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…Solo per farti sapere che sono ancora qui.

5

A un certo punto, durante la notte, doveva esserci stato un flusso di forza da lei a lui, perché si era addormentato mentre lei lo confortava, e venne svegliato dai suoi singhiozzi. La stanza era immersa nel buio; mancava ancora qualche ora al mattino, eppure gli sembrava di aver dormito abbastanza. Lissa gli rivolgeva la schiena, la spina dorsale ossuta che gli premeva sul petto; giaceva raggomitolata, le ginocchia contro il petto, tirando su col naso, e ogni trenta secondi circa emettendo un singhiozzo con la bocca aperta, che scuoteva il letto. Prima che potesse occuparsi di lei, doveva pensare alle condizioni della sua testa. Tutto sembrava a posto. Si sentiva riposato e rilassato. C’era un delizioso senso di solitudine fra le sue orecchie. Quando era in contatto con Hamlin sentiva un senso di confusione nel cervello, come se matasse di filo spinato venissero srotolate nel suo cranio. Niente di questo ora. Il suo alter ego era addormentato, o forse occupato in qualche altra regione. Macy appoggiò leggermente la mano sulla spalla di Lissa e la chiamò. Lei continuò a singhiozzare. La scosse leggermente.

— Cosa? — chiese lei, con voce confusa, lontana.

— Dimmi cos’hai.

Un lungo silenzio. Nessuna risposta. Era tornata ad addormentarsi? Si era mai svegliata?

— Lissa? Lissa, cosa c’è?

— Perché?

— Piangevi.

— Era un brutto sogno — disse lei, e Macy si rese conto che stava ancora dormendo. Si staccò da lui, assumendo una posizione ancor più fetale. Tirando un profondo respiro. Rumori di pianto. Lui l’abbracciò, le cosce contro le sue natiche, le labbra appena sopra le sue orecchie. La sua pelle era fredda. Tremava. — Mi insegue — mormorò lei. — Dieci braccia, come una piovra.

— Svegliati — disse lui. — Sparirà, se ti svegli.

— Come fai a esserne così sicuro?

E gli mandò il suo sogno, bene impacchettato. Da una mente all’altra, scivolando al suo posto come una cassetta nel registratore. Gesù. Un paesaggio lunare di cemento sbriciolato, vasto migliaia di chilometri, con un milione di crepe, fessure, crepacci. Non un edificio, non un albero, non un cespuglio visibili, soltanto questa pianura grigiastra di piatto selciato in rovina che ricopriva l’universo. Dall’alto una luce intensa, bianca, gioca sul cemento, cosicché i bordi sporgenti delle fessure gettano lunghe ombre nette. Soffia un vento gelido. Rumore di passi. Lissa appare a destra, nuda, senza fiato, correndo, i capelli al vento, i capelli verso il vento. La sua pelle pallida è cosparsa da dozzine di cicatrici rosse, circolari, come segni di suzione. E ora arriva il suo persecutore, con grande strepito. Nat Hamlin, sì, con la sua normalissima faccia anglosassone, dai tratti regolari, solo che ha otto, dieci, una dozzina di tentacoli che gli escono dalle spalle e si contorcono, tentacoli forniti di grosse ventose dentellate. Adesso è chiaro come Lissa si è procurata i segni rossi sul corpo. E un uccello lungo un metro che gli spunta davanti, come un bastone. I suoi piedi sono zampe da rana, grosse come stivali da neve. Thromp! Thromp! Thromp! Viene verso di lei a una velocità incredibile. Poi ci sono le voci. Della gente sta dicendo qualcosa su di lei in sanscrito, in ungherese, in basco, in hopi, in turco. Commenti maligni sui suoi seni. Osservazioni sprezzanti circa le ascelle non rasate. Un riferimento sferzante a un neo sulla chiappa sinistra. Ridono di lei in bengalese. Le offrono perversioni in polacco. Lei sente tutto. Capisce tutto. Hamlin adesso si è diviso a metà, un doppio inseguitore, e uno di questi in qualche maniera le è apparso davanti, e lei è intrappolata fra i due. Più vicino… più vicino… la impala davanti e dietro… lei urla…

Respingo questo sogno, pensò Macy. Non è un incubo necessario. Al diavolo.

— Svegliati — ripeté, a voce alta.

