Rispose l’ammiraglio Marusyn, in tono d’orgoglio, come se mostrasse il suo ultimo nipotino: «Tutto il campionario» disse. «Raggi di energia CPB, naturalmente, ma alimentati dal nucleo del motore C-più e non da quello a fusione. Riducono a scorie qualsiasi cosa nel raggio di mezza unità planetaria. Nuovi missili ipercinetici Hawking, miniaturizzati, circa la metà in massa e dimensioni rispetto a quelli che armavano la Baldassarre. Aghi al plasma con resa quasi doppia rispetto alle testate di cinque anni fa. Raggi della morte…»
Il padre capitano de Soya cercò di restare impassibile: i raggi della morte erano proibiti, nella Flotta della Pax.
L’ammiraglio Marusyn gli lesse qualcosa in viso. «La situazione è cambiata, Federico» spiegò infatti. «La battaglia è alla fine. Gli Ouster si riproducono come moscerini della frutta, là fuori nel buio; se non li fermiamo, fra un paio d’anni scorificheranno Pacem.»
Il padre capitano de Soya annuì. «Posso chiedere quale pianeta ha finanziato la costruzione di questa nuova Raffaele, signore?»
Marusyn sorrise e indicò l’ologramma. L’ingrandimento aumentò e lo scafo parve proiettarsi contro de Soya. La vista tagliò lo scafo, si chiuse sul ponte tattico, si mosse sul bordo del pozzetto olografico tattico, finché il padre capitano non riuscì a distinguere una piccola targa di bronzo col nome, ASS RAFFAELE, e sotto, in caratteri più piccoli, COSTRUITA E COMMISSIONATA DALLA POPOLAZIONE DI PORTA DEL PARADISO, PER LA DIFESA DI TUTTA L’UMANITÀ.
«Perché sorride, padre capitano?» domandò l’ammiraglio Marusyn.
«Ah, signore, ecco, sono stato su Porta del Paradiso, signore. Più di quattro anni fa, naturalmente. Il pianeta era disabitato, a parte una decina di cercatori minerari e una guarnigione della Pax in orbita. Dopo l’invasione degli Ouster, trecento anni fa, non c’è più stata una vera popolazione. Proprio non riesco a immaginare come un pianeta del genere riesca a finanziare la costruzione di una di queste navi. Mi sembra che per pagare una sola Arcangelo sarebbe necessario il prodotto nazionale lordo di un pianeta come Vettore Rinascimento.»
Marusyn non perdette il sorriso. «Esatto, padre capitano. Porta del Paradiso è un buco d’inferno, atmosfera velenosa, pioggia acida, fango interminabile, piane sulfuree, non si è mai ripreso dall’attacco degli Ouster. Ma Sua Santità ha ritenuto opportuno trasferire a imprese private la sovrintendenza di quel pianeta. Porta del Paradiso possiede ancora una fortuna in metalli pesanti e prodotti chimici. Così l’abbiamo venduto.»
Stavolta de Soya non riuscì a nascondere la sorpresa. «Venduto, signore? Un intero pianeta?»
Mentre Marusyn rideva apertamente, l’ammiraglio Wu precisò: «All’Opus Dei, padre capitano».
De Soya rimase in silenzio, ma fu chiaro che non aveva capito.
«Un tempo l’Opus Dei era una organizzazione religiosa di importanza secondaria» disse Wu. «Conta, credo, milleduecento anni di vita. Fu fondata nel 1920 d.C. Negli ultimi anni è divenuta non solo un grande alleato della Santa Sede, ma un degno concorrente della Pax Mercatoria.»
«Ah, certo» disse il padre capitano de Soya. Riusciva a immaginare che la Pax Mercatoria comprasse interi pianeti, ma non che permettesse a un concorrente di acquisire un tale potere nei pochi anni in cui lui era stato lontano dalla Pax e all’oscuro delle ultime novità. Non importava. Si rivolse all’ammiraglio Marusyn. «Un’ultima domanda, signore.»
L’ammiraglio diede un’occhiata al cronometro comlog e annuì, brusco.
«Da quattro anni manco dalla Flotta» disse piano de Soya. «Non ho più portato l’uniforme e non ho avuto aggiornamenti tecnologici. Il pianeta dove prestavo servizio sacerdotale è lontanissimo dai centri principali; in pratica è come se avessi passato in crio-fuga tutto questo tempo. Come potrei, signore, assumere il comando di una astronave classe Arcangelo della nuova generazione?»
Marusyn corrugò la fronte. «Procederemo ad aggiornarla, padre capitano. La Flotta della Pax sa ciò che fa. Oppure la sua è una risposta negativa a questa nomina?»
