E così, per disfare il processo che crea l’identità, basta distruggere gli schemi elettrochimici mediante i quali questa identità è registrata. Qualche disturbo di frequenza, per prima cosa, che inibisca la trasmissione sinaptica e ridefinisca la maniera in cui gli elettroni saltano nel cervello. Poi, quando le difese sono abbattute, comincia l’attacco chimico. Un’iniezione di acetilcoline terminase per interferire con la fissazione mnemonica a breve termine. Una di derivati della puromicina per spazzar via le complesse catene di acido ribonucleico, RNA cerebrale, che mantiene i ricordi incisi in maniera permanente nel cervello. Poi, in fretta!, il sistema viene inondato di composti amnesio-induttori. La rete di esperienze e atteggiamenti viene spazzata via, lasciando il corpo una tabula rasa, un foglio bianco, senza identità, senza anima, senza ricordi. A questo punto viene immessa una nuova identità, a piacere. Costruire richiede più tempo che distruggere, naturalmente. Si comincia con un guscio vuoto che ha certe reazioni motorie basilari e nient’altro: sa come allacciarsi le scarpe, come soffiarsi il naso, come emettere segni articolati. A meno che il lavoro di cancellazione sia stato eseguito con zelo eccessivo, sa perfino parlare, leggere, scrivere, anche se probabilmente a livello di un bambino di sei anni. Adesso dategli un nome. Usando avanzate tecniche ipnagogiche, fornitegli una nuova biografia: qui sei andato a scuola, questa è tua madre, questo è tuo padre, questi erano i tuoi amici d’infanzia, questi erano i tuoi hobby. Non è necessario che sia cristallina nella sua consistenza; la maggior parte dei nostri ricordi sono in ogni caso confusi, e fra essi risalta qua e là un una scena più luminosa. Basta fornire al soggetto ricostruito un passato sufficiente a non farlo sentire disincarnato. Poi bisogna addestrarlo alla vita da adulto: dargli alcune competenze professionali, attitudini sociali, fargli sapere cosa è il sesso eccetera eccetera. Gli elementi periferici, leggere, scrivere, parlare, tornano più in fretta di quanto si possa immaginare. Ma la vecchia identità non ritorna mai, perché è stata colpita con cinquanta megatoni di bombe a frammentazione, è stata completamente distrutta. Fino al livello cellulare, tutto quello che formava quell’identità è stato lavato via dalle medicine.
A meno che. In qualche maniera. Annidate nei recessi cellulari tracce del vecchio io non riescano a sopravvivere, come la schiuma su uno stagno, una mera pellicola di identità demolita, e da questa pellicola, se si verificano le giuste circostanze, la vecchia identità riesce a ricostruirsi e a prendere comando del corpo. Quali sono le circostanze giuste? Nessuna, a dar retta a Gomez Co. Non esiste alcun caso noto di identità che riesca a ristabilirsi dopo che uno sradicamento ordinato dal tribunale è stato eseguito. Ma quanti soggetti ricostruiti sono stati esposti a ESP? Alla forza dirompente di un attacco telepatico diretto contemporaneamente alla vecchia e nuova identità? È una questione statistica. C’è un numero x di ricostruiti in circolazione, e un numero y di telepati. X è un numero molto piccolo, e y lo è ancora di più. Perciò quali sono le probabilità che x incontri y? Così poche, a quanto pare, che questa è la prima volta in cui sia accaduto. E così, ho quel fottuto psicopatico di Hamlin che si aggira nel mio cervello. Perché proprio il mio?
— Greenwich — disse la voce del computer, e il convoglio si arrestò dolcemente sul suo cuscino di aria compressa.
