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«Basta… latte.» Parole a metà strada tra un ringhio e un rantolo. Non fu nemmeno certo di averle pronunciate realmente. Ma doveva averlo fatto, perché il maestro smozzicò una risposta.

«Lascia, mio lord… ti prego… hai bisogno del latte, il dolore… la catena, no… lascia…»

La faccia rosa stava cominciando a diventare paonazza. Tyrion abbandonò la presa. Il maestro si allontanò dal letto, inspirando aria nei polmoni. Nella sua gola, là dove gli anelli della catena avevano fatto pressione c’erano nitide tracce biancastre. Anche i suoi occhi erano biancastri. Tyrion sollevò una mano. Fece un gesto per chiedere che quella maschera rigida gli venisse tolta. Lo ripeté più volte.

«Tu vuoi… che ti tolgano le bende vero?» disse il maestro. «Ma io non penso… questa sarebbe… una pessima idea, mio lord. Non sei ancora guarito. E la regina…»

La sola menzione di Cersei spinse Tyrion a emettere una specie di ruggito. “Sei anche tu dalla sua parte, quindi?” Puntò un dito accusatore contro il maestro, serrando poi la mano a pugno. Per stritolare, strangolare: una promessa, a meno che l’idiota non facesse come lui gli stava ordinando.

Fortunatamente, l’idiota comprese: «Io… io farò come il mio lord comanda, questo è certo, ma… è una pessima idea, le ferite…».

«Fallo.» Tyrion parlò più forte, questa volta.

Con un inchino, il maestro lasciò la stanza. Rientrò pochi momenti dopo, portando un lungo coltello munito di una lama seghettata, una bacinella piena d’acqua, una pila di pezzuole pulite e svariate ampolle. Tyrion era riuscito a strisciare un po’ indietro, in modo da sedere con la schiena appoggiata ai cuscini. Il maestro gli raccomandò di restare immobile, poi fece scivolare la lama sotto il bordo della maschera, vicino al mento. “Basterebbe un sussulto, e Cersei si sbarazzerebbe di me una volta per tutte.” Tyrion poteva sentire la lama affondare nelle bende indurite, a pochi centimetri dalla sua gola.

Ma quell’uomo roseo e grassoccio non era una delle creature più coraggiose della sua cara sorella. Dopo qualche momento, Tyrion percepì l’aria fredda sfiorargli la guancia. E sentì dolore. Ma quello s’impose d’ignorarlo. Il maestro mise da parte i bendaggi ancora intrisi di pozione narcotica.

«Ora ti prego di rimanere immobile. Devo ripulire la ferita.»

Il suo tocco era gentile, l’acqua era calda, piacevole. La ferita… Nella memoria di Tyrion avvampò un folgorante lampo argenteo, un barbaglio improvviso, proprio davanti agli occhi.

«Adesso sentirai un po’ male» avvertì il maestro.

Poi gli passò sulla faccia un pezzo di stoffa imbevuto di vino che sapeva di erbe. Ma fu molto peggio del previsto. Una specie di linea di fuoco attraversò la faccia di Tyrion, e fu come se un ferro arroventato gli risalisse lungo il naso. Le sue dita si contrassero sulle lenzuola. Inspirò in uno spasmo, ma in qualche modo riuscì a non urlare. Il maestro stava chiocciando come una vecchia gallina.

«Sarebbe stato meglio lasciare la maschera al suo posto fino a quando la carne non si fosse risanata, mio lord. Ma anche così, la ferita appare pulita. Bene, bene. Quando ti abbiamo trovato giù nelle cantine, insieme ai morti e ai morenti, le tue ferite erano sudicie. Hai una costola rotta, senza dubbio puoi sentirla. Il colpo di una mazza ferrata, forse. O forse una caduta, difficile a dirsi. E sei anche stato colpito da una freccia al braccio, all’attaccatura della spalla. Mostrava segni di necrosi, e per qualche tempo abbiamo temuto che tu potessi perdere l’arto. Ma l’abbiamo curata con vino bollente e vermi, e adesso sembra che stia guarendo normalmente…»

«Nome» gorgogliò Tyrion. «Nome.»

Il maestro ammiccò: «Ma… Tyrion Lannister, mio lord. Tu sei il fratello della regina. Ricordi la battaglia? A volte, le ferite alla testa…».

