«Dimmi!»
«Resterà in vita finché non ti rivedrà. Ma è molto debole.»
Aenea distolse lo sguardo. «È strano» disse. «Mia madre litigò con zio Martin per tutto il pellegrinaggio. A volte si sarebbero uccisi l’un l’altro. Ma prima che lei morisse, lui era il suo migliore amico. Ora…» Si fermò, con voce velata.
«Devi solo restare viva, ragazzina.» Avevo anch’io una voce strana. «Viva e in buona salute, per tornare a fare visita al vecchio. Glielo devi.»
«Prendimi la mano, Raul.»
La nave si teleportò nel lampo di luce.
Intorno a Tau Ceti Centro fummo immediatamente attaccati non solo da navi della Pax, ma anche da navi torcia dei ribelli che lottavano per la secessione del pianeta propugnata dall’ambizioso arcivescovo Achilia Silvaski. Il nostro campo di contenimento avvampò come una nova.
Aenea tese le mani al Tromo Trochi di Dhomu e a me.
«Non ti puoi teleportare attraverso questo inferno» protestai.
«Non ci si teleporta attraverso qualcosa» replicò la mia amica; ci prese per mano e ci trovammo nell’ex capitale della compianta e non rimpianta Egemonia.
Il Tromo Trochi non era mai stato su Tau Ceti, anzi non si era mai allontanato da T’ien Shan, ma i suoi interessi commerciali erano stati stuzzicati dai racconti su quella che un tempo era stata la capitale del capitalismo dell’universo umano.
«Peccato che non abbia niente da vendere» disse l’abile mercante. «In sei mesi, su un pianeta così fecondo, avrei creato un impero commerciale.»
Aenea frugò nella sacca che portava in spalla e ne tolse un pesante lingotto d’oro. «Questo dovrebbe bastare ad avviarti» disse. «Ma non dimenticare i tuoi veri compiti qui.»
Tenendo nella mano il lingotto, il piccolo mercante le rivolse un inchino. «Non li dimenticherò mai, maestra. Non ho penato ad apprendere il linguaggio dei morti per niente.»
«Cerca solo di cavartela per i prossimi mesi. Poi sarai in grado di andare su qualsiasi pianeta di tua scelta, ne sono sicura.»
«Andrei dovunque ci sei tu, Aenea» disse il mercante e fu l’unica volta che lo vidi mostrare le proprie emozioni. «E pagherei tutte le mie ricchezze, passate, future e fantasticate, per farlo.»
Rimasi un po’ sorpreso a queste parole. Per la prima volta mi venne in mente che molti discepoli di Aenea erano forse, anzi probabilmente, un po’ innamorati di lei, oltre che pieni di timore reverenziale. Ma ascoltare quella dichiarazione di un mercante ossessionato dal denaro fu una vera sorpresa.
Aenea gli toccò il braccio. «Non correre rischi e passatela bene.»
Quando tornammo, la Yggdrasill era ancora sotto attacco. Ed era sotto attacco quando Aenea ci teleportò lontano dal sistema di Tau Ceti.
Il pianeta-città Lusus non era cambiato molto da come lo ricordavo dal mio breve soggiorno: una serie di torri alveare sopra canyon di metallo grigio. Lì George Tsarong e Jigme Nerbu ci salutarono. Il tozzo e muscoloso George (piangeva, mentre abbracciava Aenea) poteva passare per un lusiano medio, se non lo si guardava troppo da vicino, ma il filiforme Jigme sarebbe risaltato nella folla. Lusus però era abituato a visitatori di altri pianeti e i nostri due capisquadra se la sarebbero cavata bene, se avessero avuto denaro. Ma Lusus era uno dei pochi pianeti della Pax che erano tornati alle carte di credito ed Aenea non ne aveva, nella sua sacca.
Tuttavia, appena usciti dai corridoi del vuoto alveare Dreg, fummo avvicinati da sette figure in mantello cremisi. Mi frapposi fra Aenea e le inquietanti figure, ma i sette, anziché assalirci, si inginocchiarono sul pavimento unto, chinarono la testa e intonarono:
BENEDETTA SIA LEI
BENEDETTA SIA LA FONTE DELLA NOSTRA SALVEZZA
BENEDETTO SIA LO STRUMENTO DELLA NOSTRA REDENZIONE
BENEDETTO SIA IL FRUTTO DELLA NOSTRA RICONCILIAZ1ONE
BENEDETTA SIA LEI.
«Il culto Shrike» dissi stupidamente. «Pensavo che fosse scomparso, spazzato durante la Caduta.»
