Dopo alcune ore, il Morlock se ne andò senza tante cerimonie, semplicemente allontanandosi nell’oscurità. Non lo seguii. Non ancora! pensai. Mangiai e dormii. Al mio risveglio, il Morlock tornò, e così riprendemmo le nostre lezioni.
Passeggiando all’interno della colonna di luce, indicando e nominando gli oggetti, il Morlock si muoveva in maniera abbastanza aggraziata, e il suo corpo sembrava espressivo. Tuttavia mi resi conto di quanto, nelle normali attività quotidiane, ogni persona si affida all’interpretazione dei movimenti e dei gesti altrui. Ebbene, io non ero affatto in grado di capire il Morlock in quel modo: mi era impossibile comprendere che cosa pensasse e che cosa provasse, se avesse paura di me oppure se si annoiasse. Di conseguenza, mi sentivo notevolmente svantaggiato.
Al termine del nostro secondo incontro, il Morlock indietreggiò, dicendo: — Dovrebbe bastare. Mi capisci?
Lo fissai, sbalordito dalla facilità con cui aveva appreso la mia lingua. La sua pronuncia era confusa, giacché la morbida voce morlock non sembrava adatta all’asprezza delle consonanti e delle pause dell’Inglese, però le sue parole erano del tutto comprensibili.
Poiché non rispondevo, il Morlock ripeté: — Mi capisci?
— Io… Sì. Voglio dire: sì, ti capisco. Ma come… Come hai potuto imparare la mia lingua conoscendo così poche parole? — Ritenevo infatti che ci fossimo occupati di non più di cinquecento parole, soprattutto sostantivi e verbi semplici.
— Ho accesso agli archivi di tutte le lingue antiche dell’umanità, quali sono state ricostruite, dal Nostrate a quelle indoeuropee. Alcune parole fondamentali sono sufficienti per recuperare le varianti e i derivati. Dimmi se pronuncio parole o frasi che non capisci.
Avanzai prudentemente di un passo: — Lingue antiche? E come sai che io sono antico?
Il Morlock abbassò le palpebre pesanti sugli occhi protetti dagli occhiali: — Il tuo organismo è arcaico, al pari del contenuto del tuo stomaco, come abbiamo scoperto dalle analisi. — Rabbrividì, evidentemente ricordando i resti della colazione preparata dalla signora Watchet.
Ho a che fare con un Morlock schizzinoso! pensai, sbalordito.
— Tu provieni dal passato — rispose il Morlock. — Non riusciamo ancora a capire come tu sia arrivato qui, ma senza dubbio lo scopriremo.
— E nel frattempo — ribattei, con un certo vigore, — mi trattenete in questa… in questa Gabbia di Luce, come se fossi una bestia, anziché un essere umano! Mi fate dormire sul pavimento, e per i miei bisogni mi date soltanto un secchio!
Impassibile, il Morlock mi osservò in silenzio.
Ero incapace di reprimere oltre la frustrazione e l’imbarazzo che provavo da quando mi trovavo in quel luogo, e giacché avevo finalmente la possibilità di esprimere i miei sentimenti, decisi di accantonare lo scambio di complimenti: — Adesso che siamo in grado di comunicare, dimmi dove mi trovo, e dove avete nascosto la mia macchina. Capisci, oppure devo tradurrei — Mi avvicinai a lui con le braccia protese per afferrargli la pelliccia del petto.
Quando arrivai a due passi di distanza, il Morlock alzò una mano: non vidi neppure l’apparecchio di cui sicuramente era sempre stato provvisto in mia presenza. Rammento soltanto lo strano lampo verde che mi fece crollare sul pavimento, privo di conoscenza.
9
Rivelazioni e rimostranze
Allorché ripresi conoscenza, nuovamente disteso ad arti divaricati sul pavimento, fissai quella luce maledetta.
Dopo essermi alzato a sedere, mi massaggiai gli occhi abbacinati. Il mio amico Morlock non se n’era andato: era fermo appena fuori della colonna di luce. Dolorosamente, mi rimisi in piedi, consapevole che i Nuovi Morlock mi avrebbero dato parecchio filo da torcere.
