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«Uccidono gli erg!» grida Aenea, superando il rombo dell’aria e delle esplosioni.

Batto i pugni sulla parete della capsula, grido ordini. La porta a diaframma si apre giusto per un secondo, quanto mi basta per tirare dentro la mia amata.

Non c’è riparo, qui. Le esplosioni al plasma sono visibili dalle pareti polarizzate della capsula.

Aenea ha tirato fuori dell’armadietto la sua sacca e se la tira dietro. Prendo in fretta la mia e m’infilo nella cintura il fodero col coltello, come se potesse aiutarmi a combattere gli assalitori.

«Dobbiamo raggiungere la Yggdrasill!» grida Aenea.

Con una spinta ci lanciamo verso la parete dello stelo pressurizzato, ma la capsula non ci fa uscire. Il guscio ci trasmette un rombo.

«Lo stelo è squarciato» ansima Aenea. Ha ancora il comlog, vedo che è l’antiquato apparecchio della nave del console, e richiama dati dalla griglia dell’Albero Stella. «I ponti sono fuori uso. Dobbiamo raggiungere la nave-albero.»

Guardo dalla parete. Fiori di fiamma arancione. La Yggdrasill si trova dieci chilometri più in alto verso est lungo la superficie interna. Senza i ponti sospesi e lo stelo pressurizzato, potrebbero essere anche a mille anni luce da noi.

«Fai venire la nave» dico. «La nave del console.»

Aenea scuote la testa. «Het Masteen fa già salpare la Yggdrasill, non c’è tempo di far uscire la nostra nave. Dobbiamo essere lì entro tre quattro minuti, altrimenti… Ci sarebbero le dermotute Ouster! Possiamo arrivarci a volo.»

Tocca a me scuotere la testa. «Non sono qui. Quando le abbiamo tolte, sulla piattaforma di atterraggio, ho detto a A. Bettik di portarle sulla nave-albero.»

La capsula si scuote violentemente. Aenea si gira. La parete è di un rosso vivido, fonde.

Apro il mio armadio, getto da parte vestiti e attrezzi, prendo l’unico altro manufatto che posseggo e lo tolgo dalla custodia di cuoio. Il regalo del padre capitano de Soya.

Tocco i fili d’accensione. Il tappeto Hawking diventa rigido e si libra a gravità zero. Il campo EM in questa sezione dell’Albero Stella è ancora intatto.

«Vieni» grido, mentre la parete si liquefa. Sollevo sul tappeto Hawking la mia amata.

L’aria ci scaraventa fuori dello squarcio, nel vuoto e nella follia.

28

I campi magnetici sagomati dagli erg erano ancora in funzione, ma tutti scombussolati. Invece di volare lungo e sopra la zona del ramo, larga come un boulevard, verso la Yggdrasill, il tappeto Hawking si allineava ad angoli retti, tanto che il nostro viso pareva puntare in basso, mentre il tappeto si alzava come un ascensore fra rami agitati, ponti penzolanti, steli recisi, globi di fiamme, orde di Ouster che si lanciavano nello spazio per dare battaglia e morire. Visto che ci avvicinavamo comunque alla nave-albero, lasciai che il tappeto Hawking facesse ciò che voleva.

C’erano ancora bolle di aria racchiusa in campi di contenimento, ma i campi creati dagli erg erano per la maggior parte morti insieme con gli erg che li tenevano un funzione. Malgrado riserve multiple, lungo tutta quella zona dell’Albero Stella l’aria si disperdeva lentamente o esplodeva per decompressione. Non avevamo tute spaziali. Nella capsula, proprio all’ultimo avevo ricordato che l’antico tappeto Hawking aveva un proprio campo di contenimento di basso livello per trattenere aria e passeggeri. Il tappeto non era progettato come apparecchiatura di pressurizzazione a lungo termine, ma nove anni prima l’avevamo usato sul pianeta giungla, quando eravamo saliti a una quota dove era impossibile respirare; mi ero augurato che funzionasse ancora.

Funzionava, più o meno. Appena uscimmo dalla capsula e come in un aliante iniziammo a salire nel caos, il campo di contenimento si accese. Ma quasi sentivo l’aria sottile sfuggire via: mi dissi che sarebbe durata quanto bastava per arrivare alla Yggdrasill.

Rischiammo di non arrivare mai alla Yggdrasill.

