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— Beh, no — disse Hawks. — Barker e io non abbiamo ancora finito.

— Io sì. — disse Connington, sempre in tono di sfida. — Ho fatto la mia parte. Qualunque cosa succeda, d'ora innanzi, io non c'entro.

— Allora il vincitore della gara è lei.

— Sicuro — disse Connington.

— È sempre così. Una gara. E poi ecco il vincitore, e così finisce quella parte della vita di tutti. Bene. Addio, Connington.

— Addio, Hawks. — L'altro si voltò, poi esitò. Girò la testa. — Penso sia tutto ciò che volevo dire.

Hawks non rispose.

— Avrei potuto farlo con un biglietto o una telefonata. — Arrivato sulla porta, disse: — Non ero tenuto a farlo. — Scosse il capo, perplesso, e guardò lo scienziato come cercando la risposta a una domanda che rivolgeva a se stesso.

Hawks disse gentilmente: — Teneva a farmi sapere chi era il vincitore, Connington. Ecco tutto.

— Credo di sì — fece insicuro Connington, e uscì, lentamente.

Il giorno successivo, quando il tempo di sopravvivenza salì a sei minuti e trentanove secondi, Hawks entrò nel laboratorio e disse a Barker: — Ho sentito che si trasferisce qui in città.

— Chi gliel'ha detto?

— Winchell. — Hawks guardò attento Barker. — Il nuovo direttore del personale.

Barker grugnì. — Connington è andato all'Est, da qualche parte. — Alzò gli occhi, con un'espressione perplessa. — Lui e Claire sono venuti a prendere la roba di lei, ieri, mentre c'ero io. Hanno fracassato tutte le vetrate del salone, che danno sul prato. Dovrò farle sostituire, prima di mettere in vendita la casa. Non avevo pensato che Connington fosse così.

— Vorrei che tenesse quella casa. Gliela invidio.

— Non è affar suo, Hawks.

Comunque, il tempo di sopravvivenza era stato portato a sei minuti e trentanove secondi.

Il giorno in cui salì a sette minuti e dodici secondi, Hawks era nel suo ufficio, e seguiva con le dita il tracciato sulla carta gualcita, quando il telefono squillò.

Gli lanciò un'occhiata rapida, aggobbì le spalle, e continuò a seguire ciò che stava facendo. Il dito si muoveva lungo l'incerta linea azzurra, tra le zone nere ombreggiate, contraddistinte dalle istruzioni e dalle relative indicazioni dei tempi, circondate da file di X rosse, come se la carta fosse il diagramma di una spiaggia preistorica, dove un organismo barcollante avesse lasciato una traccia faticosa sulla sabbia e tra le lunghe strisce di alghe inaridite e di detriti sparsi sotto il cielo coperto. Hawks guardò estatico la carta, muovendo le labbra, poi chiuse gli occhi, corrugò la fronte, ripeté direzioni e istruzioni, riaprì gli occhi e tornò a chinarsi sul foglio.

Il telefono squillò di nuovo, sommessamente, ma senza smettere. Hawks serrò per un attimo la mano a pugno, poi spinse da parte la carta e sollevò il ricevitore. — Sì, Vivian — disse.

Ascoltò, poi disse: — Bene. Chiami la guardiola, per favore, e faccia rilasciare un lasciapassare al dottor Latourette. Lo aspetterò qui. — Depose il microfono e girò lo sguardo sulle pareti nude dell'ufficio.

Sam Latourette bussò adagio all'uscio ed entrò, la bocca piegata in un mezzo sorriso intimidito, passi lenti e cauti.

L'abito che aveva indosso era gualcito, e la camicia bianca aveva il collo slacciato, senza cravatta. C'erano tagli lasciati da poco dal rasoio, sotto il mento e sul collo, come se si fosse raso solo qualche minuto prima. I capelli erano pettinati con cura, ancora umidi dell'acqua con cui li aveva bagnati, e disposti in grossi solchi tra i quali si scorgeva la cute, come se qualcuno avesse trovato un suo vecchio busto di cartapesta e, in un impulso di tenerezza, l'avesse riassettato per quanto era possibile, date le circostanze.

— Ciao, Ed — disse gentilmente, tendendo la mano mentre Hawks si affrettava ad alzarsi. — È passato parecchio tempo.

