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Tese il braccio in un lungo arco rigido, verso la spiaggia e il cielo. — Guarda! Per tutta la tua vita, ormai, avrai questo! E l'avrò anch'io. Nei nostri ultimi istanti, potremmo ancora guardarci indietro, essere qui ancora. Tra molti anni, a migliaia di chilometri da qui, l'avremo ancora. Tempo, spazio, entropia… nessun attributo dell'universo può toglierci tutto questo, se non uccidendoci, schiacciandoci.

«Il fatto è che l'universo sta morendo! Le stelle bruciano la sostanza che le compone. I pianeti ruotano più lentamente sui loro assi, precipitano verso i loro soli. Le particelle atomiche che li costituiscono rallentano nelle loro orbite. A poco a poco, nel corso di innumerevoli miliardi di anni, l'universo si esaurisce. Un giorno si fermerà. Una cosa sola nell'intero l'universo diviene sempre più ricca e piena, e si apre a forza la strada, controcorrente. L'intelligenza… le vite umane… noi siamo le sole cose che non obbediscano alla legge universale. L'universo uccide i nostri corpi: li inchioda con la forza di gravità, fino a quando i nostri cuori si stancano di pompare il sangue opponendosi alla sua resistenza, fino a quando le pareti delle cellule si spezzano sotto il loro stesso peso, e i nostri tessuti si afflosciano, le nostre ossa s'indeboliscono e si piegano. I nostri polmoni si stancano di aspirare l'aria e di espellerla. Le nostre vene, i vasi capillari si spezzano per lo sforzo. A poco a poco, dal giorno in cui siamo stati concepiti, l'universo aggredisce e demolisce i nostri corpi fino a che non sono più in grado di riparare se stessi. E in questo modo, alla fine, uccide i nostri cervelli.

«Ma le nostre menti.… Ecco la cosa preziosa: ecco il fenomeno che non ha nulla a che vedere con il tempo e lo spazio, e si limita a utilizzarli… per descrivere a se stesso la vita che i nostri corpi vivono nell'universo fisico.

«Una volta, mio padre mi portò a fare una passeggiata, una sera tardi, dopo una nevicata. Passammo per una strada che era stata appena spalata. C'erano le stelle e la Luna. Era una notte fredda e limpida, e la neve scintillava in quella luce. All'angolo dove la nostra via si congiungeva con l'autostrada c'era un lampione altissimo. Io feci una scoperta. Era così freddo che mi piangevano gli occhi, e scoprii che, se li tenevo semichiusi, le lacrime diffondevano la luce, e tutto, la Luna, le stelle, il lampione, apparivano circondati da aloni e puntolini di luce. I mucchi di neve sembravano brillare come un mare di zucchero filato, e tutte le stelle erano intessute in un trina incandescente, e io camminavo in un universo così assurdo, così bello che quasi mi spezzava il cuore con la sua bellezza.

«Per anni ho portato nella mia mente quel momento e quel luogo. Ci sono ancora. Ma il fatto è che non era stato l'universo a crearli. Ero stato io. Vedevo tutto questo, ma lo vedevo perché avevo fatto in modo di riuscirci. Avevo preso le stelle, che sono soli lontani, e la notte, che è l'ombra della Terra, e la neve, che è acqua ghiacciata, e le lagrime dei miei occhi, e avevo creato un mondo prodigioso. Nessun altro ha mai potuto vederlo. Nessun altro ha mai potuto recarvisi. Neppure io posso ritornarvi, fisicamente: si trova trentotto anni nel passato, nella prospettiva al livello dell'occhio di un bambino, e la sua esattezza stereoscopica è basata sulla distanza tra gli occhi di quel bambino. Esiste realmente in un unico luogo. Nella mia mente, Elizabeth… nella mia vita. Ma io morirò, e allora dove sarà?»

Elizabeth alzò il viso verso di lui. — Nella mia mente, un poco? Insieme a te?

