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Fu un ritorno al mio incubo più profondo, alla tenebra orribile che avevo temuto per tutta la vita. Comunque, proseguii risolutamente, senza essere aggredito, almeno in massa. Con l’avvicinarsi dell’incendio e l’intensificarsi della luce, i Morlock corsero rapidamente tutt’ intorno, con crescente agitazione.

D’improvviso percepii nell’aria un odore nuovo, debole, quasi soverchiato da quello del fumo: era vapore di canfora.

Il luogo in cui i Morlock avevano aggredito nel sonno l’altro me stesso, e dove questi si era battuto, e dove Weena era stata rapita, non doveva essere lontano.

Fra gli alberi intravidi numerosi Morlock, ammassati come non ricordavo di averli mai visti, brulicanti gli uni sugli altri, bramosi di partecipare a una lotta, oppure a un banchetto. Un uomo lottò per alzarsi e per liberarsi dal loro peso soverchiarne, ma fu afferrato per il collo, per i capelli, per le braccia, e nuovamente atterrato. Subito dopo, spuntò dalla mischia una mano che impugnava una sbarra di ferro: ricordavo che era stata strappata da una macchina contenuta nel Palazzo di Porcellana Verde. Tirando colpi vigorosi, l’uomo riuscì a obbligare gli aggressori a retrocedere quel tanto che gli bastò per addossarsi a un albero. Aveva la chioma irta tutt’intorno alla testa grande, e ai piedi indossava soltanto calze lacere e insanguinate. Quando l’assalto fu freneticamente rinnovato, riprese a menare colpi con la sbarra: si sentirono i tonfi e gli schianti carnosi sulle teste dei Morlock.

Soltanto per un attimo pensai di unirmi a lui. Sapevo che non era necessario: sarebbe riuscito a sopravvivere, a uscire dalla foresta, solo, addolorato per Weena, e a recuperare la macchina del tempo sottrattagli dagli astuti Morlock. Rimasi all’ombra degli alberi, senza farmi vedere.

D’improvviso, mi resi conto che Weena era ormai scomparsa: i Morlock l’avevano già rapita.

Mi girai di scatto, guardando attorno, disperato. Ancora una volta mi ero lasciato distrarre. Avevo già fallito? L’avevo perduta di nuovo?

Intanto, i Morlock, terrorizzati dall’incendio, fuggirono, con le schiene curve e villose tinte di rosso dalla luce delle fiamme. Ne notai quattro, rallentati da qualcosa che trasportavano: un fardello immoto, pallido, che scintillava fiocamente di bianco e d’oro.

Ruggendo, mi precipitai attraverso il sottobosco. I quattro Morlock guardarono attorno finché i loro grandi occhi rosso-grigi si fissarono su di me. Poi li assalii con i pugni levati.

Non fu uno scontro arduo. Lasciato cadere la loro preda preziosa, i Morlock mi affrontarono, ma furono perennemente distratti dalla luce dell’incendio. Un bruto di bassa statura mi azzannò un polso, ma un pugno, che gli spaccò la faccia, lo indusse subito a mollare la presa. Infine, fuggirono tutti e quattro.

Quando mi curvai a raccogliere Weena, leggera come una bambola, il cuore mi si spezzò alla vista delle sue condizioni: aveva l’abito tutto sudicio e strappato, la chioma dorata e il viso sporchi di fuliggine e di fumo, una guancia ustionata, il collo e le braccia feriti dai morsi dei piccoli denti morlock.

Era priva di conoscenza, forse non respirava: temetti che fosse morta.

Con Weena in braccio, corsi attraverso la foresta.

Nell’oscurità fumosa, i riflessi gialli e rossi delle fiamme rendevano cangianti e ingannevoli le ombre. Più di una volta sbattei contro un fusto, inciampai in una radice o in un’asperità, sballottando la povera Weena.

Tutt’intorno a noi, i Morlock fuggivano a gran velocità, come un fiume in piena, con la pelliccia rosseggiante nella luce delle fiamme, gli occhi trasformati in dischi di sofferenza, urtando gli alberi, spingendosi o picchiandosi a vicenda con i piccoli pugni, o persino strisciando e gemendo al suolo alla ricerca di un sollievo illusorio dal calore e dalla luce. Per un po’, ogni volta che mi urtarono, li respinsi a pugni e a calci, ma poi mi accontentai di allontanarli a spintoni, perché era chiaro che, accecati com’erano, non costituivano alcun pericolo per me.