Il Centro Riab si trovava nella parte nord della città, nella vecchia zona residenziale, che grazie a ispirati e disperati piani regolatori era riuscita a resistere ai ghiacciai stritolanti del sovrappopolamento che avevano devastato la maggior parte dei sobborghi. Parecchie operazioni di ricostruzione e restauro erano state eseguite sul Centro stesso. L’edificio principale, una costruzione grigia in pseudo stile Tudor, alta tre piani, con soffitti a nervature in gotico-agenzia di cambio e vetrate piombate, era stato a metà del ventesimo secolo la residenza privata di qualche barone-brigante, uno speculatore in titoli petroliferi. Alla fine lo speculatore si era autospeculato ed era finito in bancarotta; la grande casa era stata trasformata nel quartier generale di un culto terapeutico che faceva molto affidamento sulla nudità permanente, e in quest’epoca erano state edificate le cinque cupole geodesiche in plastica che formavano un pentacolo gigante intorno all’edificio principale, per servire da solaria invernali. Liti interne e cause legali avevano distrutto il culto nel giro di cinque anni, e il posto era diventato una scuola secondaria di avanguardia, dove i rampolli dell’aristocrazia del Connecticut seguivano corsi in ginnastica copulatoria, traumi di polarità, e relatività sociale. I vari edifici annessi, provvisti di molti aggeggi elettronici, furono aggiunti durante questo periodo. La scuola era naufragata prima di arrivare all’ultima classe, e la contea, assumendo il possesso della proprietà per tasse arretrate, l’aveva rapidamente trasformata nel primo Centro Riab della metà occidentale dello stato, al fine di ottenere i fondi federali disponibili; il governo nazionale, ansioso di lanciare in fretta il programma Riab, era piuttosto prodigo delle sue magre risorse, allora.
Mentre uno percorreva il viale lungo un chilometro che conduceva all’edificio principale, poteva osservare le varie stratificazioni architettoniche che scandivano il passato del Centro, e se era dotato di immaginazione, poteva raffigurarsi il vecchio speculatore che faceva telefonate dal bordo della piscina, i fanatici salutisti che si arrostivano nei solaria, i giovani studenti che fornicavano in maniera elaborata sui prati, tutto quanto insieme, mentre attraverso i giardini alberati si aggiravano i candidati di oggi alla riabilitazione della personalità, sorridendo con aria assente alle voci negli auricolari che mormoravano il loro passato.
Macy non vide alcuna di queste cose, quel giorno, neppure il viale. Poiché, mentre sbucava dalla stazione del tubo al centro di Greenwich e si guardava intorno alla ricerca di un autotaxi che lo portasse al Centro, provò una sensazione molto simile a quella di un’accetta che gli piombasse fra le spalle, e cadde in avanti, intontito e annaspante, sul marciapiede. Per qualche minuto giacque semicosciente sulle eleganti piastrelle blu e bianche all’ingresso della stazione. Riprendendosi, riuscì ad alzarsi a quattro zampe, come un velocista ubriaco in attesa del colpo di pistola. Più di questo non poté fare. Alzarsi in piedi era al di là delle sue possibilità. Arrossato e sudato, aspettò che gli tornassero le forze, sperando che qualcuno lo aiutasse.
Nessuno lo fece. I pendolari aprirono diligentemente i loro ranghi passandogli a fianco. Come un masso in un torrente. Nessuno offre aiuto a un masso. Forse ci sono un sacco di epilettici a Greenwich. Non farti incastrare da uno di quelli. Maledetti scocciatori, fanno un sacco di smorfie, si mordono la lingua: come fa uno ad arrivare in tempo al lavoro, se si ferma ogni mattina ad aiutarli?
Macy ascoltò il tempo che batteva nel suo cervello. Un minuto, due, tre. Cosa era successo? Era la seconda volta nelle ultime diciotto ore che era stato randellato dall’interno. Hamlin?
…Puoi scommetterci il culo.
Cosa mi hai fatto?
…Solo una piccola contrazione del sistema nervoso autonomo. Sono seduto proprio qui e lo sto guardando. Un ammasso di fili e cordoni, il più fottuto casino che tu ti possa immaginare. L’ho appena toccato ed è andato in tilt.