, Basterebbero, eccome!»

«Jack», disse Judith Li a Vanderbilt, senza degnare Peak di uno sguardo. «Faccia il suo lavoro. E, per cortesia, lo faccia personalmente.»

Vanderbilt sorrise. «Con piacere, tesoruccio. Con grande piacere.»

Laboratorio

Il viso già lungo di Sue Oliviera divenne ancora più lungo. Fissò prima Karen poi Rubin.

«Allora?» disse Karen.

«Non ho la più pallida idea di cosa stai dicendo.»

«Mick, ascolta.» Si piazzò tra lui e il tavolo e mise un braccio intorno alle spalle di Rubin con fare quasi amichevole. «Non sono una grande oratrice né sono brava nelle chiacchiere da salotto. Le persone come me non vengono invitate ai cocktail e non si mandano sul podio. Io preferisco le conversazioni veloci ed essenziali. Allora non menare il can per l'aia. Te lo ripeto. Lassù, proprio sopra di noi, c'è un laboratorio. Vi si accede dal ponte dell'hangar ed è ben mimetizzato, ma Sigur ti ha visto entrare e uscire. Per questo gli hai procurato un bel bernoccolo, vero?»

«È la più grande sciocchezza che… No!»

Con la mano libera, Karen aveva preso dal supporto uno dei bisturi e gli premeva la punta sulla carotide. Rubin indietreggiò sussultando. Karen spinse un po' il bisturi, toccando il muscolo. Il biologo era stretto nel suo abbraccio come in una morsa.

«Sei impazzita?» gemette. «Cos'è questa storia?»

«Mick, non sono una fragile donnina. Ho parecchia forza. Quand'ero piccola, ho abbracciato dei gatti e, per sbaglio, li ho stritolati. Terribile, vero? Volevo solo abbracciarli e invece cric, crac… Rifletti bene su quello che dici. Perché, in realtà, non ti voglio soltanto abbracciare.»

Vanderbilt

Jack Vanderbilt non era particolarmente entusiasta di uccidere Johanson, ma nemmeno gli importava granché di lasciarlo in vita. In un certo senso, quell'uomo gli piaceva. Nel contempo, però, gli era del tutto indifferente. Si trattava di un incarico, e l'incarico era preciso. Se Johanson costituiva un rischio per la sicurezza, non lo sarebbe rimasto a lungo.

Floyd Anderson lo seguiva. Il primo ufficiale, come la maggior parte degli uomini a bordo, aveva una doppia funzione. Era un esperto marinaio, ma anzitutto lavorava per la CIA. Quasi tutti a bordo, tranne Buchanan e alcuni membri dell'equipaggio, lavoravano per la CIA. Anderson aveva preso parte a operazioni segrete in Pakistan e nel Golfo. Era bravo.

Ed era un killer.

Vanderbilt stava pensando a come si era ribaltata la situazione. Fino a poco prima, si era aggrappato all'idea di dover combattere contro un manipolo di terroristi; adesso invece era costretto ad ammettere che Johanson aveva avuto ragione fin dall'inizio. In sé era un peccato doverlo uccidere, soprattutto dietro incarico di Judith Li. Vanderbilt era disgustato da quella strega dagli occhi acquamarina. Judith Li era un'imbrogliona, una paranoica… La odiava, ma non poteva sottrarsi alla perfida logica con cui lei aveva deciso quell'omicidio. Eppure, nel suo delirio, Judith Li aveva ragione. Anche quella volta.

Gli venne in mente quando, a Nanaimo, aveva messo Johanson in guardia contro di lei.

Detto fra noi, è un po' matta. Capisce?

Era chiaro che Johanson non aveva capito.

E come avrebbe potuto? All'inizio, nessuno capiva cosa ci fosse di anormale in Judith Li: diffidava di tutto e di tutti, era mossa da un'incontenibile ambizione, reagiva sempre in maniera eccessiva, mentiva e ingannava, sacrificava qualsiasi cosa ai suoi obiettivi. Judith Li, la cocca del presidente degli Stati Uniti. E lui non se ne accorgeva. L'uomo più potente del mondo non aveva la minima idea della persona cui stava cedendo il suo potere.

Dovremo stare tutti molto attenti, pensò Vanderbilt. Nel caso, bisognerà essere pronti anche a impugnare un'arma e risolvere il problema.

Prima o poi.

Percorrevano rapidamente i corridoi. Mettendosi sulla piattaforma dell'elevatore esterno, Johanson non avrebbe potuto fargli un piacere più grande. Come aveva detto quella pazza? Un colpo di vento…

Sala di controllo

Vanderbilt aveva appena lasciato la sala, quando uno degli uomini alla console chiamò Judith Li e indicò un monitor. «Nel laboratorio sta succedendo qualcosa», disse.

Judith guardò le immagini. C'erano Karen Weaver, Sue Oliviera e Mick Rubin. Erano vicini. Molto vicini. Karen aveva messo un braccio intorno alle spalle di Rubin e lo stringeva a sé.

Da quando quei due se la intendevano?

«Alzare il volume», ordinò.

Si sentì la voce di Karen. Era bassa, ma sufficientemente chiara. Stava chiedendo a Rubin del laboratorio segreto. Zoomando, si poté cogliere la paura sul volto di Rubin e qualcosa che brillava nella mano di Karen, qualcosa che stava molto vicino alla gola del biologo.

Judith Li aveva visto e sentito a sufficienza. «Sal! Lei e tre uomini. Armi con colpi esplosivi. Presto. Andiamo giù.»

«Che intende fare?» chiese Peak.

«Riportare l'ordine.» Voltò le spalle al monitor e andò verso la porta. «La sua domanda ci è costata due secondi, Sal. Non sprechi il nostro tempo, altrimenti la faccio fuori. Gli uomini qui. Nel giro di un minuto, voglio che Karen Weaver si tolga qualsiasi idea che le sia passata per la testa. Per gli scienziati, l'età dell'oro è finita.»

Laboratorio

«Lurido maiale», stava dicendo Sue. «Hai colpito Sigur. Che vuol dire questa storia?»

Negli occhi di Rubin c'era il terrore. Il suo sguardo dardeggiò verso il soffitto.

«Non è vero, io…»

«Non guardare la telecamera, Mick», sibilò Karen. «Sarai morto prima che qualcuno ti possa aiutare.»

L'uomo prese a tremare.

«Te lo chiedo un'altra volta, Mick. Cosa fate là?»

«Abbiamo sviluppato un veleno», ansimò lui.

«Un veleno?» gli fece eco Sue.

«Abbiamo usato il tuo lavoro, Sue. Il tuo e quello di Sigur. Dopo che avete trovato la formula del feromone, è stato facile produrlo in quantità sufficiente e… L'abbiamo accoppiato con un isotopo radioattivo.»

«Voi avete… cosa

«Il feromone è radioattivo, ma le cellule non se ne accorgono. L'abbiamo sperimentato…»

«Come? Avete una cisterna ad alta pressione?»

«Solo un modello più piccolo… Karen, ti prego, tira via il bisturi… Non hai nessuna possibilità! Vedono e sentono tutto quello che succede…»

«Non blaterare», mormorò lei. «Va' avanti. E poi, che avete fatto?»

«Abbiamo osservato come il feromone uccide gli yrr difettosi, quelli senza recettore speciale. Esattamente come hai spiegato tu, Sue. Dopo aver chiarito che la programmazione della morte delle cellule è tipica della biochimica degli yrr, dovevamo trovare una strada per portare alla morte anche le cellule sane.»