— Sì. Sì davvero. Accomodati, Sam… Ecco: ecco la sedia.

— Speravo che trovassi il tempo di vedermi — disse Latourette, sedendo di peso. Alzò gli occhi con aria di scusa. — Adesso le cose devono procedere molto in fretta.

— Sì — disse Hawks, sedendosi a sua volta. — Sì, molto in fretta.

Latourette guardò la carta che Hawks aveva ripiegato e depositato all'estremità della scrivania. — Sembra che io mi fossi sbagliato, sul conto di Barker.

— Non so. — Hawks tese la mano verso il foglio, poi la contrasse. — Sta facendo progressi per noi. Immagino sia ciò che conta. — Scrutò incerto Latourette, con occhi irrequieti.

— Sai — disse quello con la stessa espressione imbarazzata. — Non volevo quel lavoro con la Hughes Aircraft. Credevo di volerlo. Sai bene. Un uomo… un uomo vorrebbe continuare a lavorare. Almeno, è quello che dovrebbe desiderare.

— Sì.

— Ma tu sai che non mi ubriaco. Voglio dire, io… io non mi ubriaco mai. Oh, magari a una festa. Ma non… Ecco, non perché mi arrabbio e voglio rovinare tutto. Non ho mai fatto così.

— No.

Latourette rise, silenziosamente. — Forse cercavo solo di dire a me stesso che ero veramente infuriato con te. Capisci… cercavo di trasformarmi in una specie di personaggio tragico. No… non volevo andare a lavorare. Tutto lì, credo. Volevo solo andare a sedermi al sole. Voglio dire, il mio compito qui era finito, tanto… e tu dovevi cominciare a passare la mano a Ted Gersten. Avresti dovuto farlo comunque, prima o poi.

Hawks posò le mani sul bordo della scrivania. — Sam — disse con fermezza — ancora oggi non so se ho fatto bene o male. — Poi aggiunse: — Ero in preda al panico, Sam. Mi ero spaventato, perché Barker mi dava sui nervi.

Latourette si affrettò a dire: — Ciò non significa che avessi torto. Dove saremmo, se non ci affidassimo alle intuizioni improvvise? Ogni tanto, bisogna decidere in fretta. Dopo ci ripensi e capisci che, se non l'avessi fatto, la situazione sarebbe diventata troppo pesante. Qualche volta, il nostro subconscio è più in gamba di noi. — Tirò fuori una sigaretta dal taschino della camicia, senza abbassare lo sguardo, con le dita che frugavano incerte mentre gli occhi guardavano fissi nel vuoto, come se quanto stava dicendo l'avesse pensato in anticipo, provando e riprovando mentalmente ciò che si sarebbero detti lui e Hawks, e come se in realtà la sua attenzione fosse concentrata su qualcosa che non era sicuro di poter dire.

— Domani andrò all'ospedale — proseguì. — Era ora. Voglio dire, potrei stare fuori ancora un po', ma ormai ho chiuso. E sai, potrei tirare avanti con la morfina… o quel che è. Sta diventando fastidioso — disse disinvolto. — E del resto, il governo mi ha mandato un tale, l'altro gior no. Non è che mi abbia detto in faccia cosa dovevo fare, ma credo che quelli sarebbero più tranquilli se io fossi in un posto dove non ha importanza quel che dico nel sonno. — Sorrise, faticosamente. — Sai bene. Il Grande Fratello.

Hawks lo fissava.

— Comunque… — Latourette agitò una mano, dimentico della sigaretta che stringeva da quando l'aveva finalmente pescata dalla tasca. — Sarò fuori circolazione. — Abbassò gli occhi, disse: — Oh — e si mise in bocca la sigaretta. Si tolse rapidamente una bustina di fiammiferi dalla tasca della giacca, ne accese uno, aspirò con vigore, poi spense il fiammifero e si sporse per gettarlo nel cestino di Hawks, attento a non mancare il bersaglio. — Perciò mi sono chiesto se non poteva essere una buona idea tirar fuori un mio duplicato dalla bobina archiviata. Così potresti avermi… voglio dire, potresti avere il duplicato a portata di mano in laboratorio, nel caso che ogni tanto ti servisse aiuto. Voglio dire, sei così vicino alla meta, e potrebbe essere utile avermi… — La voce si spense. Guardò Hawks con la coda dell'occhio, arrossendo.