Dopo avere conosciuto Nebogipfel, con la sua calma e la sua dignità, trovai ancora più ripugnanti quei Morlock primitivi, dalle chiome sporche e scompigliate, le mandibole pendule, le schiene curve: alcuni correvano sfiorando il suolo con le mani.

Arrivai d’improvviso al margine della foresta: senza rendermene conto sbucai dagli alberi, trovandomi a correre barcollando in un prato.

Mi fermai. Ansimante, mi volsi a guardare l’incendio. Dal cuore della foresta s’innalzavano fiamme alte decine di metri e una colonna di fumo che oscurava il cielo stellato. I Morlock in fuga, che uscivano dalla vegetazione sporchi e malconci, erano sempre meno numerosi.

Proseguii camminando nell’erba alta e sottile. Dopo circa un miglio, non sentii quasi più il calore dell’incendio alle mie spalle. Il riverbero cremisi delle fiamme era fioco, e non si vedevano più fuggiaschi morlock.

Nella valle oltre una collina, giunsi a un luogo che avevo già visitato: alcuni edifici fra le acacie, e una statua, incompiuta e spezzata, che mi aveva ricordato un fauno. Annidato alla base del declivio trovai un fiumiciattolo che rammentavo, la cui superficie impetuosa rifletteva la luce delle stelle. Deposi Weena sulla riva, poi mi strappai un pezzo di camicia, lo immersi nell’acqua fredda, e lo usai per lavarle il viso, nonché per farle gocciolare un po’ d’acqua in bocca?

Così, cullando in grembo la testa di Weena, rimasi seduto ad attendere la fine della Notte Nera.

La mattina successiva, lo vidi uscire dalla foresta bruciata in condizioni deplorevoli, con il viso di un pallore spettrale, tutto graffiato, la giacca lurida, i piedi sanguinanti fasciati d’erba bruciata, più zoppicante di un vagabondo con i piedi indolenziti. Impietosito, o forse imbarazzato, mi chiesi se fossi davvero io, se quelle fossero davvero le condizioni in cui mi ero presentato ai miei amici al ritorno dalla mia prima avventura nel tempo.

Di nuovo provai l’impulso di aiutarlo, e ancora una volta ricordai che non era necessario. L’altro me stesso, spossato, avrebbe riposato per tutta la giornata luminosa, poi, nel tardo pomeriggio, sarebbe ritornato alla Sfinge Bianca per recuperare la macchina del tempo.

Infine, dopo un ultimo scontro con i Morlock, sarebbe scomparso in un turbine temporale.

Mentre il sole saliva nel cielo, rimasi accanto al fiumiciattolo a curare Weena, pregando che si destasse.

EPILOGO

I primi giorni furono i più difficili, perché ero arrivato del tutto privo di attrezzi.

Inizialmente fui costretto a vivere con gli Eloi, a dividere con loro la frutta portata dai Morlock, nonché i palazzi in rovina in cui si riunivano a dormire.

Quando arrivò il periodo successivo di luna Nera, i Morlock uscirono dalle caverne per assalire le loro prede umane con un’audacia che m’impressionò. Mi appostai all’ingresso di un edificio dormitorio, munito di sbarre di ferro e di sassi da usare come armi, e resistetti, senza però poter impedire a tutti di entrare. Infatti, anziché combattere in maniera organizzata, come gli umani, i Morlock si lanciavano all’attacco come branchi di predatori, contando soprattutto sulla forza del numero. Inoltre, ero in grado di difendere uno solo delle centinaia di dormitori sparsi nella valle del Tamigi.

Quelle ore nere di paura e di sofferenza per gli Eloi indifesi furono tra le più angosciose della mia esperienza. Eppure il nuovo giorno scacciò l’orrore dalle piccole menti degli Eloi, che ripresero a giocare e a sorridere come se i Morlock non esistessero.

Quanto a me, ero deciso a cambiare la situazione: per questo ero tornato, oltre che per liberare Weena.