Выбрать главу

L’ultimo paragrafo scomparve, affidato alla sua memoria e all’oblio; il Grande Inquisitore si rivolse al suo aiutante, padre Farrell. «Non ci sono stati altri incontri con la Pax Mercatoria?»

Padre Farrell, un uomo magro dagli occhi grigi e spenti, non sorrideva mai, ma ora, con una contrazione del muscolo facciale, trasmise al cardinale una parvenza di sorriso. «Nessun altro incontro.»

«Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo.»

Il Grande Inquisitore si appoggiò allo schienale imbottito e si concesse un breve sorriso. La Pax Mercatoria aveva effettuato solo quel prematuro e disastroso approccio nei confronti di uno dei candidati al soglio pontificio — tastare il polso al cardinale Lourdusamy — e lui aveva ascoltato la registrazione completa di quell’incontro. Si concesse ancora alcuni secondi di sorriso compiaciuto: Lourdusamy aveva ragione di ritenere che la sua sala conferenze fosse a prova di "cimici", del tutto sicura da intercettazioni di ogni tipo. Qualsiasi apparecchiatura nella sala, anche impiantata in uno dei presenti, sarebbe stata rilevata e scoperta. Ogni tentativo di trasmissione all’esterno sarebbe stato rilevato e bloccato. Il Grande Inquisitore aveva vissuto uno dei suoi momenti più belli, quando aveva avuto la registrazione audiovisiva completa di quell’incontro.

Due anni prima, monsignor Luca Oddi era entrato nella clinica vaticana per una normale sostituzione periodica di occhi, orecchie e cuore. Il chirurgo era stato avvicinato da padre Farrell e minacciato: se non voleva sentire sulle proprie spalle tutto il peso del Sant’Uffizio, doveva impiantare nel corpo del paziente alcune apparecchiature d’avanguardia. Il chirurgo aveva accettato l’incarico e poco dopo era morto della vera morte, senza possibilità di risurrezione, in un incidente d’auto sopra la Grande Secca Nord.

Monsignor Luca Oddi non aveva nel suo organismo cimici elettroniche o meccaniche, ma al suo nervo ottico erano collegati sette nanoregistratori video totalmente biologici. Quattro nanoregistratori audio erano inseriti nel suo sistema nervoso uditivo. Quei bioregistratori non trasmettevano dall’interno del corpo, ma memorizzavano i dati in forma chimica e li trasportavano fisicamente nel flusso sanguigno fino al trasmettitore a emissione concentrata, anch’esso completamente organico, inserito nel ventricolo sinistro. Dieci minuti dopo che monsignor Oddi lasciava la zona protetta dell’ufficio del cardinale Lourdusamy, il trasmettitore inviava una registrazione compressa a uno dei vicini transponder relè del Grande Inquisitore. Non era come origliare in tempo reale nella sala a prova d’intercettazione del cardinale Lourdusamy, fatto che ancora preoccupava il cardinale Mustafa, ma era quanto di più simile l’attuale tecnologia spionistica permettesse.

«Isozaki ha paura» disse padre Farrell. «Pensa che…»

Il Grande Inquisitore alzò il dito. Padre Farrell si interruppe a metà della frase. «Tu non sai che ha paura» disse il cardinale. «Tu non sai cosa pensa. Tu sai solo ciò che dice e ciò che fa; da questo deduci il suo pensiero e le sue reazioni. Non fare mai ipotesi non comprovabili sui tuoi nemici, Martin. Potrebbe rivelarsi una fatale indulgenza nei tuoi stessi confronti.»

Padre Farrell chinò la testa per mostrare d’essere d’accordo, ma anche in segno di sottomissione.

Il VEM atterrò nell’apposita area in cima a Castel Sant’Angelo. Il Grande Inquisitore uscì dal portello e scese la scaletta, con tale rapidità che Farrell fu costretto a correre per raggiungerlo. Agenti della sicurezza, nella rossa uniforme corazzata del Sant’Uffizio, si disposero a passo di scorta davanti a loro e dietro di loro, ma il Grande Inquisitore li allontanò con un gesto. Voleva terminare il discorso con padre Farrell. Toccò il braccio sinistro del suo aiutante, non come gesto amichevole, ma per chiudere i circuiti a conduzione ossea, in modo da poter parlare senza emissione di suono. «Isozaki e i capi della Pax Mercatoria non hanno paura, Martin» disse. «Se Lourdusamy avesse voluto la loro epurazione, a quest’ora sarebbero già morti. Isozaki doveva trasmettere il messaggio di sostegno al cardinale e l’ha trasmesso. Ad avere paura sono i militari della Pax.»

