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Dall’altra stanza entrò la ragazza. Incorniciata nella porta. Nuda. Ancora più magra di quanto avesse immaginato, la gabbia toracica visibile, la doppia linea di muscoli sulla pancia piatta, le cosce sottili con una fessura di qualche centimetro fra di esse, fino in cima. I seni ancora pieni, però. Non grossi, ma ben fatti. Il triangolo rosso di peli. La pelle rosa, come se fosse stata fregata, ancora umida. Si è fatta un bagno. Sembra più giovane di cinque anni, adesso.

— Da quanto sei sveglio? — gli chiese.

— Circa mezzo minuto. Che giorno è oggi?

— È ancora la stessa notte di lunedì. Anzi, ormai è martedì mattina. L’una e mezzo del mattino.

— Mi hai portato a casa?

— Qualcuno mi ha aiutato. C’era un autista di taxi nel ristorante del popolo. Ti ha portato fuori. Cristo, ho avuto paura, Paul. Credevo che fossi morto!

— Hai chiamato un dottore?

Lei rise. — A quest’ora di notte? Sono rimasta seduta qui a guardarti, sperando che ne uscissi. Sembrava che avessi degli incubi. Gli occhi che roteavano sotto le palpebre. Ti ho toccato la mente una volta, più o meno per caso, e mi ha fatto paura: come se venissi inseguito lungo un vicolo. — Avvicinandosi al letto disse: — Stai bene? Hai il mal di testa?

— Altro che. Gesù!

— Dopo un po’ mi è sembrato che dormissi e basta. Così mi sono fatta un bagno, come mi avevi detto tu. Avresti dovuto vedere quanto sporco è venuto via. Ma una certe volte diventa così merdosa che non pensa neppure più a lavarsi, e io ero arrivata a quel punto. Be’, adesso è passata. Non sono riuscita a far funzionare il tuo registratore, perciò mi sono messa a leggere un libro, e…

— Cosa mi è successo al ristorante? — chiese lui.

Lei si sedette sul bordo del letto. Lui le guardò le cosce, e avrebbe voluto appoggiarle la mano sopra, ma gli ci vollero due tentativi prima che il braccio tremante riuscisse a sollevarsi e a compiere il tragitto di trenta centimetri. La pelle di Lissa era fresca e liscia. Le accarezzò la coscia su e giù, fra il ginocchio e l’inforcatura.

Lei disse: — Ti sei alzato per andartene, ricordi? Non credevo che l’avresti fatto, invece l’hai fatto, e te ne stavi andando. L’unica speranza che avessi, se ne andava. E sapevo di essere arrivata in fondo.

— Perciò mi hai chiamato.

— No — disse lei. — Ti ho raggiunto, con la mia mente.

— Non hai gridato il mio nome? Non mi hai urlato di tornare indietro?

— Non ho aperto bocca. Ho raggiunto la tua mente. Ho preso contatto. Con tutti e due.

— Tutti e due?

— Sono penetrata nella tua mente, e c’era qualcuno di nome Paul Macy lì, sicuro, ma ho raggiunto anche un altro livello, e c’era Nat Hamlin. Compresso come una molla. Nascosto nel buio. Non lo dimenticherò mai, dovessero passare un milione di anni. La mia mente che si protendeva nello spazio fra te e me, e trovava due persone. Quella nascosta. O addormentata, forse.

…Addormentato è più esatto.

La voce di Hamlin. Macy ebbe un sobbalzo, e staccò la mano da Lissa, come se lei scottasse.

— Hai sentito? — chiese.

— Non ho sentito niente. Ma ho avvertito una specie di contrazione. Una piccola scossa di ESP.

— Era Hamlin, che parlava dentro di me. Ha detto : "Addormentato è più esatto". Cosa diavolo sta succedendo, Lissa?

— È ancora dentro di te — disse lei.

— No. No. È impossibile. Mi hanno detto tutti che se n’è andato per sempre.

