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«La mente di Barker L morirà con il suo corpo, in qualunque modo particolare venga annientato quel corpo. Speriamo che avvenga un po' dopo lo scadere dei duecentotrentadue secondi, piuttosto che prima. Comunque, prima o poi accadrà. E la mente di Barker T, qui nel cervello T, si sentirà morire, perché non potrà sentire nulla di ciò che accade al proprio corpo. Tutta la sua vita, tutti i suoi ricordi, giungeranno improvvisamente a un culmine. Sentirà la sofferenza, il trauma, l'angoscia ancora totalmente indescrivibile della fine del suo mondo. Nessuno è riuscito a sopportarlo. Abbiamo reclutato le menti migliori e più stabili tra i volontari fisicamente adatti e, senza eccezione, tutti i volontari T sono stati estratti dementi dalle loro tute. Qualunque informazione avessero da fornirci, è andata perduta senza speranza, e non abbiamo ricavato nulla in cambio del sacrificio.»

Barker lo guardava con occhi inespressivi. — Che peccato.

— Come vuole che ne parli? — rispose rapidamente Hawks. Una vena gli spiccava, pulsando, al centro della fronte. — Vuole che le dica cosa dobbiamo fare, o preferisce che dica qualcos'altro? Vuol discutere di morale con me? Intende dire che, duplicato o no, se un uomo muore sulla Luna io sono egualmente il suo assassino? Vuole trascinarmi in tribunale e di lì in una camera a gas? Vuole consultare i codici e scoprire quali pene sono previste per il reato continuato di fare impazzire sistematicamente degli uomini? Questo ci aiuterà? Ci spianerà la strada?

«Vada sulla Luna, Barker. Muoia. E se scoprirà di amare febbrilmente la Morte così come l'ha corteggiata, allora, forse, sarà il primo uomo che tornerà in condizioni di esigere vendetta su di me!» Strinse il bordo della piastra pettorale aperta e la chiuse di scatto. Si appoggiò ad essa con le palme delle mani e si piegò, fino a quando il suo viso si trovò esattamente al di sopra della visiera aperta di Barker. — Ma prima che lei si vendichi, mi dirà come potrò riuscire a farle ancora quel che sto per farle.

3

I tecnici della Marina spinsero Barker nel trasmettitore. I magneti laterali lo sollevarono dal tavolo, che venne tolto sotto di lui. La porta fu chiusa e bloccata, e i magneti anteriori e posteriori lo tennero immobile per l'analizzatore. Hawks fece un cenno a Gersten, e Gersten premette il pulsante del «Pronto» nel quadro comandi.

Sul tetto, c'era un'antenna parabolica radar messa a fuoco in parallelo con l'antenna del trasmettitore. Giù nel laboratorio, Will Martin puntò un dito verso il tecnico del Corpo Segnalatori. Un bip radar volò alla Luna e tornò indietro. Il tempo trascorso e l'effetto Doppler vennero passati in un computer che regolò il tempo preciso del ritardo. L'antenna del trasmettitore di materia lanciò un impulso ad alta frequenza attraverso la torre di collegamento sulla Luna fino al ricevitore, facendone scattare l'interruttore di sicurezza in modo che ricevesse il segnale L.

Gersten consultò il quadro comandi, si rivolse a Hawks e disse: — Luce verde.

Hawks ordinò: — Lancia.

Sopra la porta del trasmettitore si accese la luce rossa, e il nuovo nastro cominciò a ruggire tra i rulli del ritardatore. Dopo un secondo e un quarto, l'inizio del nastro cominciò a scorrere sotto la testina che passava il segnale T al ricevitore del laboratorio. Simultaneamente, la prima pulsazione del segnale L raggiunse la Luna.

L'estremità del nastro s'infilò rumorosamente nella bobina. La luce verde si accese sopra lo sportello del ricevitore del laboratorio. Il respiro agitato di Barker T uscì dall'altoparlante, e la sua voce disse: — Sono qui, dottore.

Hawks era piantato al centro della sala, con le mani in tasca, la testa inclinata da una parte e gli occhi vacui.

Dopo un po' Barker T disse stizzito, con una voce distorta dalle labbra intorpidite: — Va bene, va bene, bastardi della Marina, entro! — Poi borbottò: — Non vogliono parlare con me, ma certo sono bravissimi a spingermi avanti.

— Zitto, Barker — disse Hawks sottovoce, incalzante.

