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Infine, Lissa. La mia amata. Mettiti vicino al banchiere, tesoro. Girati un po’ a sinistra. Il banchiere alza una mano. Vorrebbe prenderti una tetta ma non osa, e rimane lì, sospeso nella tensione fra il desiderio e la repressione. Dovresti avere i capezzoli eretti per questa scultura; dovresti essere in calore, un po’. Aspetta, ci penso io. Una toccatina o due qui sotto. Sì: guarda come si sollevano.

Bene! Bene! Tutti ai vostri posti! Interazione di gruppo, registrazione numero uno! Voglio che ciascuno di voi proietti l’emozione di cui abbiamo parlato in precedenza, proiettate solo quell’emozione, nella maniera più pura che potete. E vivetela. Non pensate: Sto posando per un artista, ma: Io sono così, e questa è la mia vita, questa è la mia anima, e la sto irradiando a palate in maniera che lui possa catturarla con la sua macchina e trasformarla in un capolavoro. Pronti? Pronti? Ehi, stronzi, perché non state in posa? Chi vi ha dato il permesso di dissolvervi? Cerchiamo di conservare un po’ di fottuta stabilità! Fermi! Fermi! Fermi!

Correva più rapidamente che poteva, e lo sforzo lo stava uccidendo. Un cerchio di metallo incandescente intorno al petto. Gli occhi che gli uscivano dalle orbite. Aveva girato a sinistra, uscito dal ristorante sulla Broadway, e si era infilato in una strada buia correndo a lunghi balzi, pensando dapprima che sarebbe riuscito a farcela, ma poi aveva sentito i passi che si adeguavano esattamente ai suoi, infaticabili, e seppe che non ce l’avrebbe fatta. Non voltarti indietro. Qualcosa forse ti sta raggiungendo.

Nat Hamlin che corre veloce alle sue spalle, con il suo stesso corpo, solo quattro anni più giovane. Gridando parolacce mentre corre. Che linguaggio che ha! Uno penserebbe che gli artisti siano tipi estetici, raffinati, invece eccoti questa antologia di sconcezze che mi rincorre. Grida: Ehi, tu, Macy, checca rincoglionita, fermati! Abbiamo un sacco di cose da dirci, stronzo!

Sicuro. La prima cosa di cui dobbiamo parlare è chi di noi due deve vivere e chi deve morire, e lo so già qual è la tua posizione su questo argomento, Nat. Perciò ho intenzione di continuare a darmela a gambe finché non crollo. Forse crollerai prima tu, anche se sei più giovane. Con tutto l’acido e le oro e le puttane che ti fai, mentre io ho fatto una vita sana al Centro, in tutti questi anni.

Avanti, avanti. Quasi al ponte adesso. Le torri scintillanti della Vecchia Manhattan davanti a me. Hamlin continua a urlare oscenità. Non è un occhio volante della rete quello lassù? Sicuro che lo è! Ci sta seguendo, registrando tutto quanto, nel caso ci sia un bell’omicidio. Chiama la polizia, macchina deficiente! Guarda, c’è un pazzo che mi insegue, un criminale condannato fuggito illegalmente nella vita dopo essere stato sradicato! Vedi, vedi, ha la mia faccia! Perché non fai qualcosa? Sono uno della rete, non vedi? Paul Macy, numero sei alle notizie della sera. Lo so che sei solo una macchina, un giornalista obbiettivo, un osservatore automatico e passivo, ma lascia perdere queste stronzate adesso. La mia vita è in pericolo. Se mi prende. E non ce la faccio più. Ho le budella in fiamme. Tutti quegli spaghetti dentro che vanno su e giù ad ogni passo. Il fegato che fa le capriole. Oh, Cristo, una mano sulla spalla. Preso!

Giù a terra. Le sue ginocchia contro le ascelle. Bloccato. Le sue labbra che sbavano. Un pazzo con la mia faccia. Vai via! Vai via! Vai via! E lui ride. E sopra la spalla vedo l’occhio volante che registra ogni cosa. Meraviglioso. E adesso ecco a voi gli ultimi momenti di Paul Macy, 39 anni, tragicamente assassinato dal suo alter-ego impazzito. Dopo un breve intermezzo pubblicitario offerto dalle Acapulco Oro. Andato. Andato. And…

Si muoveva stancamente in un sobborgo immerso nel sonno, Queens o Staten Island, non sapeva bene quale. Sembravano tutti uguali. Una gelida giornata di gennaio. Un’area di alta pressione si era stabilita sulla città: non si vedeva neppure una nuvola, soltanto una cupola azzurra che premeva sulla terra, nessun indizio di neve, anche se qualche cumolo annerito di quella caduta a Natale giaceva ancora lungo i margini della strada. In quel clima secco era difficile credere che sarebbe mai piovuto ancora. Gli alberi senza foglie simili a mazzi di stecchi che gridavano silenziosamente: sono una quercia, sono un acero, sono una magnolia, e nessuno che li ascoltava, perché sembravano tutti uguali. Tozze case in mattoni a due piani, a una distanza ragionevole l’una dall’altra, su entrambi i lati della strada. I bambini a scuola. I mariti al lavoro. Una mogliettina dietro ogni finestra munita di tendine.

