Выбрать главу

La ragazza gli sfiorò la manica, mentre Hawks apriva la portiera. — È troppo pesante per portarla in una giornata così.

Hawks si soffermò accanto alla macchina, si sbottonò la giacca e la tolse, se la gettò di nuovo sul braccio. Poi sorrise, alzò la mano in un gesto incerto, si voltò, e passò oltre il cancello che una guardia gli teneva aperto.

PARTE TERZA

1

La mattina, alle nove meno un quarto, il telefono del laboratorio squillò. Sam Latourette prese il ricevitore dalle mani del tecnico che l'aveva sollevato. Disse: — Beh, se è così, non lasciarti incantare, Tom. Digli che aspetti. Avvertirò Ed Hawks. — Riattaccò e si recò trascinando i piedi verso il punto dove Hawks si trovava in compagnia di un gruppo di tecnici della Marina, che preparavano l'equipaggiamento destinato a Barker.

La tuta era aperta sul lungo tavolo regolabile, come un'aragosta sezionata: dai lati scendevano i tubi staccati dell'aria, e le giunture seghettate spiccavano come deformate dall'artrite, a causa dei motorini elettrici e dei pistoni idraulici incorporati che dovevano muoverle. Hawks aveva portato i fili da una presa di corrente alle giunture: la tuta si fletteva e si torceva, strusciando pesantemente le gambe sul rivestimento di plastica del tavolo e agitando le chele e gli utensili all'estremità delle braccia.

Uno degli specialisti della Marina accostò una bombola d'aria compressa e vi inserì i tubi. A un cenno di Hawks il casco, crestato da costolature di rinforzo e con il vetro anteriore sbarrato da una grata di tondini d'acciaio, emise un sibilo stridulo attraverso le prese, mentre la superficie del tavolo scricchiolava.

— Lascia stare, Ed — disse Sam Latourette. — Possono pensarci loro.

Hawks rivolse un'occhiata di scusa ai tecnici della Marina, che si erano voltati a guardare Latourette. — Lo so, Sam.

— Devi metterla tu? Lascia stare! — sbottò Latourette. — Non è mai l'equipaggiamento, quello che va male!

Hawks rispose, paziente: — Ma io ci tengo. I ragazzi, qui… — E indicò i tecnici. — Loro non si offendono se ci gioco.

— Beh, c'è quel Barker al cancello. Dammi il suo lasciapassare e il resto, e andrò a prenderlo. Sembra che sia davvero un tipo straordinario.

— No, andrò io, Sam. — Hawks si scostò dalla tavola e rivolse un cenno del capo ai tecnici. — Va benissimo. Grazie. — Uscì dal laboratorio e salì le scale che portavano al pianterreno, con aria assorta.

Si avviò lungo il viale d'asfalto nero bagnato di nebbia verso il cancello, che all'inizio si scorgeva appena, tra i vapori acri. Diede un'occhiata all'orologio e sorrise, vagamente.

Barker aveva lasciato la macchina nel parcheggio esterno e stava in attesa dall'altra parte del cancelletto riservato ai pedoni, fissando freddamente la guardia che lo ignorava. Aveva gli zigomi arrossati, e teneva la giacca a vento arrotolata intorno all'avambraccio sinistro, come se si aspettasse di dover iniziare un duello a coltellate.

— Buongiorno, dottor Hawks — disse la guardia, quando Hawks si avvicinò. — Quest'uomo ha cercato di convincermi a lasciarlo entrare senza lasciapassare. E ha cercato di farsi raccontare da me quello che lei sta facendo.

Hawks rivolse un cenno del capo a Barker, guardandolo pensieroso. — Non mi sorprende. — Si frugò in tasca, sotto al camice, e consegnò il lasciapassare della società e l'autorizzazione dell'FBI. La guardia se li portò nel gabbiotto per trascrivere i numeri sul registro.

Barker guardò Hawks con aria di sfida. — Cos'è questo posto? La sede di un altro progetto per la costruzione di bombe atomiche?

