— Cosa ti sta succedendo, Lissa?
— Ricevo di nuovo le voci. — Una serie di contrazioni le distorse la faccia. — Rimbalzano dalle pareti, una dozzina di pensieri diversi, diventano sempre più forti. Tutti mischiati. Cristo, portami fuori da qui. Portami fuori da qui.
Tutti nel museo dovevano averla sentita. Sembrava sul punto di andare in pezzi.
La prese per un braccio e la condusse rapidamente nel lungo corridoio di fronte a loro. Non c’era quasi nessuno lì. Senza sapere bene dove andasse, se la trascinò dietro, contagiato dall’ansia e dalla sofferenza di lei; Lissa scivolava sul pavimento lucido, ma lui la tenne in piedi. Figure a cavallo, in cotte di maglia, che correvano verso di loro e svanivano alle spalle. Arazzi scintillanti che pendevano nella penombra. Spade. Lance. Coppe d’argento cesellate. Tutto il bottino del passato, e nessuno intorno, soltanto un paio di guardiani robot dalle facce inespressive.
Quando ebbero percorso un centinaio di metri si fermò, rendendosi conto che Lissa si era calmata, e rimasero un momento fermi davanti a una teca contenente ampolle e piccoli vasi romani di vetro iridescente, con elaborati manici a spirale. Lei si voltò a guardarlo, disfatta, bagnata di sudore, e gli si aggrappò addosso, appoggiandogli la guancia al petto. La sua ansia si stava decisamente calmando, ma era ancora sconvolta.
Alla fine disse: — È stato spaventoso. Una delle esperienze peggiori. Erano una dozzina e parlavano tutti assieme, ciascuno dentro il mio cervello. E la mia testa si gonfiava, si gonfiava, fino a scoppiare.
— Stai meglio adesso?
— Non li sento più. Ma gli echi nel cervello… i rumori… Sai, vorrei potermene andare dall’intera razza umana. Su qualche pianeta gelato. Su qualche luna di Giove. E viverci tutta sola, in una cupola di plastica. Anche se probabilmente sentirei i disturbi statici fin lassù. Menti che trasmettono attraverso lo spazio. Riesci a immaginarti cosa significa non poter mai stare veramente soli, Paul? Non sapere mai quando la tua mente si sta trasformando in una radio ricetrasmittente? — Fece una risata fredda. — Ehi, è buffo. Io parlo a te di star soli. Tu che hai un fantasma piazzato dentro la testa. Sei combinato peggio di me. Paul e Lissa. Lissa e Paul. Che bella coppia di storpi che siamo!
— In qualche maniera ce la caveremo.
— Scommettiamo?
— Possiamo trovare aiuto, Lissa.
— Sicuro che possiamo. E lui ti ucciderà se ti avvicini a meno di un chilometro dai tuoi dottori. E nessuno può curarmi senza ridurre il mio cervello a un hamburger. Ma possiamo trovare aiuto, sicuro. Mi piacerebbe avere un po’ del tuo ottimismo, ragazzo. — Indicò. — Possiamo prendere quella scala. L’Incubo Numero Sedici ci aspetta.
Salirono al primo piano. Un corridoio pieno di porcellane cinesi e di bassorilievi assiri; poi una sala di miniature persiane e una di porcellane iraniane; gallerie dopo gallerie di tesori arcaici, e sbucarono alla fine in un cubo di plastica trasparente che sporgeva a sbalzo dal retro dell’edificio, sopra il verde avvizzito di Central Park. L’ala dell’arte moderna.
C’era folla. Macy guardò nervosamente Lissa, temendo che precipitasse in un altro abisso telepatico, ma sembrava controllata. Lo guidò lungo metri di quadri colorati, sculture, aggeggi ticchettanti e poster danzanti e specchi metabolici e liquosfere, e tutto il resto.
