Het Masteen alzò la mano. Tutti tacquero subito. «Questa discussione è una perdita di tempo» disse il templare. «Come ha già spiegato Colei che insegna, la Yggdrasill non ha armi. Gli erg sono la nostra unica difesa; però non possono azionare il motore a fusione e nello stesso tempo fornire il livello di schermatura necessario in questo momento. In pratica non abbiamo propulsione: seguiamo per inerzia la rotta precedente e siamo solo a qualche minuto luce dalla posizione originaria. E cinque navi Arcangelo hanno cambiato rotta per intercettarci.» Si girò a guardarci in viso. «Pregherei tutti, tranne la reverenda maestra e il suo amico Raul, di lasciare la piattaforma del ponte e di aspettare di sotto.»
Senza una parola, tutti lasciarono il ponte. Rachel, prima di scendere, lanciò un’occhiata verso l’alto. Me ne accorsi e guardai anch’io. Nella coffa più alta, il colonnello Kassad era in piedi accanto allo Shrike: la statua di cromo e lame e spine, alta tre metri, lo faceva sembrare un nanerottolo. Né il colonnello né quella macchina di morte si muovevano: continuavano a fissarsi, a meno di un metro l’uno dall’altra.
Tornai a guardare i display: le navi della Pax, puntini ardenti, si avvicinavano a grande velocità. Sopra di noi, il campo di contenimento si schiarì.
«Prendi la mia mano, Raul» disse Aenea.
Le presi la mano, ricordando tutte le altre volte che avevo fatto quel gesto negli ultimi dieci anni standard.
«Le stelle» mormorò Aenea. «Guarda le stelle. E ascoltale.»
La nave-albero Yggdrasill era in orbita bassa intorno a un pianeta rosso-arancione, con bianche calotte polari, antichi vulcani più grandi dell’altopiano punta d’Ala sul mio Hyperion, e una vallata fluviale che si estendeva per più di cinquemila chilometri, simile a una cicatrice di appendicectomia intorno al ventre del pianeta.
«Quello è Marte» disse Aenea. «Qui il colonnello Kassad ci lascerà.»
Dopo il balzo quantico, il colonnello aveva smesso l’esame ravvicinato dello Shrike ed era sceso. Non c’era una parola o frase per indicare che cosa avevamo fatto: l’attimo prima la nave-albero era nel sistema della biosfera, procedeva per inerzia a bassa velocità, a motori spenti, sotto l’attacco di uno stormo di navi Arcangelo; l’attimo dopo, eravamo in orbita bassa e stabile intorno a quel pianeta morto del sistema della Vecchia Terra.
«Come hai fatto?» domandai a Aenea, l’attimo dopo che l’aveva fatto. Non avevo alcun dubbio che fosse stata lei a… spostarci… lì.
«Ho imparato a udire la musica delle sfere» rispose lei. «E poi a muovere un passo.»
Continuai a fissarla. Le tenevo ancora la mano. Non avevo intenzione di lasciarla, finché Aenea non mi avesse risposto in linguaggio normale.
«Si può capire un luogo, Raul» disse Aenea, sapendo che in quel momento molti altri di sicuro ascoltavano. «E quando accade, è come udire la sua musica. Ogni pianeta è un accordo diverso. Ogni sistema solare è una sonata diversa. Ogni luogo specifico è una nota chiara e distinta.»
Non le lasciai la mano. «E teleportarsi senza teleporter?»
Aenea annuì. «Traslarsi. Un balzo quantico, nel senso reale del termine. Muoversi nel macro-universo come un elettrone si muove nel micro-universo. Fare un passo, con l’aiuto del Vuoto che lega.»
Scuotevo la testa. «Energia. Da dove proviene l’energia, ragazzina? Niente viene da niente.»
«Ma tutto viene da tutto.»
«E questo cosa significa?»
Liberò la mano, mi toccò la guancia. «Ricordi la nostra discussione, tantissimo tempo fa, sulla fisica newtoniana e l’amore?»
«L’amore è una emozione, ragazzina, non una forma di energia.»
«È l’una e l’altra, Raul. Veramente. Ed è l’unica chiave per aprire la più grande provvista di energia dell’universo.»
«Parli di religione?» dissi, piuttosto infuriato per la sua poca chiarezza o per la mia poca intelligenza o tutt’e due.
