Reed aggrottò la fronte.
Cobey contrasse un angolo della bocca e guardò Hawks.
Hodge riprese il berretto e cominciò ad aggiustarne il filo metallico che lo manteneva rigido sotto la stoffa.
Finalmente Reed disse: — È tutto, dottor Hawks?
Hawks annuì.
Reed scrollò le spalle, imbarazzato. — Bene, senta — disse — purtroppo non capisco ancora. Mi rendo conto che forse l'equipaggiamento originale non può venire duplicato, perché l'analizzatore non funzionerebbe, altrimenti, ma…
— Oh, funzionerebbe - l'interruppe Hawks. — Come ho detto, è un circuito di controllo, non un circuito primario.
Reed abbassò bruscamente le mani e guardò Cobey. Poi scosse la testa.
Cobey trasse un profondo respiro e lo esalò, amaramente. — Cosa ne dice, comandante?
Hodge posò il berretto. — Penso che il dottor Hawks intenda dire che se lei adopera un tornio automatico per fabbricare altri tornii automatici, e dopo si serve di questi per fabbricarne altri ancora, basta che una parte qualsiasi abbia un difetto minimo, per ritrovarsi alla fine tra le mani milioni di tornii che sono semplicemente dei catorci.
— Beh, maledizione, Hawks, perché non l'ha detto subito? — domandò Cobey.
Il giorno in cui il tempo di sopravvivenza arrivò ai nove minuti e trenta secondi, Hawks disse a Barker: — Sono preoccupato. Se il tuo tempo di sopravvivenza continua a crescere, il contatto tra L e T risulterà troppo facile. Gli specialisti del percorso mi dicono che i suoi rapporti stanno diventando sensibilmente meno coerenti.
— E allora che provino loro ad andare lassù. E vedranno cosa riusciranno a ricavarne. — Barker s'inumidì le labbra. Aveva gli occhi incavati.
— Non è questo che intendevo.
— So quello che intendeva. Può smettere di preoccuparsi. Sto quasi per uscire dall'altra parte.
— Questo non me l'hanno detto — fece brusco Hawks.
— Non lo sanno. Ma ho quest'impressione.
— Un'impressione.
— Dottore, la carta mostra soltanto quello che io dico dopo una giornata di lavoro. Non ha principio e non ha fine, tranne quando la faccio finire io. — Si guardò intorno, rabbiosamente. — Tutto questo ciarpame, dottore, in ultima analisi è tutto imperniato su di un uomo. — Fissò Hawks. — Un uomo, e ciò che c'è nella sua mente. O forse due uomini. Non so. Cosa c'è nella sua mente, Hawks?
Hawks ricambiò lo sguardo di Barker. — Io non curioso nella sua mente. Lei non metta piede nella mia. E adesso, devo fare una telefonata.
Attraversò il laboratorio, e chiamò un numero esterno. Attese la risposta, guardando senza vederlo il vecchio, familiare muro liscio. All'improvviso, scattò, vi batté contro con violenza il palmo della mano libera. Poi il ronzio al suo orecchio s'interruppe con uno scatto, ed egli disse, impaziente: — Pronto? Elizabeth? Sono… sono Ed. Senti… Elizabeth… Oh, sto bene. Ho molto da fare. Senti… sei libera stasera? È soltanto che non ti ho mai portata fuori a pranzo o a ballare, niente… Ci vieni? Io… — Sorrise al muro. — Grazie. — Riappese il ricevitore e se ne andò. Si voltò indietro e vide che Barker l'aveva osservato, e trasalì, vergognandosi un po'.
PARTE OTTAVA
— Elizabeth… — esordì Hawks, e poi agitò il braccio irritato. — No, stavo per dirlo tutto d'un fiato. Capita così spesso.
Erano in piedi su di un promontorio roccioso che si spingeva tra la risacca. Hawks si era rialzato il colletto, e si teneva chiusa la giacca con una mano. Elizabeth aveva il soprabito, e teneva le mani in tasca: i capelli erano coperti da un foulard. La Luna, che tramontava all'orizzonte, rifletteva la sua luce sulle nubi. Elizabeth gli sorrise. — Mi hai portata in un posto molto romantico, Edward.
— Io… io guidavo a caso. Non avevo in mente un posto particolare. — Si guardò in giro. — Non sono furbo, Elizabeth… sono logico e ragionatore, e chissà che altro. — Sorrise, un po' intimidito. — Anche se sospetto che il peggio… ma questo viene quasi sempre dopo. Mi dico: «Che cosa faccio, qui?» E allora devo trovare la risposta. No, ci sono cose… — Agitò la mano nell'aria. — Cose che voglio dire. Questa sera. Non in futuro. — Avanzò di un passo, si voltò verso di lei, guardando rigidamente la spiaggia deserta, la scarpata dell'autostrada con la macchina ferma sulla piazzola, e il cielo a oriente. — Non so che forma assumeranno. Ma devo dirle. Se tu mi ascolterai.
