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«Un sogno» disse Osha.

«Un sogno di lupo» rispose Bran. «Ho anche sentito l’odore. È inconfondibile l’odore del fuoco, e del sangue.»

«Sangue di chi?»

«Uomini, cavalli, cani… di tutti. Dobbiamo andare a vedere.»

«Questa brutta pellaccia è tutto quello che ho» disse Osha. «Se quel principe dei polipi mi acchiappa, me la stacca di dosso a frustate.»

Nel buio, Meera trovò la mano di Bran e la strinse: «Se tu hai paura, andrò io».

Bran sentì delle dita che armeggiavano con il cuoio, e poi il suono dell’acciaio contro la pietra focaia. Una volta, due. Una scintilla spezzò le tenebre. Osha soffiò piano. Una lunga fiamma pallida si levò, allargandosi verso l’alto come una fanciulla in punta di piedi. Il viso di Osha parve fluttuare sopra di essa. Avvicinò la fiamma all’estremità di una torcia. Bran fu costretto a serrare le palpebre quando questa cominciò a bruciare, riempiendo il mondo di chiarore arancione. La luce svegliò Rickon, il quale si sedette e sbadigliò.

Quando le ombre si mossero, parve che anche i morti tornassero a risorgere. Lyanna e Brandon, il loro padre lord Rickard Stark, lord Edwyle suo padre, lord Willam e suo fratello Artos l’Implacabile, lord Donnor e lord Beron e lord Rodwell, lord Jonnel con un occhio solo, lord Barth e lord Brandon e lord Cregan, che aveva combattuto contro il Cavaliere del drago. Sedevano sui loro scranni di pietra, con i meta-lupi ai piedi. Era là che erano venuti dopo che il calore aveva lasciato i loro corpi. Questa era l’oscura sala dei morti, che faceva paura ai vivi.

Ed era all’imboccatura della tomba vuota che aspettava lord Eddard Stark, nelle sue immote fattezze di granito, e i sei fuggiaschi, raccolti intorno alla loro piccola scorta d’acqua, pane e carne secca.

«Non rimane molto» mugugnò Osha, studiando le scarse vettovaglie. «Bisogna comunque che vada presto a rubare altro cibo, prima che finiamo per mangiarci Hodor.»

«Hodor» disse Hodor, sorridendole.

«Sarà giorno o notte, là fuori?» disse ancora Osha. «Ho proprio perso il conto…»

«Giorno» le rispose Bran. «Ma è tutto scuro a causa del fumo.»

«Milord ne è certo?»

Senza muoversi, Bran scrutò anche fuori e per un breve momento ebbe una doppia visione. Da un lato c’era Osha, con la torcia in pugno, e accanto a lei Meera, Jojen, Hodor, con alle spalle la fila di colonne di granito e le statue funerarie che andavano a perdersi nelle tenebre… ma dall’altro lato c’era anche Grande Inverno, grigia a causa del fumo disperso nell’aria, con i portali di rovere massiccio consumati dalle fiamme e divelti, il ponte levatoio ridotto a un groviglio di assi mancanti e di catene frantumate. Cadaveri, diventati isolotti per i corvi, galleggiavano nel fossato.

«Ne sono certo» dichiarò.

Osha rimuginò per qualche momento: «Allora mi arrischio a dare un’occhiata. Voglio che tutti quanti voi mi stiate vicino. Meera, prendi il cesto di Bran.»

«Andiamo a casa?» disse Rickon, tutto eccitato. «Voglio il mio cavallo. E voglio dolcetti alle mele e burro e miele, e anche Cagnaccio. Andiamo dove sta Cagnaccio?»

«Sì» promise Bran. «Ma adesso devi stare buono.»

Meera sistemò il cesto di vimini sulle spalle di Hodor e strinse le corregge. Poi aiutò a metterci dentro Bran, facendo scivolare le sue gambe inerti nei fori. Bran sentiva lo stomaco stranamente vuoto. Sapeva quello che lo aspettava lassù, ma questo non rendeva la spedizione meno spaventosa. Quando si misero in moto, si girò per gettare un’ultima occhiata a suo padre. Gli parve che ci fosse una certa tristezza negli occhi di lord Eddard, come se non volesse che loro se ne andassero. “Dobbiamo andare. È tempo.”