Farrell corrugò la fronte e replicò sul circuito osseo. «I militari? Ma ancora non hanno giocato la loro carta. Non hanno fatto niente di eversivo.»

«Appunto» ammise il Grande Inquisitore. «I capi della Pax Mercatoria hanno fatto la loro mossa e sanno che a tempo debito Lourdusamy penserà a loro. Per anni i militari della Flotta della Pax e delle altre forze armate hanno avuto paura di fare la scelta sbagliata. Ora hanno paura di avere atteso troppo.»

Farrell annuì. Avevano preso un ascensore gravitazionale per scendere nel ventre di pietra di Castel Sant’Angelo; ora oltrepassarono guardie armate e attraversarono letali campi di forza posti lungo un corridoio buio. Davanti a una porta priva di targhe, due agenti in uniforme rossa scattarono sull’attenti, sollevando il fucile a energia.

«Lasciateci qui» disse il Grande Inquisitore. Posò la palma sulla piastra di identificazione. Il pannello d’acciaio scivolò sulle guide e scomparve.

Il corridoio era stato pietra e ombre. L’interno della sala era vivida luce, strumenti e superfici sterili. All’ingresso del Grande Inquisitore e di Farrell, alcuni tecnici alzarono lo sguardo. Una parete della stanza era occupata da sportelli quadrati che parevano proprio contenitori per cadaveri umani, come in un’antica morgue. Uno sportello era aperto e un uomo nudo era disteso su un lettino a rotelle estratto dal cassetto frigorifero.

Il Grande Inquisitore e Farrell si fermarono ai lati del lettino.

«Ritorna in vita senza problemi» disse il tecnico al quadro comandi. «Lo teniamo appena sotto la superficie. Possiamo rianimarlo anche subito.»

«Quanto tempo è durato il suo ultimo crio-sonno?» domandò padre Farrell.

«Sedici mesi locali» rispose il tecnico. «Tredici e mezzo standard.»

«Rianimatelo» ordinò il Grande Inquisitore.

Nel giro di qualche secondo l’uomo cominciò a battere le palpebre. Era piccolo, muscoloso ma compatto, e non aveva segni o lividi sul corpo. Ai polsi e alle caviglie portava ceppi di lappolite. Uno shunt corticale gli era stato impiantato proprio dietro l’orecchio sinistro e un fascio quasi invisibile di microfibre correva dallo shunt al quadro comandi.

L’uomo sul lettino gemette.

«Caporale Bassin Kee» disse il Grande Inquisitore «mi senti?»

Il caporale Kee emise un suono incomprensibile.

Il Grande Inquisitore annuì, come soddisfatto. «Caporale Kee» disse in tono piacevole, da conversazione «dobbiamo ricominciare dal punto in cui ci eravamo interrotti?»

«Quanto tempo…» borbottò Kee, con labbra secche e irrigidite. «Quanto tempo sono stato…»

Padre Farrell si era spostato accanto al tecnico davanti al quadro di comando. Ora rivolse un cenno di assenso al Grande Inquisitore.

Senza fare caso alla domanda del caporale, il cardinale John Domenico Mustafa disse piano: «Perché tu e il padre capitano de Soya avete lasciato andare la bambina?».

Il caporale Kee aveva aperto gli occhi, battendo le palpebre come se la luce gli ferisse dolorosamente la vista; ora li richiuse. Rimase in silenzio.

Il Grande Inquisitore rivolse un cenno al suo aiutante. Padre Farrell passò la mano su alcune icone nel diskey del quadro di comando, ma per il momento non ne attivò nessuna.

«Te lo ripeto» disse il Grande Inquisitore. «Perché tu e de Soya avete permesso alla bambina e ai suoi alleati criminali di fuggire da Bosco Divino? Per chi lavoravate? Quali erano i vostri motivi?»

Il caporale Kee rimase supino, mani strette a pugno e occhi serrati. Non rispose.

Il Grande Inquisitore piegò impercettibilmente la testa a sinistra e padre Farrell mosse due dita sopra una delle icone. A un occhio non addestrato, quelle icone erano astratte come geroglifici, ma Farrell le conosceva bene. Quella da lui scelta poteva essere interpretata come "testicoli schiacciati".