È difficile comunicare l’impatto che quel semplice mutamento intervenuto nello spazio ebbe su di me. Innanzitutto, rimasi sconvolto dalla pura e semplice audacia della tecnica che aveva consentito l’abolizione del ciclo stagionale. Quest’ultimo era derivato dall’inclinazione dell’asse del pianeta rispetto al piano dell’orbita intorno al sole. Sembrava però che sulla Terra non esistessero più le stagioni, e mi resi immediatamente conto che ciò poteva significare soltanto che l’inclinazione dell’asse planetario era stata corretta.
Tentai d’immaginare come fosse stato possibile riuscirvi. Quali macchinari immensi dovevano mai essere stati installati ai poli? Quali misure erano state prese per garantire che la superficie terrestre non si staccasse durante il processo? Forse era stato impiegato qualche gigantesco congegno, il quale aveva manipolato il nucleo magnetico fuso del globo.
Ma non furono soltanto le dimensioni di quella tecnica planetaria a turbarmi: ancora più terrificante fu il fatto che durante il mio primo viaggio temporale non avevo affatto osservato quell’abolizione delle stagioni. Com’era possibile che non avessi osservato un mutamento di tali proporzioni? Dopotutto, posseggo una formazione scientifica: il mio compito consiste in primo luogo nell’osservare.
Dopo essermi massaggiato il viso, osservai la fascia solare che stava sospesa nel cielo, sfidandomi a credere nella sua assenza di movimento. La sua luminosità mi feriva la vista: anzi, mi sembrava che stesse diventando sempre più intensa. Dapprima mi domandai se non fosse un’illusione dovuta alla mia immaginazione, oppure a un difetto della vista. Chinai il viso, asciugandomi le lacrime con una manica della giacca e battendo le palpebre per scacciare le macchioline e le fasce luminose che mi accecavano.
Non sono un primitivo né un codardo, eppure dinanzi alla prova delle imprese colossali compiute dall’umanità futura, mi sentii come un selvaggio con la chioma adorna di ossa e il nudo corpo dipinto, terrorizzato dalle divinità del cielo sfolgorante. Dalle profondità della mia coscienza emerse gorgogliando un timore soverchiarne di aver perduto la sanità mentale. Nonostante ciò mi aggrappai alla convinzione di avere in qualche modo mancato di osservare quello sconvolgente fenomeno astronomico durante il primo attraversamento di quell’epoca. L’unica altra ipotesi possibile, infatti, mi terrorizzava sino alle radici dell’anima: non ero stato affatto distratto durante il primo viaggio, bensì la correzione dell’asse terrestre non aveva ancora avuto luogo. Insomma, il corso stesso della storia era cambiato.
La forma quasi eterna della collina era immutata, la conformazione della terra di un tempo non era stata modificata dal cambiamento avvenuto nel cielo, però la marea di vegetazione verdeggiante che aveva sommerso la Terra era rifluita sotto il perenne sguardo spietato del sole ardente.
A un tratto, accorgendomi di un lampeggiare al di sopra della mia testa, sollevai lo sguardo, proteggendomi gli occhi con le mani. Scoprii così che il lampeggiamento proveniva dalla fascia solare, o meglio, da quella che tale era stata, giacché ancora una volta potei discernere il movimento del sole, che sfrecciava nel cielo come una palla di cannone durante la sua rivoluzione diurna: tale movimento non era più tanto rapido da non poter essere percepito, quindi il lampeggiamento era provocato dalla transizione fra la notte e il giorno.
Sul momento pensai che la macchina del tempo stesse rallentando, però, nell’osservare nuovamente i cronometri, constatai che le lancette continuavano a roteare come prima.
L’uniformità grigioperla della luce si dissolse; lo sfarfallio della transizione fra il giorno e la notte si accentuò; il sole, giallo, ardente e luminoso, rallentò a ogni rivoluzione. In breve mi resi conto che stava impiegando parecchi secoli a completare un unico giro intorno alla Terra.
Infine, il sole si fermò del tutto, posandosi sull’orizzonte occidentale, inesorabile e immutabile. La Terra ruotava presentando perennemente la medesima faccia alla sua stella!
