Выбрать главу

In piedi davanti a lui, il cardinale diacono anziano disse: «Accetti la canonica elezione a Supremo Pontefice?».

«Accetto» disse il prete.

A questo punto uno stallo fu spostato alle spalle del prete. Il cardinale diacono alzò le mani e intonò: «Poiché così accetti l’elezione canonica, questa assemblea, di fronte a Dio Onnipotente, ti riconosce come vescovo della Chiesa di Roma, vero papa e capo del Collegio dei vescovi. Possa Iddio consigliarti bene, poiché ti concede pieno e assoluto potere sopra la Chiesa di Gesù Cristo».

«Amen» disse il cardinale Lourdusamy e tirò il cordone che abbassava il tendaggio del suo stallo. Gli ottantatré tendaggi fisici e i trentasette in ologramma calarono allo stesso tempo; solo quello del nuovo papa rimase alzato. Il prete, ora pontefice, si sedette sotto il baldacchino papale.

«Quale nome scegli come Supremo Pontefice?» domandò il cardinale diacono.

«Scelgo il nome Urbano XVI» disse il prete seduto.

Dagli stalli provenne un mormorio. Il cardinale diacono alzò la mano e con gli altri due scrutatori accompagnò il prete fuori della cappella. Mormoni e bisbigli crebbero di volume.

Il cardinale Mustafa si sporse dallo stallo e disse a Lourdusamy: «Di sicuro pensa a Urbano II. Urbano XV era un piccolo vigliacco piagnucolone del XIX secolo che pensava solo a leggere romanzi gialli e a scrivere lettere alla sua ex amante».

«Urbano II» rifletté Lourdusamy. «Sì, naturalmente.»

Dopo alcuni minuti, gli scrutatori tornarono con il prete, ora papa, vestito di bianco abbagliante: tonaca bianca, zucchetto bianco, pettorale con la croce, fascia bianca alla cintola. Il cardinale Lourdusamy piegò le ginocchia sul pavimento di pietra della cappella, imitato dagli altri cardinali in carne e ossa e in ologramma, mentre il nuovo pontefice impartiva la sua prima benedizione.

Poi gli scrutatori e i cardinali aiutanti si accostarono alla stufa e bruciarono le schede ora legate con filo nero; vi aggiunsero un prodotto chimico per essere sicuri che la fumata fosse davvero bianca.

I cardinali sfilarono dalla Cappella Sistina e percorsero gli antichi viali e corridoi fino a San Pietro, dove il cardinale diacono anziano andò da solo sulla balconata per annunciare alle moltitudini in attesa il nome del nuovo pontefice.

Fra le cinquecentomila persone ammassate quel mattino dentro, fuori e intorno a piazza San Pietro, c’era il padre capitano Federico de Soya. Solo qualche ora prima era stato rilasciato dalla prigionia de facto nel presbiterio dei legionari. Nel tardo pomeriggio doveva presentarsi allo spazioporto della Flotta della Pax per imbarcarsi sulla navetta che l’avrebbe portato alla nave Arcangelo di cui avrebbe preso il comando. Camminando per il Vaticano, de Soya aveva seguito la folla — poi ne era stato inghiottito — di uomini, donne e bambini che fluiva come un grande fiume verso piazza San Pietro.

Un applauso scrosciante si era levato non appena dal tubo della stufa erano usciti i primi sbuffi di fumo bianco. La folla già incredibilmente fitta sotto la balconata di piazza San Pietro divenne ancora più fitta per le decine di migliaia di persone che si riversavano intorno ai colonnati e al di là delle statue. Centinaia di guardie svizzere tennero la folla lontano dall’ingresso della basilica e dalle zone riservate.

Quando il diacono anziano uscì sul balcone e annunciò che il nuovo pontefice si sarebbe chiamato papa Urbano XVI, un grande ansito salì dalla folla. De Soya si ritrovò a bocca aperta, sorpreso e sconvolto. Tutti si aspettavano che il nome prescelto fosse Giulio XV. Il pensiero che un altro cardinale fosse stato eletto papa era… be’, impensabile.

Poi il nuovo pontefice uscì sulla balconata e l’ansito si mutò in una ovazione che parve non finire mai.