Avevo già visto altre battaglie spaziali, non molti giorni prima (eoni, parevano) Aenea e io ci eravamo trovati sulla piattaforma più alta del Tempio a mezz’aria a guardare lo spettacolo di luce nello spazio cislunare, la task force della Pax che distruggeva la nave di padre de Soya, ma questa era la prima battaglia in cui cercavano di uccidere me.

Dove c’era aria, il rumore era assordante: esplosioni, implosioni, crollo di tronchi e di steli, schianti di rami e agonia di calamari, ululati di sirene d’allarme, farfugli e sibili di comlog e di altri apparecchi di comunicazione. Dove c’era il vuoto, il silenzio era ancora più assordante: corpi di Ouster e di templari scagliati senza rumore nello spazio, donne e bambini, soldati non in grado di raggiungere le armi o il posto di combattimento, sacerdoti del Muir in tonaca che ruzzolavano verso il sole nell’oltraggio finale della morte violenta, fiamme senza scoppiettio, urla senza suono, cicloni senza il preavviso del soffio impetuoso del vento.

Mentre salivamo nel vortice, Aenea usò l’antico comlog di Siri. Vidi Systenj Coredwell gridare dal piccolo display olografico del diskey e poi Kent Quinkent e Sian Quintana Ka’an parlare animatamente. Ero troppo impegnato a guidare il tappeto Hawking, per ascoltare i loro disperati discorsi.

Non riuscivo più a scorgere la coda di fusione delle navi Arcangelo della Pax, vedevo solo le lance d’energia tagliare le nubi di gas e i campi di detriti, incidere l’Albero Stella come un bisturi nella carne viva. Gli enormi tronchi e i sinuosi rami sanguinavano davvero: la loro linfa e altri fluidi vitali si mischiavano con chilometri di liana fibro-ottica e sangue Ouster, mentre esplodevano nello spazio o evaporavano nel vuoto. Un calamaro di dieci chilometri fu tagliato di netto sotto i miei occhi e poi tagliato di nuovo: i suoi delicati tentacoli si agitarono in una danza spasmodica mentre la creatura moriva. Angeli Ouster presero il volo a migliaia e morirono a migliaia. Una nave-albero cercò di salpare e in un istante fu trapassata da lance d’energia: la sua atmosfera ricca di ossigeno prese fuoco dentro il campo di contenimento e tutto l’equipaggio morì nel poco tempo che occorse al globo di energia per riempirsi di fumo turbinante.

«Non è la Yggdrasill» gridò Aenea.

Risposi con un cenno d’assenso: la nave-albero morente proveniva dalla parte nord della sfera. La Yggdrasill ormai non doveva essere distante, forse un chilometro sopra di noi, lungo il ramo che vibrava e si scheggiava.

A meno che non avessi sbagliato una curva. O che la nave-albero non fosse già stata distrutta. O che non fosse già partita senza di noi.

«Ho parlato con Het Masteen» gridò Aenea. Ora ci trovavamo in un globo d’aria che si svuotava e il frastuono era terribile. «Solo circa trecento su mille sono a bordo.»

«Ah, sì» dissi. Chissà di che cosa parlava. Quali mille? Non c’era tempo per le domande. Scorsi di sfuggita il verde più scuro di una nave-albero, poche centinaia di metri sopra di noi verso sinistra, in tutta un’altra spirale di rami, e spostai il tappeto in quella direzione. Anche se non fosse stata la Yggdrasill, dovevamo comunque cercare riparo lì. I campi EM dell’Albero Stella cominciavano a cedere e il tappeto Hawking perdeva energia e inerzia.

Il campo EM cedette. Il tappeto Hawking ondeggiò un’ultima volta e cominciò a rotolare nel buio fra i rami distrutti, lontanissimo dal più vicino stelo in fiamme. Molto in basso e dietro di noi vedevo il gruppo di capsule ambientali da dove eravamo partiti: erano tutte in rovina, lasciavano uscire aria e cadaveri, mentre gli steli e i rami di collegamento si agitavano in una cieca reazione newtoniana.

«Capolinea» dissi, a voce bassa, perché ormai non c’era altra aria né rumore all’esterno della nostra inutile bolla di energia. Il tappeto Hawking era stato progettato sette secoli fa per convincere una nipote giovinetta ad amare un vecchio zio, non per mantenere in vita nel vuoto spaziale i suoi passeggeri. «Ci abbiamo provato, ragazzina.» Mi spostai dai fili di volo e circondai col braccio Aenea.