Svegliarla non fu cosa facile. Era sospesa in una strana dimensione intermedia, quasi una trance ipnotica, in cui era in grado di sentirlo e perfino di dargli delle risposte razionali, senza tuttavia rientrare veramente nel mondo della veglia. Persa nelle sue allucinazioni di orrore. Macy accese la luce. Erano le quattro e mezzo passate. Aveva dormito appena due ore. Eppure gli sembrava una notte intera. La fece sedere e le aprì gli occhi con le dita.

Lo guardò con occhi vitrei, come specchi che non vedevano nulla. — Lissa? Gesù, Lissa, svegliati! - Ondate di terrore le passarono sulla faccia. I piccoli gomiti appuntiti che affondavano nei fianchi, i pugni chiusi e stretti contro le clavicole. Singhiozzava ancora, inalando ed esalando rapidamente, come in preda al panico. Macy la tirò su dal letto e la spinse nel bagno. Toccò con il palmo il controllo della doccia. Una cascata computerizzata di acqua gelida. Sotto, ragazza. Un grido. Come se la stesse frustando. Ma si era svegliata.

— Dio mio — disse. — Ero in qualche altro posto.

— Lo so. Lo so.

— Mi riempie ancora la testa. Un milione di chilometri quadrati di selciato crepato. Lo vedo ancora. E quella fottuta luce bianca, in alto. E i tentacoli.

— Adesso è finita.

— No. È uscito dalla mia testa, vero? È ancora lì, come Nat Hamlin è nella tua. Sto impazzendo, Paul, non è evidente? Cristo, stringimi forte. Forse il polipo è reale, e questo è il sogno.

I denti le battevano. L’avvolse in un asciugamano e la riportò in camera. Aveva le guance in fiamme. Era in preda alla febbre. — Voglio solo nascondermi — disse. — Sparire dentro il mio cervello, capisci cosa voglio dire? Scappare in qualche mondo interiore dove nessuno può trovarmi. Dove non si sentano le voci.

Si infilò sotto le coperte, tirandosele sopra la testa. Un rigonfiamento dentro il letto, come un coniglio nella pancia di un serpente. Da sotto giunsero parole attutite. — Cosa ci succederà, Paul? Siamo pazzi tutti e due.

Macy si infilò nel letto accanto a lei, e d’improvviso lei gli si aggrappò con una tale feroce passione che lo fece restare senza fiato. Lo circondò con le braccia e le gambe, spingendo violentemente la pancia contro la sua, l’osso pubico che lo colpiva dolorosamente. Lo strinse come se volesse divorarlo. Da ragazzo, quando abitava a Seattle nella vita che non aveva vissuto, aveva visto una stella marina assalire un’ostrica, aprendo il guscio con le sue ventose, poi rivoltandosi tutta in maniera che il suo stomaco potesse uscire ed ingerire. Ripensò a quello mentre Lissa si contorceva contro di lui. Aspettando che qualcosa di lungo e viscido uscisse da lei e cominciasse a digerirlo. Grazie, dottor Gomez, per quella bellissima immagine. Anche tu odi le donne, bastardo fottuto?

— Paul — mormorava lei. — Paul. Paul. Paul. — Esclamazioni ritmiche. Con sua sorpresa scoprì che il suo membro si irrigidiva malgrado tutto, e con un solo rapido movimento lo infilò dentro di lei. Era calda e umida. Mentre la penetrava, si aspettava che Hamlin risalisse di nuovo alla superficie, per interferire, ma questa volta gli venne concessa l’intimità dei suoi genitali. Lissa gridò e venne quasi immediatamente. I suoi spasmi continuavano ancora mentre iniziavano quelli di Macy, un milione di anni dopo.

Si risvegliò alle sette e mezzo. Lissa sembrava profondamente addormentata. Hamlin era tranquillo, fece una doccia e andò nella piccola cucina-sala da pranzo. Prese il telefono, batté il codice per i messaggi differiti e lo istruì perché chiamasse la rete alle nove, dicendo che era ammalato e che non sarebbe andato al lavoro. Poi chiamò il Centro Riab e si fece spostare la sessione terapeutica delle quattro del pomeriggio al mattino. Non voleva perdere neanche un minuto per risolvere il problema Hamlin. — Vuole attendere in linea? — disse il computer del Centro, e lui aspettò, e due o tre minuti dopo la macchina si rifece sentire e disse: — Ho controllato l’agenda della dottoressa Iannuzzi, signor Macy, e le sarà possibile vederla alle nove del mattino. — La faccia del computer, sullo schermo del telefono, era quella di una bruna carina ed efficiente. — Bene — disse Macy, strizzandole un occhio.