Rimasi stordito, senza parole.
«Bin Ria Dem Loa Alem è morto di malattia» continuò Dem Loa «ma gli altri sono morti nella nostra guerra contro la Pax.»
«Guerra contro la Pax» ripetei. «Spero davanti a Dio di non essere stato io a iniziarla…»
Dem Loa alzò la mano. «No, Raul Endymion. Non l’hai iniziata tu. Quelli fra noi nella Spettroelica di Amoiete che tenevano in conto le tradizioni hanno rifiutato la croce, e questo rifiuto ha provocato la guerra. La rivolta era già cominciata, mentre ti trovavi con noi. Dopo la tua partenza, pensavamo di avere vinto. I vigliacchi della base militare di Bombasino hanno sollecitato la pace, ignorato gli ordini dei loro comandanti nello spazio e stretto patti con noi. Ma sono giunte altre navi della Pax. Hanno bombardato la loro stessa base, poi si sono scagliate contro i nostri villaggi. Da allora è guerra. Gli uomini della Pax atterrano e cercano di occupare il territorio. Ne uccidiamo parecchi. E la Pax ne manda altri.»
«Dem Loa, mi dispiace, mi dispiace davvero.»
Lei mi mise la mano sul petto e annuì. Vidi il sorriso che ricordavo dalle ore trascorse insieme. Dem Loa guardò di nuovo Aenea. «Sei quella di cui lui parlava nel delirio e nella sofferenza» disse. «Sei quella che amava. Lo ami anche tu, bambina?»
«Lo amo» disse Aenea.
«Bene. Sarebbe triste, se un uomo convinto di essere in punto di morte esprimesse un tale amore per una persona che non sentisse per lui lo stesso sentimento.» Guardò la Scrofa Folgore, silenziosa e regale. «Sei una sacerdotessa?»
«Non sacerdotessa» rispose la Scrofa Folgore. «Madre superiora di un monastero, il gompa Samden.»
Dem Loa sorrise. «Comandi sui monaci? Sugli uomini?»
«Li… consiglio» rispose la Dorje Phamo. Il vento le scompigliò i capelli grigi come ferro.
«Vale quanto comandarli» rise Dem Loa. «Benvenuta, allora, Dorje Phamo.» Si rivolse a Aenea. «Resti con noi, bambina? O ci sfiori soltanto e tiri dritto, come dicono le nostre profezie?»
«Devo andare avanti» disse Aenea. «Però mi piacerebbe lasciare qui la Dorje Phamo, come vostra alleata e nostro… collegamento.»
Dem Loa annuì. «Adesso qui è pericoloso» disse alla Scrofa Folgore.
La Dorje Phamo le sorrise. La forza delle due donne pareva energia palpabile nell’aria intorno a noi.
«Bene» disse Dem Loa. Mi abbracciò. «Sii gentile con la tua amata, Raul Endymion. Sii buono con lei nelle ore che vi concederanno i cicli di vita e di caos.»
«Senz’altro» assicurai.
Dem Loa si rivolse a Aenea. «Grazie per essere venuta, bambina. Era nostro desiderio. Era nostra speranza.» Le due donne si abbracciarono di nuovo. A un tratto mi sentii impacciato, come se avessi portato Aenea a casa a conoscere mia madre o nonna.
La Dorje Phamo ci benedisse. «Kale pe a» soggiunse a Aenea.
Ce ne andammo nella tempesta di sabbia al crepuscolo e ci teleportammo nel lampo di luce bianca. Nella quiete del ponte della Yggdrasill, domandai a Aenea: «Cos’ha detto?».
«Kale pe a» ripeté Aenea. «Un antico saluto tibetano, quando una carovana parte per salire i picchi più alti. Significa: "Vai lentamente, se vuoi tornare".»
Continuò così per un centinaio di altri pianeti, ciascuno visitato solo per qualche minuto; ma ogni saluto fu commovente e toccante, diverso dagli altri. Mi è difficile dire quanti giorni e quante notti furono spesi in quel viaggio finale con Aenea, perché c’era solo il teleportarsi giù e teleportarsi su, la nave-albero entrava nella luce in un punto ed emergeva altrove; e quando tutti erano troppo stanchi per continuare, la Yggdrasill andava alla deriva nello spazio vuoto per alcune ore, mentre gli erg si riposavano e noi cercavamo di dormire.
Ricordo almeno tre di questi periodi di sonno, perciò forse viaggiammo solo tre giorni e tre notti. O forse viaggiammo per una settimana o più e dormimmo solo tre volte. Ma ricordo che Aenea e io dormimmo poco e ci amammo teneramente, come se ogni volta che ci tenevamo stretti potesse essere l’ultima.
