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— Sì, ma dovevano servire solo nel caso che ne perdessimo una in un'analisi sbagliata — ribatté Gersten, ostinatamente.

— Abbiamo sempre avuto una scorta, di tutte le taglie.

— Hawks, essere in grado di fare qualcosa e farlo sono due questioni diverse. Io…

— Senti. Tu conosci la situazione. Sai quello che stiamo facendo, qui, come lo so io. Non appena abbiamo un percorso sicuro, incomincia la fase di studio. Dovremo smontare quella cosa, come se fosse una bomba: io sono il responsabile del progetto. Fino a ora, se il progetto mi avesse perduto, sarebbe stato un sacrificio troppo grande. Ma adesso il rischio è accettabile. Voglio vedere com'è quella formazione. Voglio essere in grado d'impartire istruzioni intelligenti. È tanto difficile capirlo?

— Hawks, lassù potrebbero andare storte moltissime cose, oggi.

— Supponiamo che vada tutto bene. Che Barker ce la faccia. E allora? Allora lui resta là, e io sono quaggiù. Credi che non ne avessi avuto l'intenzione fin dall'inizio?

— Prima ancora di conoscere Barker?

— Vorrei non averlo mai conosciuto. Tirati via e lascia che chiudano l'armatura. — Infilò meticolosamente la mano nel guanto, dentro al gruppo degli utensili.

Lo spinsero nella camera. I magneti lo sollevarono, e il tavolo venne rimosso. Lo sportello si chiuse e venne bloccato. Hawks galleggiò a mezz'aria, con le gambe e le braccia protese, circondato dai centomila occhi scintillanti degli analizzatori. Gaurdò oltre il disco di vetro del casco, imperturbabile. — Quando vuoi, Ted — disse con voce assonnata nel microfono, e le luci della camera si spensero.

Le luci si accesero nel ricevitore. Hawks aprì gli occhi, sbatté dolcemente le palpebre. La porta si aprì, il tavolo venne infilato sotto di lui. I magneti laterali smisero di funzionare, quando furono spenti i reostati, ed egli scese, fluttuando, a contatto con la superficie di plastica. — Mi sento normalmente — disse. — Avete ottenuto una buona registrazione?

— Sì, a quanto ne sappiamo — rispose Gersten, attraverso il microfono. — I computer non hanno riscontrato difetti nella trasmissione.

— Bene, è il meglio che possiamo fare — disse Hawks. — D'accordo… rimettetemi nel trasmettitore, e tenetemi lì. Infilate Barker nella tuta, abbassate le gambe del tavolo, e infilatelo sotto di me. Oggi — disse — segna un altro precedente negli annali dell'esplorazione. Oggi manderemo un Sandwich sulla Luna.

Fidanzato, che spingeva il tavolo attraverso il laboratorio, rise nervosamente. Gersten girò la testa di scatto e lo guardò.

2

Hawks e Barker si alzarono lentamente in piedi, nel ricevitore lunare. Gli specialisti della Marina che li attendevano fuori aprirono la porta, e si spostarono per lasciarli passare. La stazione lunare era spoglia e grigia, con le travature geodetiche di palstica triangolare che reggevano la cupola di lastre semiflessibili. C'erano lampade che ne pendevano a intervalli, come stalattiti, e il pavimento era un intreccio di stuoie pressate, poste sopra il rivestimento del terreno. Hawks si guardò intorno incuriosito, girando il casco dell'armatura con un lieve cigolio che immediatamente si trasmise alle lastre della cupola e venne ingigantito: ogni movimento compiuto da un uomo era seguito da un'eco amplificata. L'interno della struttura non era mai immobile. Scricchiolava e gemeva continuamente, facendo fremere le lampade appese ai supporti.

Gli uomini, gli specialisti della Marina nelle loro sottotute e Hawks e Barker nelle loro armature, erano inondati da riflessi mobili, come se si trovassero sul fondo di un mare sconvolto da una tempesta. Al portello, gli uomini della Marina s'infilarono nelle tute elastiche e poi, a uno a uno, uscirono tutti sulla superficie scoperta della Luna.

