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Quando Yoren arrivò a togliergliela di dosso, Frittella era crollato nella polvere, le brache diventate marroni che puzzavano da fare schifo, intento a implorare mentre Arya continuava a colpirlo ancora e ancora.

«Basta così!» Il confratello in nero le strappò di mano la spada di legno: «Lo vuoi uccidere, questo scemo?» ringhiò.

Lommy e alcuni degli altri si misero a gridare.

Yoren si voltò verso di loro: «Chiudete quelle bocche, se non volete che ve le chiuda io. Provateci di nuovo, e io vi lego dietro i carri e vi ci trascino, alla Barriera!» sputò. «E per te, Arry, questo vale il doppio. Vieni con me, ragazzino… Subito!»

La stavano guardando tutti, perfino i tre ai ceppi nel carro di coda. Quello grasso e pustoloso digrignò i denti e sibilò. Arya si limitò a ignorarlo.

Il vecchio la spinse lontano dalla strada, fino a un fitto sottobosco, imprecando e mugugnando a ogni passo: «Se avessi avuto un briciolo di buonsenso ti avrei lasciata ad Approdo del Re. Mi senti, ragazzino?». La ringhiava sempre quella parola, quasi volesse azzannarne il suono, in modo da essere sicuro che lei l’udisse con chiarezza. «Slacciati le brache e tiratele giù. Forza, che qui non ti vede nessuno. Calale!»

Con fare scontroso, Arya obbedì.

«Ora mettiti contro quella quercia. Sì, così.»

Arya abbracciò il tronco, premendo il viso contro la corteccia scabra.

«E adesso urla. Urla forte.»

“No, invece” pensò Arya ostinata. Non voleva urlare, ma quando Yoren picchiò il legno contro le sue cosce nude, l’urlo le venne fuori lo stesso.

«Pensi che ti abbia fatto male? Prova un po’ questo qua.» Il bastone si abbatté di nuovo su di lei sibilando. Arya urlò anche questa volta aggrappandosi all’albero e lottando per non accasciarsi a terra.

«Eccone un altro.»

Lei si aggrappò più stretta, mordendosi il labbro, stringendo gli occhi nel sentirlo arrivare. Il colpo la fece sussultare e la costrinse nuovamente a urlare. “Non piangerò” si disse. “Sono una Stark di Grande Inverno. Il nostro sigillo è il meta-lupo, e i meta-lupi non piangono.” Un sinuoso rigagnolo di sangue scivolava lungo la sua gamba sinistra. Arya poteva percepirne il calore liquido. Le sua cosce, le sue natiche, erano un incendio di sofferenza.

«Forse adesso mi starai ad ascoltare» disse Yoren. «La prossima volta che alzerai quel bastone su uno dei tuoi fratelli, ne riceverai il doppio di quelle che ne hai date, mi sono spiegato? Ora rivestiti.»

“Non sono i miei fratelli.” Ma questo, mentre si tirava su le brache, Arya evitò di dirlo. Le sua dita annasparono con lacci e cinture.

Yoren la stava guardando. «Ti fa male?» domandò.

“Quieta come acqua stagnante” ripeté a se stessa, proprio come Syrio Forel le aveva insegnato. «Un po’.»

«A quel ragazzo delle frittelle gli fa più male.» Yoren sputò. «Non è stato lui a uccidere tuo padre, fanciulla, e neanche quell’altro, quel ladro di Lommy. Colpirli non servirà a riportalo indietro.»

«Lo so» ammise Arya in tono cupo.

«E allora, ecco qualcosa che non sai. Non avrebbe dovuto andare com’è andata. Io ero pronto a partire, carri carichi e tutto il resto. Arriva un uomo a portarmi un ragazzo, e anche una borsa di denari e un messaggio. Non ha importanza chi lo mandava. Lord Eddard Stark entrerà nei Guardiani della notte, mi dice. Tu aspetta e lui verrà alla Barriera con te. Perché pensi che mi trovassi lì? Solo che qualcosa è andato storto.»

«Joffrey!» Arya emise il nome in un rantolo di puro odio. «È lui che qualcuno dovrebbe uccidere!»

«E qualcuno lo farà, ma non sarò io, né tu.» Yoren le restituì al volo la spada di legno. «Prendi delle foglie amare dal carro» le suggerì mentre tornavano verso la strada. «Masticale per un po’, ti calmeranno il dolore.»