In uno di questi brevi interludi intimi le mormorai: «Perché fai tutto questo, ragazzina? Non lo fai solo perché tutti possiamo diventare come gli Ouster e volare sotto la spinta della luce del sole sulle ali. Voglio dire… è stato magnifico… ma a me piacciono i pianeti! Mi piace il terreno sotto le suole. Mi piace essere… umano, ecco. Essere un uomo».
Aenea ridacchiò e mi accarezzò la guancia. La luce era fioca, ricordo, ma vedevo il sudore che le imperlava l’incavo dei seni. «Anche a me piace che tu sia un uomo, Raul caro.»
«Volevo dire…» cominciai, impacciato.
«So cosa volevi dire. Anche a me piacciono i pianeti. E mi piace essere umana, essere semplicemente donna. Non è solo per una utopistica evoluzione della specie umana in angeli Ouster e in empatici Seneschai che faccio… ciò che devo fare.»
«E allora perché?» le mormorai nei capelli.
«Per la possibilità di scegliere» disse piano. «Per l’opportunità di restare umani, qualsiasi cosa ciò significhi per chi sceglie.»
«Per scegliere ancora?»
«Sì. Anche se significa scegliere ciò che si è già avuto prima. Anche se significa scegliere la Pax, il crucimorfo, l’alleanza col Nucleo.»
Non capii, ma in quel momento ero più interessato a tenerla stretta che a capire.
Dopo un momento di silenzio Aenea disse: «Raul… piace anche a me il terreno sotto le suole, il fruscio del vento nell’erba. Faresti una cosa per me?»
«Qualsiasi cosa!» risposi, deciso.
«Se morirò prima di te, riporterai sulla Vecchia Terra le mie ceneri e le spargerai nel posto dove siamo stati più felici insieme?»
Se mi avesse pugnalato al cuore, avrei sofferto meno. «Hai detto che potevo restare con te» sbottai infine, con voce rauca, adirata, perduta. «Che potevo andare dovunque andassi tu.»
«Ed ero sincera, amore mio. Ma se ti precedo nella morte, mi farai quel favore? Aspetterai qualche anno e poi disperderai le mie ceneri là dove siamo stati più felici, sulla Vecchia Terra?»
Avevo voglia di stringerla fino a farla piangere. Fino a farla rinunciare alla richiesta. Invece bisbigliai: «E come diavolo tornerei sulla Vecchia Terra, maledizione? Si trova nella Nube di Magellano, no? Centosessantamila anni luce da qui, no?».
«Sì.»
«Riaprirai i teleporter perché possa arrivarci?»
«No. Quelle porte sono chiuse per sempre.»
«Allora come diavolo ti aspetti che io…» Chiusi gli occhi. «Non chiedermi di farlo, Aenea.»
«Te l’ho già chiesto, amore mio.»
«Chiedimi invece di morire al posto tuo.»
«No. Ti chiedo di vivere per me. Di farlo per me.»
«Merda.»
«Significa sì?»
«Significa merda. Odio i martiri. Odio la predestinazione. Odio le storie d’amore che terminano male.»
«Anch’io» bisbigliò Aenea. «Lo farai per me?»
Sospirai. «Dove siamo stati più felici, sulla Vecchia Terra?» dissi infine. «Ti riferisci di sicuro a Taliesin West, perché insieme non abbiamo visto molti altri posti.»
«Al momento buono lo saprai. Ora dormiamo.»
«Non ho voglia di dormire» replicai sgarbatamente.
Mi circondò con le braccia. Era stato delizioso dormire insieme, a gravità zero, sull’Albero Stella. Era ancora più delizioso, nel nostro piccolo letto nel nostro stanzino privato nel lieve campo gravitazionale della Yggdrasill. Non riuscivo a immaginare un tempo in cui avrei dovuto dormire senza lei al fianco.
«Spargere le tue ceneri, eh?» borbottai a un certo punto.
«Sì» mormorò Aenea, più appisolata che sveglia
«Ragazzina, amore mio, tesoro mio» dissi. «Sei una morbosa piccola puttana.»
«Sì» mormorò la mia Aenea. «Ma sono la tua morbosa piccola puttana.»
Piano piano prendemmo sonno.
L’ultimo giorno Aenea ci teleportò in un sistema solare con una nana rossa tipo M3 al centro e un pianeta simile alla dolce Terra in orbita bassa.
«No» disse Rachel, mentre il nostro piccolo gruppo si trovava sul ponte di Het Masteen. In trecento ci avevano lasciato, uno per volta; i numerosi discepoli di Aenea erano stati sparpagliati fra i pianeti della Pax come bottiglie gettate in un grande oceano, ma senza un messaggio all’interno. Ora sulla Yggdrasill restavano padre de Soya, Rachel, Aenea, il capitano Het Masteen, A. Bettik, i cloni dell’equipaggio, gli erg in fondo alla nave e io. E lo Shrike, muto e immobile, sulla piattaforma più alta.