Con uno scintillio degli occhiali azzurri, il Morlock rientrò nella zona illuminata. Come se nulla avesse interrotto la nostra conversazione, dichiarò, completando la frase con una parola nella solita informe pronuncia morlock: — Il mio nome è Nebogipfel.
— Nebogipfel… Benissimo. — Mi resi conto che quello era il primo Morlock di cui apprendevo il nome: il primo che si distinguesse dalla massa che avevo incontrato e combattuto, il primo ad assumere le caratteristiche di un individuo. A mia volta, mi presentai.
In brevissimo tempo, il Morlock riuscì a ripetere il mio nome con chiarezza e precisione.
Seduto a gambe incrociate accanto ai vassoi, mi massaggiai i lividi che mi ero procurato a un braccio con l’ultima caduta: — Be’, Nebogipfel… A quanto pare sei stato assegnato a farmi da custode, qui in questo zoo…
— Zoo… — ripeté Nebogipfel, pronunciando con difficoltà la parola. — No, non sono stato assegnato: mi sono offerto volontariamente di lavorare con te.
— Lavorare con me?
— Io… noi… Vogliamo capire come sei arrivato qui.
— Davvero? Per Giove! — Mi alzai e cominciai a camminare lungo il perimetro della Gabbia di Luce. — E se ti dicessi che sono arrivato qui con una macchina che consente di viaggiare nel tempo? — Alzai le mani. — E se aggiungessi che l’ho costruita io, con queste mani? Che cosa risponderesti, eh?
Per un po’, Nebogipfel parve meditare sulla mia risposta: — La tua epoca, a giudicare dal tuo modo di parlare e dal tuo organismo, è molto lontana dalla nostra. Sei padrone di una tecnica molto sofisticata, come dimostra la tua macchina, che sia o meno in grado di viaggiare nel tempo, come affermi. E i tuoi abiti, la conformazione delle tue mani, la tua dentatura… Tutto ciò indica un alto grado di civiltà.
— Sono lusingato di sentirtelo dire — ribattei con veemenza. — Ma se mi giudicate civile, se mi considerate un uomo e non una scimmia, perché mi tenete ingabbiato così?
— Perché hai già tentato di aggredirmi, manifestando tutte le intenzioni di nuocermi — rispose Nebogipfel, in tono pacato. — E sulla Terra, hai ferito gravemente…
Nuovamente infuriato, mi avvicinai al Morlock: — Le vostre scimmie stavano danneggiando la mia macchina! — gridai. — Che cosa vi aspettavate? Mi sono soltanto difeso! Io…
— Erano soltanto bambini.
Le parole di Nebogipfel gelarono la mia collera. Cercai di aggrapparmi a ciò che ne restava per giustificarmi, ma mi sfuggì la presa: — Cos’hai detto?
— Bambini. Erano bambini. Da quando la Sfera è stata completata, la Terra è diventata un… giardino d’infanzia, un luogo riservato ai bambini. Erano semplicemente incuriositi dalla tua macchina. Non ti avrebbero nuociuto in alcun modo, né avrebbero danneggiato la macchina. Eppure tu li hai aggrediti con estrema violenza.
Indietreggiai, rammentando che in effetti i Morlock radunati intorno alla macchina del tempo mi erano parsi insolitamente piccoli rispetto a quelli incontrati in precedenza. E in verità non avevano tentato in alcun modo di nuocermi, tranne il disgraziato che mi aveva morsicato una mano allorché lo avevo afferrato, prima di spaccargli la testa.
— Quello che ho colpito… è sopravvissuto?
— Le ferite fisiche sono guaribili, ma…
— Sì?
— Le ferite interiori, psicologiche, non guariranno mai.
Chinai la testa. Era mai possibile? L’odio nei confronti dei Morlock mi aveva accecato a tal punto? Non avevo dunque saputo riconoscere che le creature radunate attorno alla macchina del tempo non erano i predatori crudeli del mondo di Weena, bensì fanciulli inermi?
— Immagino che tu non capisca di che cosa sto parlando, ma… mi sembra di essere intrappolato in un’altra lanterna magica a dissolvenza…