Era sempre papa Giulio: il viso ben noto, l’alta fronte, gli occhi tristi. Padre Lenar Hoyt, il salvatore della Chiesa, era stato eletto ancora una volta. Sua Santità alzò la mano nella ben nota benedizione e attese che la folla smettesse di acclamare, in modo da poter prendere la parola; ma la folla non smetteva l’ovazione. Il ruggito proveniva da mezzo milione di gole e continuava senza sosta.

"Perché Urbano XVI?" si domandò il padre capitano de Soya. Negli anni da gesuita, aveva letto e studiato a sufficienza la storia della Chiesa. Rapidamente passò in rassegna i suoi appunti mentali sui papi di nome Urbano, molti dei quali meritavano solo l’oblio o peggio. Perché…

«Maledizione» esclamò a un tratto il padre capitano de Soya. La sua voce si perse nel costante ruggito dei fedeli che riempivano piazza San Pietro. «Maledizione.»

Ancora prima che la folla si chetasse abbastanza perché il nuovo-vecchio pontefice parlasse, spiegasse la scelta del nome, annunciasse ciò che andava annunciato, il padre capitano de Soya aveva già capito tutto. E si era sentito mancare il cuore.

Urbano II aveva servito la Chiesa dal 1088 al 1099. Durante il sinodo da lui indetto a Clermont — nel novembre del 1095, se de Soya ricordava bene — Urbano II aveva dichiarato la guerra santa contro i musulmani del Vicino Oriente, per soccorrere l’impero bizantino e liberare dalla dominazione musulmana tutti i luoghi sacri cristiani. Quella guerra santa sarebbe stata la prima crociata, la prima di molte e sanguinose campagne militari.

Finalmente la folla si chetò. Papa Urbano XIV iniziò a parlare: la sua voce, ben nota ma dotata di nuova energia, si alzò e ricadde sulla testa del mezzo milione di fedeli in ascolto in carne e ossa e sui miliardi in ascolto davanti ai trasmettitori in diretta.

Ancora prima che il papa iniziasse, il padre capitano de Soya si girò, si aprì a spintoni e a gomitate la strada tra la folla immobile e cercò di allontanarsi da piazza San Pietro, che ora gli dava un doloroso senso di claustrofobia.

Non riuscì ad allontanarsi. La folla era estatica e gioiosa e lui era intrappolato nella ressa. Anche le parole del pontefice erano gioiose e appassionate. Il padre capitano de Soya rinunciò ad andare via e chinò la testa. Mentre la folla cominciava ad applaudire e a gridare: "Deus le volt!", Dio lo vuole, de Soya cominciò a piangere.

Crociata. Gloria. La soluzione finale del problema Ouster. Morte al di là di ogni immaginazione. Distruzione inimmaginabile. Il padre capitano de Soya chiuse gli occhi e li serrò più forte che poteva, ma la visione di raggi di particelle ionizzate che lampeggiavano contro il nero dello spazio, la visione di interi pianeti in fiamme, di oceani mutati in vapore e di continenti ridotti a fiumi di lava, la visione di foreste orbitali che esplodevano in fumo, di corpi carbonizzati che si dissolvevano in nubi di cenere…

Mentre miliardi di persone festeggiavano, de Soya pianse.

4

L’esperienza mi aveva insegnato che le partenze e gli addii a notte fonda sono i più penosi per il morale.

I militari erano particolarmente bravi a iniziare viaggi importanti nel cuore della notte. Durante il mio servizio nella Guardia nazionale di Hyperion, pareva che tutti i maggiori movimenti di truppe iniziassero nelle ore piccole. Cominciai ad associare quella bizzarra mistura di paura e di eccitazione, di terrore e di anticipazione, con il buio prima dell’alba e con l’odore del ritardo. Aenea aveva detto che sarei partito nella notte del suo annuncio alla Compagnia, ma occorse tempo per caricare il kayak, per preparare il bagaglio e decidere che cosa abbandonare per sempre, per chiudere la tenda e la zona di lavoro nel comprensorio; così decollammo sulla navetta solo dopo le due di notte e giungemmo a destinazione quando mancava poco all’alba.

Mi sentivo, lo ammetto, tirato per la cavezza e comandato a bacchetta dall’annuncio di Aenea. Nei quattro anni trascorsi a Taliesin West, molti si erano rivolti a lei per farsi guidare e consigliare, ma io non ero uno di loro. Avevo trentadue anni. Aenea ne aveva sedici. Toccava a me badare a lei, proteggerla e, se era il caso, dirle che cosa fare e quando farla. La nuova piega degli eventi non mi piaceva nemmeno un poco.