«Preferiamo che ci si riferisca a noi come alla Chiesa della redenzione finale» disse il primo dei sette, rialzandosi, ma sempre a capo chino in direzione di Aenea. «E, no, non siamo stati "spazzati", per usare la tua parola, ma semplicemente costretti alla clandestinità. Benvenuta, figlia della Luce. Benvenuta, sposa dell’Avatar.»
Aenea si limitò a scuotere la testa, con chiara impazienza. «Non sono la sposa di nessuno, vescovo Duruyen. Ho portato questi due uomini e li affido alla sua protezione per i prossimi dieci mesi.»
Il vescovo chinò la testa. «Proprio come dicono le profezie, figlia della Luce.»
«Non profezie» replicò Aenea. «Promesse.»
Si girò e diede un ultimo abbraccio a George e a Jigme.
«Ti rivedremo, architetto?» disse Jigme.
«Questo non posso prometterlo. Ma prometto che, se è in mio potere, saremo in contatto di nuovo.»
Seguii Aenea negli umidi e deserti corridoi dell’alveare Dreg, dove la nostra partenza non sarebbe parsa così miracolosa da essere inserita nel già fertile canone del culto Shrike.
Sul pianeta Tsingtao-Hsishuang Panna salutammo il Dalai Lama e suo fratello, Labsang Samten. Labsang pianse. Il Dalai Lama no.
«Il dialetto mandarino della popolazione locale è atroce» disse il Dalai Lama.
«Ma la gente riuscirà a capirti, Santità» disse Aenea. «E ti darà ascolto.»
«Ma tu sei la mia insegnante» disse il bambino, con voce prossima alla collera. «Come posso insegnare loro, senza il tuo aiuto?»
«Ti aiuterò» disse Aenea. «Cercherò di aiutarti. E poi, è il tuo compito. E il loro.»
«Ma possiamo condividere la comunione con questi?» domandò Labsang.
«Se lo chiedono» rispose Aenea. Al bambino disse: «Mi daresti la tua benedizione, Santità?».
Il piccolo Dalai Lama sorrise. «Dovrei chiederti io la benedizione, maestra.»
«Per favore» disse Aenea e di nuovo sentii la stanchezza nella sua voce.
Il Dalai Lama chinò la testa e, a occhi chiusi, disse: «Queste sono parole della preghiera di Kuntu Sangpo, a me rivelate mediante la visione del mio terton in una vita precedente:
Aenea chinò la testa verso il bambino. «Il Palazzo dello spazio primevo del Vuoto» mormorò. «Una espressione molto più elegante della mia goffa descrizione del Vuoto che lega. Grazie, Santità.»
Il bambino si inchinò. «Grazie a te, reverenda maestra. Possa la tua morte essere più rapida e meno dolorosa di quanto tutti e due ci aspettiamo.»
Aenea e io tornammo sulla nave-albero. Misi le mani sulle spalle di Aenea e la guardai negli occhi. «Cosa diavolo voleva dire?» domandai. «Morte più rapida e meno dolorosa? Che diavolo significa? Conti di farti crocifiggere? Questa maledetta imitazione di messia deve finire nello stesso modo stravagante? Parla, Aenea!» Mi resi conto di scuoterla, di scuotere la mia cara amica, la mia amata ragazza. Lasciai cadere le mani.
Aenea mi circondò con le sue. «Stai semplicemente con me, Raul. Stai con me, per quanto puoi.»
«Certo» dissi. «Te lo giuro.»
Sul pianeta Fuji salutammo Kenshiro Endo e Haruyuki Otachi. Su Deneb Drei salutammo una bambina che non conoscevo… una certa Katherine, di dieci anni, che rimase da sola e non parve per niente spaventata. Su Sol Draconis Septem, quel pianeta di aria congelata e di micidiali spettri, dove padre Glauco e i nostri amici Chitchatuk erano stati vilmente assassinati, il triste e pensieroso montatore d’impalcature, Rimsi Kyipup, fu quasi lieto di offrirsi volontario per restare. Su Nevermore salutammo un altro uomo che non avevo avuto l’onore di conoscere: un tipo piuttosto anziano, dalla voce calma, che pareva un fratello più giovane e più gentile di Martin Sileno. Su Bosco Divino, dove dieci anni prima A. Bettik aveva perduto parte del braccio, i due luogotenenti templari di Het Masteen si teleportarono con Aenea e con me sul pianeta e non tornarono alla Yggdrasill. Su Hebron, privo ora dei coloni ebrei, ma pieno di buoni cristiani inviati dalla Pax, i due Seneschai Aluit, LLeeoonn e OOeeaall, si teleportarono con noi e ci salutarono, di sera, in un vuoto deserto dove le rocce conservavano ancora il bagliore del giorno.