La luce delle stelle splendeva sopra di loro con fredda, mesta intensità, più forte di quella che discende sulla Terra in una notte illune, ma squarciata da nette fasce d'ombra a ogni irregolarità del terreno. Dal livello del suolo era possibile distinguere le forme vaghe dell'installazione, ogni cupola e ogni galleria coperta dalle griglie mimetiche; giaceva come il relitto di un dirigibile alla destra di Hawks, e aveva un vago colore verdegrigio, senza luci.

Hawks strasse un profondo respiro. — Benissimo, grazie — disse agli uomini della Marina, con voce lontana, meccanica, ferma attraverso il circuito del radiotelefono. — Le squadre degli osservatori sono pronte?

Un uomo, con le barrette del grado di tenente dipinte sul casco, annuì e tese il braccio verso sinistra. Hawks girò la testa lentamente, con espressione riluttante, e guardò nella direzione in cui le cupolette del bunker d'osservazione sembravano rannicchiate ai piedi di una parete di ròccia, dell'incombente formazione nera e argentea.

— Il passaggio è qui — disse Barker, toccando l'avambraccio di Hawks con gli utensili all'estremità della manica destra. — Andiamo… finiremo l'aria, se aspettiamo che lei metta il piede nell'acqua per sentire se è troppo fredda.

— Sta bene. — Hawks si mosse per seguire Barker sotto la tettoia mimetica, simile a un pergolato su cui non sarebbe mai cresciuto un rampicante, piazzata al di sopra del sentiero spianato tra la cupola del ricevitore e la formazione enigmatica.

Il tenente fece un segnale con la mano e si allontanò, seguito dai suoi, lungo l'altro sentiero che conduceva alla stazione, al loro abituale lavoro.

— Tutto pronto? — chiese Barker, quando raggiunsero la formazione. — Allora faccia lampeggiare la sua lampada in direzione degli osservatori, laggiù, perché sappiano che cominciamo.

Hawks alzò una mano e fece lampeggiare la lampada. Un punto di luce apparve, in risposta, sulla facciata spoglia del bunker.

— È tutto, Hawks. Non so che cosa stia aspettando. Faccia tutto quello che faccio io, e mi segua. Speriamo che questa baracca non si offenda perché non sono solo.

— È un rischio accettabile — disse Hawks.

— Se lo dice lei, dottore. — Barker protese le mani e appoggiò i lati interni delle maniche contro la vitrea parete increspata davanti alla quale s'interrompeva bruscamente il sentiero. Si spostò di sbieco e nell'armatura di Hawks vi fu un secco spang, un crepitio che salì dalle suole degli stivali, quando il muro accettò Barker e lo risucchiò.

Hawks abbassò lo sguardo sulla ghiaia del sentiero, coperto di orme come se di lì fosse passato un esercito. Si accostò alla parete e alzò le braccia, mentre il sudore gli colava sulle guance più rapidamente di quanto potessero asciugarlo i deumidificatori.

3

Barker si stava inerpicando su per un piano iclinato di uno scintillante nerazzurro, verso un punto in cui due facce marrone scuro cozzavano ripetutamente una contro l'altra. Intorno a Hawks turbinavano cortine verdi e bianche.

Si mise a correre, mentre squarci di trasparenza cristallina si aprivano tra le pieghe verdi e bianche, e lampi di luce rossa guizzavano fiochi sul fondo, e altri azzurri, verdi e gialli salivano intorno ai suoi piedi.

Hawks correva con le braccia strette contro i fianchi. Arrivò al punto dove aveva visto Barker tuffarsi avanti, rotolando su se stesso sfiorando un torrente turbinoso di flessibili frange pallide simili a foglie. Mentre si tuffava, passò sopra a un corpo contorto, chiuso in un tipo di tuta che non veniva più usato.

L'armatura bianca di Barker si coprì improvvisamente di ghiaccio che si staccò a pezzi, mentre correva, e piovve davanti a Hawks come una serie di stampi, in un mucchio di maniche, gambali e corazze, ai quali Hawks aggiunse anche i suoi nel passare.

Seguì Barker giù nell'imbuto a spirale le cui pareti li spruzzarono di una polvere grigio chiara che cadeva dalle loro armature in lunghi fili delicati, mentre essi giravano per superare il corpo di Rogan, che giaceva quasi nascosto da un mucchio di semicerchi invetriati, come un carico di piatti rotti e abbandonati.