Osha tenne la sua lunga picca in una mano e la torcia nell’altra. Sulla schiena portava una spada priva di fodero, una delle ultime a recare il marchio di Mikken. L’aveva forgiata per la tomba di lord Eddard, perché il suo spirito potesse riposare. Ma con Mikken ucciso e gli uomini di ferro a guardia dell’armeria, Osha non aveva saputo resistere al richiamo di quel buon acciaio, perfino al prezzo di profanare una tomba. Meera aveva preso la lama di lord Rickard, benché si lamentasse che era troppo pesante. Brandon si era impadronito della spada dell’uomo che aveva avuto il suo stesso nome, lo zio che non aveva mai conosciuto. Sapeva che non sarebbe stato di grande aiuto in un combattimento, eppure stringere la spada in pugno lo faceva sentire meglio.

Ma era solamente un gioco, ne era consapevole.

I loro passi echeggiarono nelle cripte cavernose. Le ombre alle loro spalle tornarono a inghiottire suo padre mentre quelle davanti a loro si ritiravano scoprendo non più semplici lord ma antichi re del Nord. Sul capo avevano corone di pietra. Thorren Stark, il Re in ginocchio, che si era piegato senza combattere a Aegon il Conquistatore. Edwyn, il Re di primavera. Theon Stark, il Lupo famelico. Brandon l’Incendiario e Brandon il Navigatore. Jorah e Jonos, Brandon il Malvagio, Walton il Re della luna, Edderion lo Sposo, Eyron, Benjen il Dolce e Benjen l’Amaro, re Edrick Barba di neve. I loro volti erano forti e austeri: alcuni di quei re avevano commesso atti terribili, ma erano comunque degli Stark. E di tutti Bran conosceva le storie. Non aveva mai avuto alcun timore delle cripte; erano parte della sua casa, parte di lui. E aveva sempre saputo che, un giorno, anche lui avrebbe giaciuto là dentro.

Adesso però non ne era più così sicuro. “Se vado su, potrò poi tornare ancora quaggiù? E quando sarò morto, dove andrò?”

«Aspettate.»

Osha si era fermata ai piedi della scala a chiocciola di pietra che da un lato conduceva alla superficie, e dall’altro scendeva ancora più in basso, a livelli più profondi, dove re ancora più antichi sedevano sui loro troni di pietra. Passò la torcia a Meera.

«Salgo a tentoni.»

Per un po’, riuscirono a sentire i suoi passi sui gradini di roccia, ma i loro echi divennero sempre più flebili e alla fine svanirono del tutto.

«Hodor» disse nervosamente Hodor.

Bran aveva ripetuto a se stesso centinaia di volte quanto odiava stare nascosto là sotto, al buio, e quanto invece avrebbe voluto rivedere la luce del sole. Ma adesso che quel momento era arrivato, aveva paura. Si era sentito al sicuro nelle tenebre. Quando non potevi vedere nemmeno la tua mano a un palmo dal naso, era facile convincersi che nemmeno i nemici avrebbero potuto trovarti. Inoltre, i signori di pietra gli avevano dato coraggio. Anche se non poteva vederli, sapeva che loro erano là.

Parve trascorrere un tempo lunghissimo senza che dalla scala provenisse alcun rumore. Bran cominciò a temere che a Osha fosse successo qualcosa.

Rickon si agitava, sempre più inquieto: «Voglio andare a casa!» protestò a voce troppo alta.

«Hodor» disse Hodor, scuotendo la testa su e giù.

Finalmente, i passi tornarono a farsi sentire, sempre più forti. Alla fine Osha riapparve nell’alone di luce, scura in faccia. «La porta è bloccata da qualcosa. Non riesco a smuoverla.»

«Hodor può smuovere qualsiasi cosa» assicurò Bran.

«Forse» Osha lanciò un’occhiata critica al gigantesco ragazzo di stalla. «Andiamo, allora.»

Gli scalini stretti li costrinsero a salire l’uno dopo l’altro. Osha andò avanti per prima. Dietro di lei veniva Hodor, Bran raggomitolato nella cesta per evitare di picchiare la testa contro il soffitto. Meera li seguiva con la torcia e Jojen di retroguardia teneva Rickon per mano. Girarono e girarono, salirono e salirono. Bran cominciò a credere di sentire l’odore del fumo, ma forse era solo quello della torcia.

La porta delle cripte era fatta di legno e ferro. Era vecchia e pesante, inclinata rispetto al terreno. Vi si poteva accedere uno alla volta. Quando la raggiunse, Osha provò di nuovo ad aprirla, ma Bran vide che non si spostava.

«Fa’ provare a Hodor.»

Prima furono costretti a togliere Bran dalla cesta, in modo che non venisse schiacciato. Meera sedette sui talloni vicino a lui, mettendogli un braccio intorno alle spalle per proteggerlo. Osha e Hodor si scambiarono di posto.