«No» disse lei. Non respingeva il mio gesto, ma la sentenza di morte. Mi strinse il braccio con tale forza da affondare le dita nella carne. «No, no» disse tra sé, battendo il diskey del comlog.
Contro il campo di stelle turbinanti comparve il viso incappucciato di Het Masteen. «Sì» disse «vi vedo.»
L’enorme nave-albero incombeva su di noi, un singolo, enorme soffitto di rami e di verdi foglie dietro il tremolante violetto del campo di contenimento, una massa che si staccava piano piano dall’Albero Stella in fiamme. Sentii un improvviso e violento strattone: per un attimo fui sicuro che una lancia d’energia delle Arcangelo ci avesse trovato.
«Gli erg ci tirano dentro» disse Aenea, continuando a stringermi il braccio.
«Gli erg? Credevo che una nave-albero avesse solo un erg a bordo per manovrare il motore e i campi.»
«Di solito, sì. Due, a volte, se è un viaggio eccezionale… per esempio nell’involucro esterno di una stella o nell’onda d’urto dell’eliosfera di una binaria.»
«Allora sulla Yggdrasill ce ne sono due?» dissi, guardando l’albero crescere e riempire il cielo. Esplosioni al plasma fiorirono in silenzio dietro di noi.
«No» disse Aenea. «Ventisette.»
Il campo esteso ci attirò nel suo interno. L’alto si riaggiustò e tornò basso. Fummo calati su un alto ponte, appena sotto la piattaforma vicino alla chioma della nave-albero. Ancora prima che toccassi i fili di volo per spegnere il nostro misero campo di contenimento, Aenea aveva già raccolto il comlog e lo zaino e si era lanciata di corsa verso la scala.
Arrotolai per bene il tappeto Hawking, lo infilai nella custodia di cuoio, me lo misi in spalla e corsi a raggiungere Aenea.
Solo il templare Het Masteen, capitano della nave-albero, e alcuni suoi aiutanti erano sul ponte di chioma, ma le piattaforme e le scale più in basso erano affollate di persone che conoscevo e che non conoscevo: Rachel, Theo, A. Bettik, padre de Soya, il sergente Gregorius, Lhomo Dondrub e le decine di altri profughi da T’ien Shan a me ben noti; ma c’erano anche molti uomini, donne e bambini non-Ouster e non-templari che non conoscevo.
«Profughi di un centinaio di pianeti della Pax» mi spiegò Aenea «raccolti sulla Raffaele da padre capitano de Soya negli ultimi anni. Altre centinaia dovevano arrivare oggi, prima della partenza, ma ormai è troppo tardi.»
Seguii Aenea fin sul ponte. Het Masteen era al centro di un cerchio di diskey organici di comando: schermi video delle nervature di fibra ottica che correvano per tutta la nave-albero, immagini olografiche della nave-albero da bordo, da poppa e da prua, un gruppo di ricetrasmittenti per tenersi in contatto con i templari di servizio con gli erg nel nucleo di contenimento della singolarità, nelle radici di propulsione e altrove, e il simulacro olografico centrale della nave, che lui poteva toccare per richiamare funzioni interattive o per cambiare rotta. Il templare alzò lo sguardo, mentre Aenea attraversava rapidamente il sacro ponte verso di lui. Sotto il cappuccio i suoi lineamenti, derivati dal ceppo asiatico della Vecchia Terra, erano calmi.
«Sono contento che non sia rimasta qui, maestra» disse, ironico. «Dove desidera che ci dirigiamo?»
«Fuori sistema» rispose senza esitare Aenea.
Het Masteen annuì. «Attireremo il fuoco nemico, naturalmente. La potenza di fuoco della Flotta della Pax è formidabile.»
Aenea si limitò ad annuire. Il simulacro della nave-albero si girò lentamente e vidi in alto il campo di stelle ruotare sopra di noi. Ci eravamo spostati all’interno del sistema solare solo di alcune centinaia di chilometri e ora giravamo verso la devastata superficie interna della biosfera Albero Stella. Dove poco prima c’erano le capsule ambientali e di riunione, adesso si apriva un foro sfrangiato nell’intreccio di rami. Per tutte le migliaia di chilometri quadrati di quella zona c’erano squarci e rami spogli. La Yggdrasill si mosse lentamente fra miliardi di foglie in caduta libera, quelle ancora nell’aria trattenuta da campi di contenimento ardevano, vivide, e con la cenere dipingevano di grigio la superficie interna del campo. Raggiunse di nuovo la parete della sfera e l’attraversò con cautela.