Gli scienziati del diciannovesimo secolo avevano previsto che alla lunga, per effetto dell’attrazione del sole e della luna, la Terra avrebbe finito appunto per presentare sempre la stessa faccia al sole, come la luna alla Terra. Io stesso ero stato testimone di tale cambiamento durante la prima esplorazione del futuro. Avrebbe dovuto trattarsi di un’eventualità destinata a verificarsi soltanto dopo parecchi milioni di anni, invece scoprivo che si era già realizzata dopo poco più di mezzo milione di anni.
Ancora una volta compresi che si trattava della mano dell’uomo, la quale, discesa da quella della scimmia, si protendeva attraverso i secoli con presa divina. Non contento di aver modificato l’inclinazione dell’asse, l’uomo aveva anche rallentato la rotazione del pianeta, ponendo fine al ciclo antichissimo dei giorni e delle notti.
Osservai il deserto inglese. Il suolo arido era privo d’erba. Ciuffi sparsi di cespugli robusti, vagamente simili a ulivi nella forma, lottavano per sopravvivere, riarsi dal sole crudele. Il possente Tamigi, il cui corso aveva deviato di circa un miglio nella pianura, si era ridotto a un torrente nel letto profondo, tanto che non riuscivo più a scorgere il luccichio dell’acqua. Non potevo certo pensare che i mutamenti recenti avessero migliorato l’ambiente: se non altro, il mondo dei Morlock e degli Eloi aveva conservato le caratteristiche essenziali della campagna inglese, con abbondanza di vegetazione e d’acqua: a ripensarci, era stato come se tutte le isole britanniche fossero state trainate ai tropici.
Immaginai quali dovessero essere le condizioni del povero pianeta, con un emisfero perennemente rivolto al sole e l’altro eternamente in ombra. All’equatore della faccia illuminata, il calore doveva essere tale da bollire vive le persone, e l’aria doveva fuggire in venti possenti dall’emisfero surriscaldato a quello gelido, dove si trasformava in una nevicata di ossigeno e di azoto sugli oceani cinti dai ghiacci. Se avessi fermato la macchina in quel momento, forse sarei stato immediatamente spazzato via da quei venti, che erano le ultime esalazioni dei polmoni terrestri! Il processo sarebbe cessato solo quando l’emisfero diurno si fosse interamente trasformato in un deserto del tutto privo d’atmosfera, d’acqua e di vita, e l’emisfero notturno fosse rimasto avvolto da un guscio sottile di aria gelata.
Con orrore crescente mi resi conto di non poter tornare nella mia epoca, perché per farlo avrei dovuto fermare la macchina, e in tal caso sarei precipitato in una regione di vuoto e di calore ardente, tanto priva di vita quanto la superficie della luna. D’altronde, avrei osato proseguire verso un futuro ignoto, nella speranza di trovare da qualche parte, nelle profondità del tempo, un mondo abitabile?
Fui certo di essere stato vittima, durante il primo viaggio nel tempo, di un grave difetto della percezione, oppure, successivamente, della memoria. Se potevo infatti non essermi accorto in precedenza della scomparsa delle stagioni, anche se stentavo a crederlo, non potevo affatto persuadermi di non avere notato il rallentamento della rotazione terrestre.
Non poteva esservi alcun dubbio: stavo viaggiando in un tempo profondamente diverso da quello che avevo osservato durante la prima esplorazione.
Benché sia riflessivo per natura, e in genere non abbia difficoltà a formulare ipotesi fantasiose, in quel momento ero talmente sconvolto che non riuscivo più a pensare. Fu come se la mia mente, intanto che il mio corpo continuava a sfrecciare innanzi attraverso il tempo, rimanesse indietro, intrappolata nel passato vischioso. In precedenza, avevo posseduto una patina di coraggio: una facciata sostenuta dalla compiaciuta convinzione che, sebbene stessi volando incontro al pericolo, si trattava almeno di un pericolo che avevo già affrontato. Invece mi trovavo improvvisamente costretto ad ammettere di non avere la più pallida idea di ciò che mi attendeva in quel nuovo flusso temporale!