— Ti prego.
Hawks scosse il capo, poi s'infilò le mani nelle tasche, irrigidendosi.
— Sai… Sai, durante la guerra, i tedeschi non vollero credere che il radar a microonde fosse pratico. I loro sommergibili erano dotati di ricevitori radar, per scoprire i radar antisommergibili in funzione. Ma ricevevano soltanto onde relativamente lunghe. Quando noi mettemmo i radar a microonde sui ricognitori e sugli aerei di scorta ai convogli, cominciammo a individuarli la notte, quando salivano in superficie per ricaricare le batterie. Ma in precedenza, durante la prima parte della guerra, dovemmo impadronirci di uno dei loro ricevitori, per determinarne i limiti. Me ne affidarono uno, per lavorarci sopra. Una squadra d'abbordaggio di un cacciatorpediniere era riuscita a recuperarlo da un sommergibile che era stato colpito da una bomba di profondità e costretto a emergere, e poi era stato finito a cannonate. I nostri riuscirono a portare via il radar poco prima che il sommergibile affondasse. Il ricevitore fu mandato al laboratorio dov'ero io, con un aereo speciale lanciato da una portaerei di scorta, e poi con una macchina. Mi arrivò dodici ore dopo.
«Bene, lo misi sul mio banco e lo guardai. Era sventrato dalle esplosioni, fradicio d'acqua… e terribilmente sporco. C'era fumo, c'era olio, corrosione dovuta all'acqua salata, contaminazione da fumi chimici dovuta agli scoppi dei proiettili… sai. E c'erano incrostazioni di ogni genere. Ma a quei tempi ero un giovanotto brillante, con qualche elogio e il mio grado di ufficiale di complemento, molto pieno del fatto di essere un ragazzo prodigio…» Hawks fece una smorfia. — Guardai l'apparecchio e mi dissi mentalmente «Uhm, non dovrebbe essere troppo difficile venirne a capo. Basta togliere un po' di questo schifo dalla superficie e…» E così via. E la chiazza di sangue secco intorno al foro più grande, per me era solo parte dello «schifo». Un marinaio, pensavo tra me professionalmente, io che non ero mai stato in mare, qualche marinaio era lì vicino quando i proiettili avevano colpito la torretta. Ma quando tolsi il rivestimento metallico, Elizabeth, lì dentro c'era un cuore umano, Elizabeth… lì tra le valvole e i fili.
Dopo un po', Elizabeth chiese: — E tu cosa facesti?
— Beh, dopo un po' tornai indietro e studiai il ricevitore, e costruii una copia. E in seguito, usammo il radar a microonde e vincemmo la guerra.
«Senti… il fatto è che la gente dice, quando muore un uomo: 'Beh, ha avuto una vita piena, e quando è venuta la sua ora, se ne è andato serenamente'. Oppure: 'Povero ragazzo… aveva appena cominciato a vivere'. Ma il fatto è che morire non è un incidente. È qualcosa che accade a un uomo in un giorno particolare della sua vita, presto o tardi. Accade a tutto quell'uomo… al ragazzo che è stato, al giovanotto che è stato… alle sue gioie, ai suoi dolori, alle volte che ha riso forte, alle volte che ha sorriso. Sia presto o tardi, come può, l'uomo che muore, sentire se la vita che ha vissuto era abbastanza o non lo era? Chi la misura? Chi può decidere, se muore, che era la sua ora? Solo il corpo raggiunge un punto in cui non può più muoversi. La mente… anche la mente senile, annebbiata dalle cellule del suo cervello che la soffocano, razionale o irrazionale… quella non si ferma mai: comunque, finché un rivolo di elettricità continua a scorrere da una cellula all'altra, funziona ancora: si muove ancora. Come può una mente dire a se stessa: 'Bene, questa vita è arrivata alla sua fine logica' e spegnersi? Chi può dire: 'Ho visto abbastanza'? Persino il suicida deve farsi saltare le cervella, perché deve distruggere la 'cosa' fisica, per sfuggire ciò che, nella sua mente, non gli dà requie. La mente, Elizabeth… l'intelligenza: la capacità di guardare l'universo, di badare a dove si posa il piede, a ciò che la mano tocca… come può smettere di continuare ad assorbire ciò che percepisce intorno a sé?»