«Il tuo nome.» Tyrion sentiva la gola riarsa, la sua lingua pareva aver dimenticato come si faceva ad articolare le parole.

«Sono maestro Ballabar.»

«Ballabar…» ripeté Tyrion. «Porta lo specchio.»

«Mio lord, mi permetto di suggerire… Questo potrebbe essere, ehm, poco saggio… La tua ferita…»

«Portalo!» La sua bocca era rigida e dolorante, come se un pugno gli avesse spaccato le labbra a metà. «E da bere, vino, non papavero.»

Il maestro, rosso in faccia, si alzò e se ne andò in fretta. Tornò con una caraffa piena di pallido vino ambrato e un piccolo specchio con un’ornata cornice dorata. Si sedette sul bordo del letto, versò mezza coppa di vino e la sollevò fino alle labbra tumefatte di Tyrion. La bevanda era fresca, ma lui quasi non ne sentì il sapore.

«Altro vino» disse lui quando la coppa fu vuota.

Maestro Ballabar versò di nuovo. Al termine della seconda coppa, Tyrion Lannister si sentì sufficientemente forte per dare un’occhiata alla propria faccia.

Si voltò verso lo specchio, e fu incerto se ridere o piangere. Lo squarcio era lungo e distorto, partiva appena sotto l’occhio sinistro e terminava sul lato destro della mandibola. Tre quarti del naso non c’erano più, lo stesso valeva per un pezzo di labbro. Qualcuno aveva ricucito i lembi di carne usando filo di viscere di gatto. I goffi punti di sutura risaltavano lividi contro la carne ancora esposta, rossastra, solo parzialmente risanata.

«Carino» gorgogliò, gettando via lo specchio.

Adesso ricordava. Il ponte dei relitti delle navi. Ser Mandon Moore, la mano tesa, la spada che cala contro la sua faccia. “Se non mi fossi tirato indietro, quel fendente mi avrebbe staccato metà del cranio.” Jaime aveva sempre detto che, tra tutti i cavalieri della Guardia reale, il più pericoloso era proprio Mandon Moore. Quei suoi occhi morti non davano alcuna indicazione di quale sarebbe stata la sua prossima mossa. “Non avrei mai dovuto fidarmi. Di nessuno di loro.” Sapeva che ser Boros e ser Meryn erano fedeli a sua sorella, e adesso anche ser Osmund Kettleblack, ma era stato comunque portato a credere che per gli altri l’onore non fosse completamente perduto. “Cersei deve averlo pagato perché io non facessi ritorno dalla battaglia sul fiume. Che altri motivi potrebbero esserci? Non mi risulta di aver mai danneggiato ser Mandon in nessun modo.” Tyrion si tastò la faccia sfiorando la carne distorta con le sue dita tozze. “Un altro bel regalo da parte della cara sorellina.”

Il maestro era in piedi accanto a letto. Pareva un’oca pronta a spiccare il volo. «Mio lord, ecco… quasi certamente rimarrà una cicatrice…»

«Quasi certamente?»

La sua risata simile a un grugnito si tramutò in una smorfia di dolore. Era chiaro che sarebbe rimasta una cicatrice. Ed era anche chiaro che il suo naso non sarebbe ricresciuto nei prossimi giorni. Non che la sua faccia fosse mai stata una bellezza comunque.

«Così imparo a non giocare con le asce» sogghignò Tyrion. «Dove, siamo?» Parlare gli faceva male, ma lui era rimasto in silenzio per troppo tempo.

«Oh, ti trovi nel Fortino di Maegor, mio lord. Una stanza sopra la Sala da Ballo della regina. Sua Maestà voleva che tu fossi vicino a lei, in modo da potersi occupare di te personalmente.»

“Ci scommetto proprio.” «Riportatemi nelle mie stanze» ordinò Tyrion. “Dove avrò intorno a me i miei uomini, il mio maestro. Ammesso che riesca a trovarne uno di cui mi fidi.”

«Le tue… ecco, mio lord, non è possibile. Il Primo Cavaliere del re ora occupa quelli che erano stati i tuoi appartamenti.»

«Io sono il Primo Cavaliere.» Era sempre più stremato dallo sforzo di parlare. E sempre più confuso da quanto stava udendo.