Emerse dall’altra parte e, mentre il motore a fusione controllato dagli erg divampava, acquistò velocità. Ora vedevamo altri particolari della battaglia. Qui lo spazio era una miriade di palpitanti puntini luminosi, infuocate scintille che parevano campi di contenimento difensivi infiammati dall’attacco di lance d’energia, innumerevoli esplosioni termonucleari e al plasma, code di fusione di missili, armi ipercinetiche, piccoli mezzi d’assalto, navi Arcangelo. La superficie esterna dell’Albero Stella pareva un fibroso vulcano che eruttava fiamme e geyser di detriti. Comete d’irrigazione e asteroidi pastori, deviati dal loro perfetto equilibrio dall’esplosione delle armi della Pax, laceravano l’Albero Stella come palle di cannone contro un cumulo di sterpi. Het Masteen richiamò ologrammi tattici e vedemmo l’immagine di tutta la biosfera, butterata ora da diecimila incendi (molti dei quali avevano la dimensione del mio pianeta natale Hyperion) e da centomila strappi e lacerazioni ben visibili nel tessuto della sfera per la cui creazione erano occorsi quasi mille anni. Migliaia di oggetti a bassa velocità erano rilevati dal radar e dai sensori a grandissima distanza, ma diminuivano di secondo in secondo, man mano che le possenti Arcangelo centravano astrovedette Ouster, navi torcia, cacciatorpediniere e navi-albero, con lance d’energia proiettate da varie UÀ. Milioni di Ouster spazio-adattati si lanciavano contro gli assalitori, ma morivano come falene davanti a un lanciafiamme.
Lhomo Dondrub comparve sul ponte. Indossava una dermotuta Ouster e portava un lungo fucile d’assalto classe quattro. «Aenea, dove diavolo andiamo?»
«Via» rispose la mia amata. «Dobbiamo andarcene, Lhomo.»
L’aviatore scosse la testa. «No, non dobbiamo andarcene. Dobbiamo restare e combattere. Non possiamo semplicemente abbandonare i nostri amici ai mangiacarogne della Pax.»
«Lhomo, non possiamo aiutare l’Albero Stella. Per combattere la Pax, devo andare via di qui.»
«Scappa di nuovo, se devi» replicò Lhomo, col viso imbruttito dalla smorfia di rabbia e di frustrazione. Si modellò intorno alla testa il cappuccio della dermotuta. «Io resto e combatto!»
«Ti uccideranno, amico mio» disse Aenea. «Non puoi combattere contro navi Arcangelo.»
«Sta’ a vedere» disse Lhomo, ora tutto coperto dalla dermotuta, a parte il viso. «Buona fortuna, Raul.»
«Anche a te» dissi. Sentivo un groppo in gola e il rossore sulle guance, per la vergogna della fuga e per l’addio a quel coraggioso.
Aenea toccò il robusto braccio argenteo di Lhomo. «Puoi essere più utile in questa guerra se vieni con noi…»
Lhomo Dondrub scosse la testa e si calò il fluido cappuccio. La sua voce risuonò metallica negli auricolari. "Buona fortuna, Aenea. Dio e il Buddha ti aiutino. Ci aiutino tutti." Andò sul bordo della piattaforma e si girò a lanciare un’occhiata a Het Masteen. Il templare annuì, toccò il simulacro di comando in un punto accanto alla chioma e mormorò in un fibrotrasmettitore.
Sentii diminuire la gravità. Il campo esterno baluginò e mutò. Lhomo fu sollevato, girato e catapultato nello spazio al di là dei nostri rami, aria, luci. Vidi aprirsi le sue ali argentee, vidi la luce riempirle, vidi Lhomo unirsi a una ventina di altri angeli Ouster che con le loro misere armi volavano sulla spinta della luce solare contro l’Arcangelo più vicina.
Altri venivano ora sul ponte — Rachel, Theo, la Dorje Phamo, padre de Soya e il suo sergente, A. Bettik, il Dalai Lama — ma si tennero tutti a rispettosa distanza dall’indaffarato capitano templare.
«Ci hanno intercettato» disse Het Masteen. «Sparano.»
Il campo di contenimento avvampò di rosso. Udivo lo sfrigolio. Pareva d’essere caduti nel cuore di una stella.