Il padre capitano de Soya esitò visibilmente. «Nossignore» disse poi. «Apprezzo la fiducia che lei e la Flotta della Pax dimostrate nei miei confronti. Farò del mio meglio, Ammiraglio.» De Soya era stato addestrato alla disciplina due volte, una come prete e gesuita, una come ufficiale della Flotta di Sua Santità.
Marusyn ammorbidi l’espressione del viso. «Sono sicuro che farà del suo meglio, Federico. Siamo lieti di riaverla con noi. Vorremmo che lei restasse nel presbiterio dei legionari, qui su Pacem, finché non saremo pronti a inviarla alla sua nave, se per lei va bene.»
"Maledizione!" pensò de Soya. "Ancora prigioniero con quei maledetti legionari." Ma rispose: «Naturalmente, signore. È un luogo piacevole».
Marusyn diede di nuovo un’occhiata al comlog: l’incontro era alla fine. «Qualche richiesta, prima che l’incarico diventi ufficiale, padre capitano?»
De Soya esitò di nuovo. Fare richieste sarebbe stato controproducente, lo sapeva. Ma non cambiò idea. «Sì, signore» disse. «Solo una. Nella vecchia Raffaele avevo tre subalterni, guardie svizzere portate con me da Hyperion. Il lanciere Rettig… è morto, signore, ma il sergente Gregorius e il caporale Kee sono stati con me fino alla fine e mi chiedevo se…»
Marusyn annuì con impazienza. «Li vuole con lei sulla nuova Raffaele. Mi pare una richiesta ragionevole. Avevo un cuoco che mi trascinavo di nave in nave… il poveraccio rimase ucciso nella seconda battaglia del Sacco di Carbone. Non so niente di quei suoi uomini.» Diede un’occhiata all’ammiraglio Wu.
«Per puro caso mi sono passati fra le mani i loro dossier, mentre rivedevo le carte per la sua reintegrazione, padre capitano» disse l’ammiraglio Wu. «Al momento il sergente Gregorius presta servizio nei Territori dell’Anello. Sono sicura che si può combinare un trasferimento. Il caporale Kee purtroppo…»
De Soya si sentì stringere lo stomaco: Kee era con lui su Bosco Divino, mentre Gregorius era stato rimesso nella culla, perché la risurrezione non era riuscita. L’aveva visto ancora una volta, dopo il ritorno nello spazio di Pacem, quando gli agenti della polizia militare li avevano arrestati e portati in celle separate. Gli aveva stretto la mano e gli aveva promesso che si sarebbero rivisti.
«… è morto due anni standard fa» proseguì Wu. «Fu ucciso durante un attacco degli Ouster nel Saliente Sagittario. Ha ricevuto la Stella d’Argento di San Michele, alla memoria, è ovvio.»
De Soya annuì sobriamente. «Grazie» disse.
L’ammiraglio Marusyn rivolse a de Soya il suo paterno sorriso da politico e gli tese la mano, da sopra la scrivania. «Buona fortuna, Federico. Usi la Raffaele per mandarli all’inferno.»
Il quartier generale della Pax Mercatoria non si trovava su Pacem, ma era — opportunamente — dislocato nel punto troiano Lagrange 5, a circa sessanta gradi dal piano dell’eclittica. Fra il pianeta del Vaticano e il gigantesco toroide cavo della Pax Mercatoria (una ciambella carbonio-carbonio spessa 270 metri, larga un buon chilometro e del diametro di 26 chilometri, dall’interno intersecato di filiformi bacini di carenaggio, antenne di trasmissione e scomparti di carico) si librava metà potenza di fuoco della Flotta della Pax, di stanza in orbita. Kenzo Isozaki aveva calcolato una volta che un tentativo di colpo di Stato partito dal toroide sarebbe durato 12,06 nanosecondi, prima di finire in vapore.
L’ufficio di Isozaki si trovava in un bulbo trasparente su uno stelo di fibrocarbonio che sporgeva di quattrocento metri dal bordo esterno del toroide. Il guscio pellicolare ricurvo del bulbo poteva essere reso opaco o lasciato trasparente a seconda del capriccio del primo funzionario esecutivo (PFE) che lo occupava. Oggi era trasparente, a parte la sezione polarizzata che attenuava il bagliore del giallo sole di Pacem. In quel momento lo spazio pareva nero ma, con la rotazione del toroide, il bulbo si sarebbe venuto a trovare nell’ombra dell’anello e Isozaki, guardando in alto, avrebbe visto la comparsa istantanea delle stelle, come se un nero sipario fosse stato tirato da parte per rivelare migliaia di candele dalla fiammella vivida e immobile. "O la miriade di fuochi di bivacco dei miei nemici" pensò Isozaki, mentre l’oscurità scendeva per la ventesima volta nella sua giornata di lavoro.