— Davvero? — Hawks riprese a camminare. — Venga con me, Al.
Barker lo seguì, affrettando il passo. — Dove andiamo?
Hawks continuò a camminare fino a quando fu sul sentiero che portava ai cingolati, e poi procedette, superandolo, per un breve tratto, prima che la mimetizzazione cessasse e il terreno nudo diventasse quasi impercorribile per un uomo a piedi, chiuso nell'armatura. Agitò un braccio. — Da quella parte.
— Non è rischioso? Quant'aria c'è, in queste tute?
— Non molta. Solo per pochi minuti.
— Bene, allora torniamo al ricevitore.
Hawks scosse il capo. — No. Quello non è per noi, Al.
— Come sarebbe a dire? Il trasmettitore di ritorno funziona, non è vero?
— Funziona. Ma non possiamo usarlo.
— Hawks…
— Se vuole andare al trasmettitore e dire a quelli della Marina di seguire la stessa procedura con cui spediscono i campioni e i rapporti sulla Terra, può farlo. Ma prima voglio che capisca quello che intendo fare.
Barker lo guardò frastornato, attraverso il vetro robusto. Hawks tese il braccio, toccò goffamente con la manica la spalla corazzata dell'altro. — Molto tempo fa, le dissi che l'avrei uccisa in molti modi, Al. Quando ogni Barker riprendeva conoscenza sulla Terra, dopo che ogni Barker era morto, io lasciavo che lei s'illudesse. Lei credeva di avere già provato la morte più certa di tutte. Non era vero. Dovrò ucciderla ancora una volta.
«C'era sempre una continuità. Barker L e T sembravano essere lo stesso uomo, con la stessa mente. Quando L moriva, T continuava a vivere. Il filo non si spezzava, e lei poteva continuare a credere che in realtà non fosse accaduto nulla. Io potevo dirle, e lei poteva crederlo, che in realtà vi era soltanto una successione di Barker, i cui ricordi s'incastravano perfettamente. Ma è una cosa troppo astratta perché un essere umano l'afferri realmente. In questo momento, io mi considero lo stesso Hawks che nacque, molti anni or sono, nella stanza da letto di una fattoria. Anche se so che c'è un altro Hawks, nel laboratorio sulla Terra, che da qualche momento vive di vita propria; anche se so di essere nato dalle ceneri di questo mondo venti minuti fa, nel ricevitore. Tutto ciò non significa nulla per il me stesso che ha vissuto nella mia mente per tutti questi anni. Posso guardarmi indietro. Posso ricordare.
«Era così anche per lei. Gliel'ho detto. Molto tempo fa, le ho detto che il trasmettitore invia soltanto un segnale: distruggere l'uomo che analizza per ricavare il segnale. Ma sapevo che tutte le spiegazioni di questo mondo non sarebbero bastate a far sì che lei sentisse questo, finché poteva svegliarsi ogni mattina dentro alla sua pelle. Perciò penso che fosse fiato sprecato. Lo penso spesso. Ma cosa potrei dire a me stesso, ora, se non avessi tentato di dirlo a lei?»
— Arrivi al dunque! — intimò Barker.
Hawks proruppe, esasperato: — È quel che cerco di fare! Vorrei che gli altri se lo mettessero in testa, una volta per tutte, che una risposta breve va bene soltanto per le domande che ci sono familiari! Che cosa crede che abbiamo a che fare, qui… con qualcosa che Leonardo da Vinci avrebbe potuto affrontare? Se l'avesse potuto, l'avrebbe fatto, e avremmo avuto il Ventesimo Secolo nel Secolo Decimoquinto! Se vuole una risposta, allora è meglio che me la lasci inserire nel contesto.
— Sta bene, Hawks.
— Mi dispiace — disse Hawks, perdendo lo slancio. — Mi dispiace. Un uomo tiene qualcosa rinchiuso dentro di sé, e poi alla fine trabocca. Senta, Barker… qui non abbiamo gli apparecchi necessari per rimandare esattamente gli individui sulla Terra. Non abbiamo i computer, non abbiamo gli impianti elettronici, non abbiamo tutte le complesse salvaguardie. Le avremo. Non appena avremo scavato un laboratorio abbastanza grande per contenere tutto questo, nel sottosuolo, dove gli apparecchi saranno al riparo dagli incidenti e dagli occhi indiscreti. Poi dovremo pressurizzare l'intero laboratorio, o imparare a progettare componenti elettronici capaci di funzionare nel vuoto. Se pensa che non sia un problema, si sbaglia. Ma lo risolveremo. Quando avremo tempo.