Non sapeva bene come era arrivato fin lì. Era partito dal Connecticut alle nove e mezzo di mattina circa, il lavoro che gli veniva tutto sbagliato: un fottuto incubo nello studio, che era terminato in un orribile pasticcio, rovinandogli una settimana di fatiche. Poi si era messo in macchina, aveva attraversato la città, passando su due o forse tre ponti, e si era ritrovato lì. E quella familiare foschia gialla che gli circondava le tempie e la fronte, la nebbia umida della pazzia. L’accolse con piacere. Arriva un momento in cui uno si deve arrendere alle forze oscure. Sì, sì, avanti, prendete possesso di me. Nat Hamlin al vostro servizio. Chiamatemi Raskolnikov junior. Ah, quel matto di un russo ne capiva qualcosa! Come ribolliamo dentro. E qualche volta fuori.

Guarda quella casa. Una villetta di periferia perfettamente banale, vecchia di una cinquantina d’anni, prodotto dei folli anni Settanta, dei raccapriccianti anni Sessanta. Porterò qualche illuminazione nella sua squallida esistenza. Mediante un atto di volontà intensificherò l’esperienza di vita dei suoi abitanti. Vedi quanto è facile forzare la porta laterale? Solo un piccolo chiavistello: basta inserire la taglierina, muoverla su e giù, spingere… ecco.

Adesso entriamo. Buon giorno signora, sono lo stupratore pazzo, il satiro di Darien, e oggi vendo terrore estatico. No, non gridi, sono suo amico. Non faccio del male inutile. Le assicuro che non sarei qui, se non fosse per questo impulso irresistibile che mi è venuto. È colpa mia se mi manca qualche rotella? Ognuno ha diritto ad avere il suo esaurimento. Specialmente se è un artista importante. Dovrebbe essere entusiasta sapendo chi la scoperà. Lei è diventata parte di una delle più significative disintegrazioni personali nell’arte occidentale. Come se io fossi Van Gogh e mi tagliassi il fottuto orecchio proprio qui sul linoleum della sua cucina. Questo non le fornirebbe come minimo un posto periferico nella sua biografia? Bene, allora. Lui ha avuto il suo collasso, io ho il mio. Venga qui, adesso. Togliamo quella vestaglia. Vediamo che razza di mercanzia offre. Scusi, non l’avrei strappata se lei avesse cooperato. Perché opporsi? Sarebbe molto più significativo per lei se si limitasse a stendersi e collaborare. Ecco, ecco. Vede, si sta bagnando per me! Come può negare l’attività delle sue glandole di Bartolino? Questa lubrificazione la qualifica come puttana, signora mia! Ah. Dentro. Dentro. Questo è il biglietto. Dentro e fuori, dentro e fuori. Con amore. Allegro. Allegrissimo! Wham, bang, grazie signora. Su la cerniera. Fuori dalla porta. Lo stupratore pazzo colpisce ancora. Abbiamo messo in scena l’ultimo affascinante episodio del nostro caso di crollo della personalità. Sembro così per bene, per essere uno psicopatico. Oops! Ehi, no, agente! Metta via quel paralizzatore. Non… ehi, calma… mi arrendo, accidenti, mi arrendo! Vengo senza opporre resistenza! Vengo… senza… opporre resistenza…

Sbattendo furiosamente le palpebre, la testa pesante, disorientato, si svegliò. Si trovò in un letto, il suo letto, le coperte che gli arrivavano sotto il mento, la luce accesa nella camera. Buio al di là della finestra. Le lenzuola fredde sulla pelle: qualcuno l’aveva spogliato. Da un gomito sgorgavano rivoli di dolore. Per un momento fu assolutamente incapace di rammentare il suo ultimo periodo di consapevolezza; poi gli avvenimenti nel ristorante del popolo gli tornarono alla mente. Lui che piantava in asso Lissa. La ragazza che lo chiamava. La voce di Nat Hamlin che gli sussurrava come un serpente nelle orecchie. Calamità. Collasso. Caos. — Ehi? — chiamò con voce spezzata. — C’è qualcuno? Ehi? Ehi?