Hawks la guardò. Piegandosi teneramente, come un bambino che riceve un fiocco di neve, la prese delicatamente tra le braccia. — Elizabeth, Elizabeth — disse. — Non avevo mai capito che cosa mi permettevi di fare.

— Ti amo.

Camminarono insieme lungo la spiaggia. — Quand'ero bambina — disse lei — mia madre mi aveva iscritta a una scuola di recitazione e cercava di farmi ottenere delle parti nei film. Ricordo che una volta cercavano una bambina per fare la parte della figlia di un pastore messicano, e mia madre mi vestì accuratamente con una camicetta alla contadinella e una gonna a fiori, e mi comprò un rosario perché lo tenessi in mano. M'intrecciò i capelli, mi scurì le sopracciglia e mi portò allo studio. Quando tornammo a casa, quel pomeriggio, mia zia chiese a mia madre: «Non è andata, eh?». E mia madre, così furiosa che stava per scoppiare in lacrime, disse: «È stato lo schifo peggiore che abbia mai visto! È stato terribile! Ce l'aveva quasi fatta, ma le hanno preferito una marmocchia messicana!».

Hawks, che le cingeva le spalle con un braccio, la strinse a sé. Guardò il mare e il cielo. — Questo è un luogo bellissimo — disse. — Sai, un luogo bellissimo.

PARTE NONA

1

Barker era appoggiato ad un banco, quando Hawks entrò nel laboratorio, la mattina, e gli si avvicinò.

— Come va? — chiese Hawks, guardandolo intento. — Bene?

Barker sorrise fiaccamente. — Cosa vuole? Che ci tocchiamo i guantoni prima d'incominciare l'ultimo round.

— Le ho rivolto una domanda.

— Sto benone. Vispo e pieno d'energia. Okay, Hawks? Cosa vuole che le dica? Che sono orgoglioso? Che sono pienamente consapevole del fatto che questo è un enorme passo avanti per la scienza, che sono onorato di contribuire a questo fausto giorno? Sono già decorato con il Purple Heart, Doc… basta che lei mi dia un paio di aspirine.

Hawks disse, incalzante: — Baker, è veramente sicuro che ce la farà a uscire dall'altra parte della formazione?

— Come posso esserne sicuro? Forse fa parte della sua logica il fatto che sia impossibile vincere. Forse mi ucciderà per dispetto. Non so. Posso soltanto dirle che sono solo a un passo dalla fine dell'unico percorso sicuro. Se il mio prossimo movimento non mi condurrà fuori, allora vuol dire che non esistono vie d'uscita. È un barattolo di pomodori, allora, e io sono arrivato al fondo. Ma se è qualcosa d'altro, allora, sì, oggi è il gran giorno.

Hawks annuì. — Non posso chiederle di più. Grazie. — Si guardò intorno. — Gersten è al trasmettitore?

Barker rispose di sì con un cenno. — Mi ha detto che saremo pronti al lancio tra circa mezz'ora.

— Bene. Benissimo — disse Hawks. — Può cominciare a indossare le sottotute. Ma ci sarà un po' di ritardo. Prima dovremo effettuare una mia analisi preliminare. Verrò con lei.

Barker schiacciò la sigaretta con un tacco. Alzò la testa. — Immagino che dovrei dire qualcosa. Qualche frase ironica su di lei, che arriva intrepido a guado sulla spiaggia nemica dopo che le truppe hanno già conquistato l'isola. Mi venga però un colpo se avevo mai pensato che lei fosse disposto a farlo.

Hawks non disse nulla, e s'incamminò verso il trasmettitore.

— Tu sapevi che avevamo delle tute di scorta — disse a Gersten, mentre si sdraiava dentro l'armatura aperta. I tecnici della Marina lavoravano intorno a lui, regolando le viti sulle lastre a pressione. Il guardiamarina sorvegliava attentamente, con un'espressione un po' incerta.