E infatti lo calmarono, anche se avevano un gusto atroce e davano alla sua saliva il colore del sangue. In ogni caso, per il resto della giornata Arya camminò. E camminò anche la giornata successiva, e quella successiva ancora. Il suo didietro era troppo dolente perché lei potesse sedersi in sella al somaro. Frittella era in condizioni ben peggiori. Yoren fu costretto ad ammassare parte del carico perché lui potesse sdraiarsi su alcuni sacchi d’orzo, lamentandosi ogni volta che una delle ruote sobbalzava su una pietra. Lommy Maniverdi non aveva neppure un graffio, ma preferì stare lontano da Arya il più possibile.

«Ogni volta che lo guardi, lui sussulta» disse il Toro ad Arya, che marciava a lato del suo somaro. Lei non rispose: era più sicuro non parlare con nessuno.

Quella notte, giacque sulla dura terra, avvolta in una sottile coperta, lo sguardo fisso sulla grande cometa rossa. Era una visione splendida, e al tempo stesso paurosa. La “Spada rossa”, l’aveva chiamata il Toro. Secondo lui, aveva l’aspetto di una spada, la lama ancora incandescente come se fosse appena uscita dalla forgia. Osservandola in diagonale, anche Arya poté vedere la forma della spada. Solo che non si trattava di una spada appena forgiata: era Ghiaccio, la lunga spada appartenuta a suo padre, la lama di perfetto acciaio di Valyria. E il colore rosso era il sangue di lord Eddard sulla lama dopo che ser Ilyn, il giustiziere del re, lo aveva decapitato. Yoren l’aveva costretta a non guardare quando era accaduto, eppure ad Arya la cometa continuava ad apparire come Ghiaccio nell’istante successivo all’esecuzione.

Quando finalmente scivolò nel sonno, sognò casa. Nel raggiungere la Barriera, la strada del Re passava accanto a Grande Inverno. Yoren le aveva promesso che lui l’avrebbe lasciata là, senza che nessuno sapesse chi lei fosse in realtà. Voleva disperatamente rivedere sua madre, e Robb e Bran e Rickon… ma era Jon Snow che le mancava più di tutti. Come desiderava che in qualche modo loro avessero potuto raggiungere la Barriera prima di Grande Inverno, in modo che Jon potesse arruffarle i capelli e chiamarla “sorellina”. “Mi sei mancato” lei gli avrebbe detto, e in quel preciso istante anche lui avrebbe pronunciato le medesime parole, proprio come facevano sempre. Le sarebbe piaciuto tanto, più di qualsiasi altra cosa.

SANSA

Il giorno del compleanno di re Joffrey spuntò sereno e ventoso, la lunga chioma della grande cometa rossa visibile tra le nubi che scivolavano rapide nel cielo. Sansa Stark la stava osservando dalla finestra della torre quando ser Arys Oakheart arrivò a prenderla per scortarla fino al campo del torneo.

«Quale pensi che sia il suo significato?» gli domandò.

«Gloria al tuo promesso sposo.» Non ci fu la minima esitazione nella risposta di ser Arys. «Non vedi come si distende attraverso il cielo, proprio oggi che è il compleanno di sua maestà? Sembra quasi che gli dei abbiano deciso di innalzare un vessillo in suo onore. Il popolino l’ha chiamata “Cometa di re Joffrey”.»

Questo era quanto dovevano aver detto a Joffrey, era chiaro, ma Sansa non era affatto sicura che fosse davvero così: «Ho sentito i servi chiamarla “Coda del drago”».

«Re Joffrey siede dove un tempo sedeva Aegon il Drago, nel castello costruito da suo figlio» spiegò ser Arys. «È Joffrey l’erede del drago. E porpora è il colore della Casa Lannister, un altro segno. La cometa è stata inviata per salutare l’ascesa al trono di Joffrey, non ho alcun dubbio. E il suo significato è che lui trionferà sui suoi nemici.»

“Sarà vero?” si domandò Sansa. “Sarebbero davvero così crudeli, gli dei?” Sua madre era una dei nemici di Joffrey, adesso, e anche suo fratello Robb. Suo padre era stato ucciso per volere del re. Che sua madre e Robb stessero anche loro per essere uccisi? La cometa era indubbiamente rossa, ma Joffrey era tanto un Baratheon quanto un Lannister, e lo stemma dei Baratheon era un cervo nero in campo oro. Il segno degli dei non avrebbe dovuto essere una cometa dorata?