A sinistra. Un respiro profondo. Una piccola stanza, senza porta: solo un ingresso circolare. Sopra l’ingresso, in lettere dorate a rilievo: antigone 21 di nathaniel hamlin. Gesù. Un’esposizione privata, tutta per lui. Quello che gli era sembrato un semplice ingresso circolare era in realtà una porta pressurizzata invisibile, che proteggeva il capolavoro fornendogli il suo habitat ambientale e psicologico. Entrarono. Non avvertirono alcuna sensazione superando la soglia: dall’altra parte era solo più fresco, l’aria pungente, piena di ioni vaganti. Un lieve odore chimico. Un basso ronzio.
— È questa — disse Lissa.
Dieci o dodici persone erano assiepate intorno a essa; Macy non riusciva a vedere. Lissa gli si era aggrappata a un braccio, tesa. La sua tensione filtrava fino a lui, un’emanazione mentale a un passo dalla paura. Lui si sentiva allo stesso modo. Il gruppo di spettatori si allargò, e come attraverso uno squarcio fra le nuvole, Macy vide l’Antigone 21 di Nathaniel Hamlin.
Una figura femminile nuda, più grande della realtà. Inconfondibilmente Lissa, ma non c’era alcun pericolo che qualcuno nella stanza si volgesse dalla statua radiosa alla ragazza smunta e svuotata, e le collegasse fra di loro. Un corpo pieno e sodo. I seni più alti e pesanti: lo scultore li aveva idealizzati, o Lissa aveva perso peso anche lì? La posa aggressiva e dinamica, la testa gettata all’indietro, un braccio teso, le gambe larghe. Oh pionieri, cose del genere. Forza ed elasticità. Occhi luminosi e fieri. La bocca che non sorrideva, ma quasi. L’intera figura che gridava: posso affrontare, posso sopportare qualsiasi cosa, fatica e avversità, inondazioni e fame, rivoluzione e assassinio; ho resistito e resisterò, sono l’essenza di tutto ciò che resiste. L’eterno femminino. Eccetera.
Ma naturalmente la scultura non era solo un nudo accademico stile diciannovesimo secolo con un tocco sexy, e neppure un monumento sentimentale ai concetti stereotipati della femminilità. Era queste cose, sì, ma era anche una psicoscultura, e ciò significava che si avvicinava alla condizione della vita, era un intero cosmo in se stessa. Faceva dei trucchi. La stanza era programmata per accentuare gli effetti. Impercettibili mutamenti di luce. Quello strano ronzio, proveniente da una batteria di generatori sonici nascosti, controllava l’umore attraverso lo schema delle modulazioni, colpendo chi guardava a qualche livello sotterraneo della loro psiche.
Anche il grado di ionizzazione della stanza cambiava continuamente. E la statua medesima attraversava un ciclo di trasformazioni. Guarda, i capezzoli sono eretti adesso, i seni si sollevano (o è solo un’illusione ottica?), gli occhi sono quelli di una donna in calore. Cosa ne è stato della donna sprezzante e pronta a tutto di tre minuti fa? Adesso stiamo vedendo l’essenza della sessualità. A uno verrebbe voglia di saltarle addosso e scoparla.
Ma ancora cambia. I suoi succhi inacidiscono, i capezzoli si ammorbidiscono: una donna frustrata, una donna respinta. Quanto è amaro quella specie di sorriso. Nasconde dei risentimenti. Nel buio della notte sarebbe felice di castrare il maschio ignaro. Ma la forza dell’odio l’abbandona. Ha paura; sa che ci sono delle domande per le quali non ha risposta; sente i fantasmi della notte sbatacchiare contro la finestra, le ali che colpiscono sempre più forte. Il terrore chiude su di lei la sua mano. È sola, nuda e vulnerabile, neanche lontanamente forte come le piacerebbe che il mondo credesse.
Se adesso venissero ad attaccarla… Ma ciò che viene è l’alba. Una illuminazione. Ritrovare il proprio posto nell’universo, sotto un sole amichevole. Sembra più grande. Più vecchia, anche se non meno bella; voluttuosa, anche se più fredda di prima; padrona di se stessa, senza dubbio. Discendenza di Venere. Una personalità completamente diversa ogni qualche minuto.