«Finora il tempo non c'è stato, Al. Tutti coloro che sono qui… gli uomini della Marina, gli osservatori… pensi a loro. Sono i migliori, nei rispettivi campi. Individui competenti, che hanno famiglie, carriere, interessi, proprietà: è un errore credere che se un uomo è un buon astronomo o un buon cartografo, sia altrettanto in gamba negli altri campi della vita. Alcuni di loro non lo sono: molti sì. E tutti, qui, sanno che quando sono venuti sulla Luna, i loro duplicati restavano sulla Terra. Doveva essere così. Non potevamo sottrarre uomini simili alle loro attività. Non potevamo correre il rischio che morissero… nessuno sapeva cosa poteva accadere quassù. E potrebbero ancora accadere cose terribili. Si sono offerti tutti volontari. Avevano capito, tutti. Sulla Terra, le loro controparti continuano come se nulla fosse successo. Un certo pomeriggio hanno trascorso qualche ora nel laboratorio, naturalmente, ma per loro questa è solo una parte trascurabile del passato.
«Tutti noi, quassù, siamo ombre, Al. Ma loro sono d'un tipo particolare. Anche se avessimo le apparecchiature, non potrebbero tornare. Quando le avremo, non potranno tornare egualmente. Non li fermeremo se tentassero di farlo, ma pensi, Al, pensi all'uomo che dirige la squadra degli osservatori. Sulla Terra, la sua controparte segue un'importante carriera scientifica: ha fatto molto, dal giorno in cui venne duplicato. Ha una carriera, una reputazione, tutto un patrimonio di esperienze che questo individuo, quassù, non ha più in comune con lui. E anche l'uomo che è qui è cambiato… sa cose che l'altro non sa. Lui possiede un intero patrimonio d'esperienze divergenti. Se ritorna, che cosa faranno? Chi avrà la carriera, chi avrà la famiglia, chi avrà il conto in banca? Potranno tentare di risolvere il problema, se vogliono. Ma passeranno anni, quassù, prima che la missione abbia termine. Ci saranno stati divorzi, nascite, morti, matrimoni, promozioni, lauree, condanne, malattie… No. Quasi tutti non torneranno. Ma quando questo avrà fine, dove andranno? Sarebbe meglio che trovassimo loro qualcosa da fare. Lontano dalla Terra… lontano dal mondo che non ha più posto per loro. Abbiamo creato un intero corpo di uomini con i più forti legami con la Terra, e nessun futuro, se non nello spazio. Ma dove andranno? Su Marte? Su Venere? Non abbiamo razzi che possano lanciare lassù i ricevitori. Sarebbe bene che li avessimo… ma se alcuni di loro fossero diventati così preziosi che noi non osassimo duplicarli ancora? E allora?
«Lei li ha chiamati zombie, una volta. Aveva ragione. Sono morti viventi, e lo sanno. E li ho fatti io, perché non c'era tempo. Non c'era tempo per farlo sistematicamente, per pensare a tutti gli aspetti, per cercare in tutto il mondo uomini che potessimo utilizzare senza assoggettarli a questo smembramento. E in quanto a lei e a me, ora, Al, c'è il semplice fatto che nelle nostre tute rimane aria solo per pochi minuti, e non possiamo affatto tornare indietro.»
— Per l'amor del cielo, Hawks, possiamo entrare in una qualunque di quelle cupole, e trovare tutta l'aria che ci occorre!
Hawks chiese lentamente: — E sistemarci qui, vuol dire, e ritornare fra un anno o due? Se vuole può farlo, suppongo. Nel frattempo, cosa farà? Imparerà qualcosa di utile, qui, e si chiederà che cosa sta facendo nel contempo sulla Terra?
Per un momento Al non disse nulla. Poi: — Vuol dire che sono bloccato qui. — La voce era sommessa. — Sono uno zombie. Bene, è tanto orribile? È peggio che morire?