«No» disse Aenea. «Parlo di quasar deliberatamente accese, di pulsar addomesticate, parlo di nuclei in esplosione di galassie sfruttati per produrre energia, come delle turbine a vapore. Parlo di un progetto d’ingegneria vecchio di due miliardi e mezzo di anni e appena iniziato.»
Potevo solo fissarla come un idiota.
Aenea scosse la testa. «Più tardi, amore mio. Per ora ti basti sapere che teleportarsi senza un teleporter è possibile. Non sono mai esistiti veri e propri teleporter, magiche porte che si aprivano su pianeti diversi, solo una perversione impressa dal TecnoNucleo al secondo meraviglioso dono del Vuoto.»
Avrei dovuto dire: "Qual è il primo meraviglioso dono del Vuoto?", ma immaginai che fosse l’apprendimento del linguaggio dei morti, quella faccenda di registrare i ricordi delle specie senzienti… la voce di mia madre, per essere precisi.
Dissi invece: «Allora ecco come hai spostato Rachel e Theo e te di pianeta in pianeta senza accumulo di debito temporale».
«Sì.»
«E come hai portato la nave del console dal sistema di T’ien Shan alla biosfera senza propulsione Hawking.»
«Sì.»
Fui sul punto di dire: "E come sei andata sul pianeta, chissà quale, dove hai conosciuto il tuo amante, vi siete sposati e avete fatto un figlio", ma non riuscii a formare le parole.
«Quello è Marte» disse Aenea, riempiendo il silenzio. «Qui il colonnello Kassad ci lascerà.»
Il colonnello venne al fianco di Aenea. Rachel si avvicinò, si alzò in punta di piedi e lo baciò.
«Un giorno ti chiamerai Moneta» disse piano Kassad. «E saremo amanti.»
«Sì» disse Rachel e si ritrasse.
Aenea prese la mano del colonnello. Kassad era ancora nella sua caratteristica tenuta da guerra, fucile d’assalto nell’incavo del braccio. Con un lieve sorriso lanciò uno sguardo alla piattaforma più alta: lo Shrike era sempre lì, immobile, con la sanguigna luce di Marte che gli si rifletteva sul petto.
«Raul» disse Aenea «vuoi venire anche tu?»
Le presi l’altra mano.
Il vento mi soffiava sabbia negli occhi e non potevo respirare. Aenea aveva portato due maschere osmotiche e me ne diede una. Le infilammo.
La sabbia era rossa, le rocce erano rosse, il cielo era di un rosa tempestoso. Ci trovavamo nella valle di un fiume prosciugato, stretta da pareti rocciose. Il letto del fiume era disseminato di massi tondeggianti, alcuni grossi come la nave del console. Il colonnello Kassad si infilò il cappuccio-casco della tuta da combattimento. Dagli auricolari mi giunse il crepitio della statica.
«Da dove ho iniziato» disse Kassad. «I bassifondi di trasferimento Tharsis, qualche centinaio di chilometri da quella parte.» Indicò un punto delle pareti rocciose dove il sole si librava, piccolo e basso. La figura in tuta, minacciosa per dimensioni e massa, con il pesante fucile d’assalto che pareva proprio obsoleto, lì, nella piana di Marte, si girò verso Aenea. «Cosa vorresti che facessi, donna?»
Aenea parlò con rapido, secco, sicuro tono di comando: «Le forze della Pax si sono temporaneamente ritirate da Marte e dal sistema solare della Vecchia Terra a causa della rivolta dei palestinesi locali e della rinascita della Macchina da guerra marziana nello spazio. Qui non c’è niente che abbia interesse strategico sufficiente a trattenerle, mentre le loro risorse sono così assottigliate».
Kassad annuì.
«Ma torneranno» disse Aenea. «Torneranno con ricchezza di mezzi, non solo per pacificare Marte, ma per occupare l’intero sistema solare.» Si guardò intorno. Seguii il suo sguardo e vidi le scure sagome umane che si muovevano nella distesa di massi e venivano verso di noi.
«Devi tenere la Pax lontano da questo sistema, colonnello» riprese Aenea. «Fai ciò che è necessario, sacrifica chi devi sacrificare, ma tieni la Pax fuori del sistema della Vecchia Terra per i prossimi cinque anni standard.»
Non avevo mai udito Aenea pronunciare parole così ferree o spietate.
«Cinque anni standard» ripeté il colonnello Kassad. Sorrise dietro il visore del cappuccio. «Nessun problema. Fossero stati cinque anni marziani, mi sarei dovuto impegnare un poco.»