— Credo di no — disse Lissa. — Una piccola parte di lui è rimasta, sul fondo della tua testa. Forse non si può mai cancellare fino in fondo una personalità. Come quando si fa crescere una rana intera da una cellula di un’altra rana, e quella nuova sarà identica alla vecchia. Giusto? Tu avevi un paio di cellule di Nat Hamlin ancora nella testa, e io le ho riportate in vita toccandole. Mi dispiace, Paul. È colpa mia.

— È impossibile — disse lui. — È solo un’allucinazione.

…Come preferisci, fratello.

— È veramente lì — disse Lissa. — L’ho sentito. Una presenza dentro di te. Due in una sola testa.

— No. …No?

— Non volevo riportarlo in vita, Paul. Io l’amavo, sì, ma non era una buona persona, faceva del male alla gente, era un criminale. Quando l’hanno condannato a essere cancellato hanno fatto bene. Non voglio che ritorni. Come possiamo liberarci di lui?

…ficcatelo in culo, amico.

Lissa cercò di fare un sorriso incoraggiante. Gli prese la mano fra le sue e la strinse. Sembrava trasformata dal sapone e dall’acqua calda, non più la ragazzina triste e sperduta e lunatica del ristorante. Paul si rese conto che il suo collasso adesso lo legava a lei. L’aveva portato a casa. Si era presa cura di lui. Non poteva buttarla fuori. Lei disse: — Posso portarti qualcosa? Da bere? Una oro?

— Adesso no. Vorrei vedere… se riesco ad alzarmi…

— Dovresti riposare. Hai avuto un brutto colpo.

— Sì, ma… — Si mise a sedere sul letto, e provò un paio di volte i piedi prima di affidare a essi il suo peso. Si alzò, precariamente. Ondeggiando. Rimase in piedi davanti a lei, nudo. Poi un gesto che lo sorprese: mosse la mano per coprirsi il pube. E immediatamente la ritrasse; poteva pensare a sei ragioni differenti per le quali era assurdo volersi nascondere da lei, a cominciare dal fatto che qualche anno prima lei era stata l’amante del precedente possessore del suo corpo, per un sacco di mesi.

Fece un passo, poi un altro, e si trovò in mezzo alla stanza, un po’ traballante. Il gomito sinistro era irrigidito e gli faceva male, com’era prevedibile considerando che c’era caduto sopra con tutto il peso. Fortuna che non si era rotto. Ma c’era anche un curioso intorpidimento al lato destro della faccia. Come se il dentista gli avesse fatto una iniezione di anestetico. Come se avesse avuto una paralisi, forse.

Si guardò la faccia allo specchio della camera. Sì, era un po’ asimmetrica, come quella di suo padre dopo la paralisi. La bocca contratta all’indietro, la palpebra inferiore penzolante. Macy si toccò la parte insensibile della guancia e cercò di fare assumere alle labbra la forma giusta. Era tutto duro, come carne plastica.

…Ciao.

— Sei tu che stai facendo questo?

— Che ti succede, Paul?

— La mia faccia. Mi sta tirando i muscoli. Non riesco a farlo smettere.

— Oh, Cristo, Paul! — Terrorizzata.

Una battaglia di volontà. Il terrore di Lissa lo infettò. Era raccapricciante avere metà della faccia nelle mani di qualcosa annidato nel tuo cervello. Come nuotare e riemergere con un gambero attaccato all’uccello. Lottò. Tirando i muscoli, cercando di rilassare la carne. Ri-las-sa-ti… ri-las-sa-ti… Sì. Stava avendo la meglio. Gli era tornata un poco la sensazione. La bocca non era più distorta. Hamlin si stava ritirando a mo’ di gambero nei recessi più profondi del suo cervello, mollando la presa. Domani filo dritto al Centro Riab e ci penseranno loro. Un’eliminazione completa e accurata di qualsiasi vestigia dell’io precedente che ancora rimanga. Macy guardò nuovamente lo specchio. Aprendo e chiudendo la bocca, facendo grandi smorfie. Il primo round è mio. Tornò barcollando al letto e si lasciò cadere su di esso, tremando.