— Non c'è bisogno che lei vada a caccia d'informazioni — disse tranquillo Hawks. — Ed è inutile farlo con un uomo che non sa niente. La smetta di sprecare energie. Sarei stato più contento se non avessi saputo esattamente come si sarebbe comportato qui — disse a Hawks. — Grazie, Tom — aggiunse, quando la guardia uscì e aprì il cancello. Poi si rivolse a Barker. — Le verrà sempre detto tutto ciò che dovrà sapere.

Barker rispose: — Qualche volta, per me è meglio se posso giudicare io quello che mi occorre. Comunque… — S'inchinò, profondamente. — Al suo servizio. — Si raddrizzò e guardò il tratto di tubazione che formava l'architrave del cancello, poi contorse in un sorriso le labbra contratte. — Bene, morituri te salutamus, dottore — disse, passando. — La salutiamo, noi che siamo destinati a morire.

Hawks fece una smorfia. — Anch'io ho letto qualche libro — disse sottovoce, e girò la testa. — Metta il distintivo e venga con me.

Barker prese il distintivo dalle mani della guardia che glielo tendeva pazientemente e lo fissò al taschino della camicia. — E grazie, Tom — concluse, voltandosi indietro mentre si avviava dietro ad Hawks.

— Claire non voleva che venissi — disse, inclinando la testa per lanciare un'occhiata significativa allo scienziato. — Ha paura.

— Di quello che io posso farle, o di quello che potrebbe accadere a lei stessa, a causa di tutto questo? — ribatté Hawks, continuando a fissare gli edifici.

— Non so, dottore. — Nella tensione di Barker c'era una certa cautela. — Comunque — disse lentamente, con voce dura e tagliente — l'unico altro uomo che faccia paura a Claire sono io.

Hawks non disse nulla. Continuò a camminare in direzione del laboratorio, e dopo un po' Barker riprese a sorridere, un sorriso forzato, tenendo lo sguardo fisso al suolo.

La scala che dal piano terreno, dove si fermavano gli ascensori per passeggeri, scendeva nel laboratorio, era rivestita di lamine d'acciaio antisdrucciolevoli. La vernice verde delle lamine era perfetta ai lati, logora sui rombi stampati più interni. Più vicino al centro, i rombi erano consunti: e al centro, sul metallo logoro e assottigliato era stata applicata in disordine una mano di stagno per saldature. I passi di Hawks e di Barker echeggiavano nella tromba della scala, dipinta di grigio come una corazzata.

— Lei trascina su e giù le sue vittime in lunghe file, vero? — chiese Barker.

— Sono lieto che abbia trovato un nuovo argomento di cui parlare — rispose Hawks.

— Scommetterei che molte urla di sofferenza hanno echeggiato in questo pozzo. Cosa c'è dietro quella porta? La camera delle torture?

— Il laboratorio. — Hawks tenne aperta la porta. — Entri.

— Con piacere. — Barker raddrizzò le spalle in simmetria perfetta, si buttò sulla schiena la giacca a vento piegata, e passò davanti a Hawks. Avanzò di qualche passo nella corsia principale, tra le piccole cabine che contenevano le serie dei regolatori del voltaggio e s'infilò le mani in tasca, fermandosi per guardare in giro. Hawks si fermò al suo fianco.

Tutte le luci erano accese. Barker girò lentamente la parte superiore del corpo, studiando le gallerie piene di apparecchi per la modulazione dei segnali osservando gli assistenti che effettuavano i collaudi delle varie componenti.

— Si danno da fare — disse, guardando gli uomini in camice bianco, che spuntavano elenchi, regolavano interruttori, collegavano i generatori di segnali sopra ogni galleria, spegnevano gli apparecchi, li controllavano e li ricontrollavano. Il suo sguardo cadde sul gruppo più vicino di amplificatori a differenziale. — Quanti fili. Mi piacciono. Prodigi della scienza. E via dicendo.

— È parte di un uomo — disse Hawks.

— Oh? — Barker inarcò un sopracciglio: i suoi occhi brillavano, beffardi. — Prese e fili e aggeggini di ceramica — fece, in tono di sfida.

— Gliel'avevo detto — rispose calmo Hawks. — Non è necessario che lei cerchi di carpirci informazioni. Gliele forniremo noi. Quello fa parte di un uomo. L'amplificatore qui vicino è un'altra parte.