— Sto entrando, dottore — disse chiaramente Barker. Il ciclo del respiro cambiò. Grugnì un paio di volte, e un'altra volta emise dalla gola un suono inconscio, acuto di tensione.

Gersten toccò il braccio di Hawks e indicò con un cenno del capo il cronometro che aveva in mano. Erano trascorsi duecentoquaranta secondi dal momento in cui Barker era entrato nella formazione. Hawks annuì quasi impercettibilmente, in risposta: Gersten notò che non distoglieva gli occhi, e continuò a reggere in alto il cronometro.

Barker urlò. Il corpo di Hawks sussultò, di riflesso, e con uno scatto del braccio fece schizzare via il cronometro dalla mano di Gersten.

Holiday, alla console della telemetria medica, premette il palmo della mano, di piatto, su di un pulsante. L'adrenalina penetrò fulminea nel cuore di Barker T mentre l'anestesia cessava.

— Tiratelo fuori! — stava urlando Weston. — Tiratelo fuori!

— Non c'è più bisogno di affrettarci — disse sottovoce Hawks, come se lo psicologo potesse udirlo. — Qualunque cosa doveva accadergli, ormai è già accaduta.

Gersten guardò il cronometro rotto, poi tornò a fissare Hawks. — È quel che pensavo anch'io — disse.

Hawks aggrottò la fronte e si avviò verso la camera del ricevitore, mentre i tecnici della Marina spingevano attraverso la porta il tavolo della vestizione.

Barker sedeva aggobbito sull'orlo del tavolo e si tergeva il volto grigiastro: attorno a lui erano disposti i pezzi dell'armatura smembrata. Holiday gli auscultava il cuore con uno stetoscopio, e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo per effettuare una nuova lettura della pressione, premendo la pompetta dello sfigmomanometro. Barker sospirò. — Se c'è qualche dubbio, si limiti a domandarmi se sono vivo. Se sente una risposta, lo saprà. — Guardò stancamente oltre la spalla di Holiday che non gli dava ascolto, e domandò a Hawks: — Ebbene?

Hawks consultò con uno sguardo Weston, che annuì imperturbabile. — Questo ce l'ha fatta, dottor Hawks — disse lo psicologo. — Dopotutto, molte personalità neurotiche si sono rivelate spesso utili sul piano funzionale.

— Barker — disse Hawks — io…

— Sì, lo so. È lieto che sia andato tutto bene. — Barker si guardò in giro, lanciando occhiate fulminee da una parte e dall'altra. — Ne sono lieto anch'io. Qualcuno ha una sigaretta?

— Non ancora — disse brusco Holiday. — Se non le spiace, amico, per un po' lasceremo i suoi vasi sanguigni capillari in uno stato di dilatazione normale.

— Son tutti dei duri — fece Barker, pensieroso. — Tutti sanno quel che si deve fare. — Tornò a volgere lo sguardo sul personale del laboratorio, radunato intorno al tavolo. — Potreste venire più tardi a guardarmi come se fossi una bestia rara, per favore? — Gli altri si ritrassero, indecisi, poi tornarono al lavoro.

— Barker — chiese gentilmente Hawks — si sente bene?

Barker lo guardò con aria inespressiva. — Sono arrivato lassù, sono uscito dal ricevitore, e ho cominciato a guardare intorno all'avamposto. Un branco di zombie con le tute leggere della Marina mi hanno trattato come se fossi uno spettro sgradevole. Non mi dicevano due parole senza darmi l'impressione che costasse loro uno sforzo tremendo. Mi hanno mostrato il sentiero mimetizzato che hanno costruito dalla cupola dell'avamposto, e mi ci hanno spinto sopra. Uno di loro mi ha accompagnato fino a quando ho raggiunto la formazione, e non mi ha mai guardato in faccia.

— Anche loro hanno dei problemi. — Disse Hawks.

— Ne sono sicuro. Comunque sono entrato facilmente in quella cosa, avanzando senza difficoltà… È… — Il suo volto perse l'espressione irritata, ne assunse una che rifletteva il ricordo di un'intensa perplessità… — e non è pieno di urla e di facce o di cose del genere… ma è… beh, ci sono delle leggi, e una logica folle: Alice nel Paese delle Meraviglie, in una versione feroce. — Gesticolava, come se cercasse di cancellare in fretta le sue parole esitanti da una lavagna. — Dovrò trovare il modo di spiegarlo in inglese, immagino. Non dovrebbe essere troppo difficile. Mi lasci però il tempo di calmarmi.