Выбрать главу

Lo ammetto, rispose Macy. Era in piedi rigido, fingendo di studiare la scultura. Si chiese quanto tempo fosse trascorso durante il suo colloquio con Hamlin. Cinque secondi? Cinque minuti? Aveva perso il senso delle cose esterne. Concesso che tu eri un genio e io una nullità, cosa dovrei fare?

…Sgombrare il campo.

Facile a dirsi.

…Sì. Non è difficile. Posso farti vedere come. Ti rilassi, abbassi le tue difese, lasci che ti dia il coup de grace. Quindi tu sparisci nel limbo da cui ti hanno tirato fuori, e io posso funzionare come Nat Hamlin, indossando la maschera di Paul Macy. Posso ricominciare a scolpire. Tranquillamente. Finché non faccio del male a nessuno, me la posso cavare.

Faresti del male a me.

…Ma tu non hai nessun diritto di esistere! Sei una finzione, Macy. Non sei una persona reale.

Esisto adesso. Sono qui. Ho sentimenti, ambizioni e paure. Quando mangio una bistecca ne sento il sapore. Quando scopo una ragazza mi piace. Lo sai com’è. Tagliami e sanguino. Sono una persona reale, reale come chiunque sia mai vissuto.

…Come faccio a convincerti che non è vero?

Non puoi. Per me sono reale come chiunque altro lo è per se stesso. Senti, Hamlin, questa non è una questione di logica. Non posso dirti: okay, sei un genio, mi inchino alla cultura, tagliami la testa e prendi il mio posto. È molto meglio così, eccetera eccetera. No. Io ci sono, e voglio continuare a esserci.

…E io allora?

Finisci nel cesso, suppongo. In questo momento sei tu a essere irreale, lo sai? Ufficialmente sei morto. Sei solo un fantasma che si aggira dentro il mio cranio. Perché non compi un gesto nobile? La smetti di incasinare la vita di un essere umano decente e inoffensivo, e ti fai da parte. Sgombra il terreno, come hai detto a me. Abbassa le difese e lascia che ti stenda.

…Non sperarci.

Hai dato abbastanza capolavori al mondo.

…Sono ancora giovane. Sono migliore di te. Merito di vivere.

Il tribunale la pensava altrimenti. Il tribunale ti ha cancellato dal mondo per chissà quali crimini, e…

…Per stupro. Era solo stupro.

Non mi interessa se era per aver riutilizzato francobolli usati. Una sentenza è una sentenza. Non intendo rinunciare alla mia vita per rimediare a quello che tu chiami un errore giudiziario.

…Tu non hai una vita, Macy!

Spiacente. Ce l’ho.

Un lungo silenzio. Macy guardò la scultura, i visitatori, le pareti. Gli girava la testa. La presenza di Hamlin rimaneva manifesta dentro di lui, come una pressione costante, silenziosa, pesante. Alla fine:

…Va bene. Non si arriva da nessuna parte in questa maniera. Fatti un giro per il museo. Proseguiremo la discussione un’altra volta.

La sensazione di Hamlin che mollava. Affondava nuovamente nelle profondità. Plop. Splash. L’illusione della solitudine. Solenne musica di tromboni che sottolineava l’uscita dell’alter ego. Macy era inzuppato di sudore. Stava in piedi a fatica.

Lissa: — Ne hai visto abbastanza?

— Credo di sì. Possiamo andare. Aspetta, lascia che ti prenda per mano.

— Qualcosa non va, Paul?

— Un giramento di testa. — Non riusciva a guardarla. Stringendo le dita fredde della ragazza fra le sue. Passo. Passo. Attraverso la porta invisibile. Fuori, nel corridoio, trovò una panca e si lasciò cadere su di essa. Lissa si affannava intorno a lui, sconcertata. Macy disse: — Mentre guardavo la statua, ho avuto una specie di conversazione con Hamlin. Molto tranquilla. È stato quasi affascinante.

— Che cosa ti ha detto?

— Un sacco di insidiose stronzate. Mi ha invitato a uscire dal nostro corpo, per tenerselo lui. Per via del fatto che lui è un grande artista e merita di vivere più di me.

— Proprio quello che c’era da aspettarsi da lui!

— Appunto. Gli ho detto di no, e lui è tornato nella sua caverna. E adesso mi rendo conto che devo aver usato più energie di quanto credessi.

— Siediti. Riposa.

— È quello che sto facendo.

— E l’Antigone? — chiese lei.

— Incredibile. Mi ha sconvolto. Quasi provo una specie di orgoglio paterno di seconda mano. Voglio dire, sono state queste mani a crearla. Questo cervello. Anche se io non ero lì in quel momento. E…

— No — disse Lissa. — L’hanno fatto queste mani, ma non questo cervello. — Gli batté leggermente le dita sul cranio, con affetto. — Un cervello è solo una massa di formaggio grigio. I cervelli non creano sculture. Le menti lo fanno. E questa non è la mente che ha concepito l’Antigone.

— Me ne rendo conto — le disse rigidamente. I suoi cavilli l’avevano in qualche maniera disturbato. Un segno di lealtà nei confronti di Hamlin, forse. Sentì una punta di gelosia. Era difficile accettare che lei era stata lì, mentre quell’opera veniva creata, aveva posato, era stata presente nelle ore infuocate della creazione, lei e Hamlin, nei giorni prima che Paul Macy nascesse. Pensare a questo lo faceva sentire un intruso nel suo stesso corpo. Quali estasi avevano condiviso Lissa e Hamlin, quali gioie e dolori, quali momenti esaltanti? Lui era escluso da tutti questi eventi. Tagliato fuori dal muro impenetrabile del passato. Altri tempi, un altro io. Ma lei ricordava. Con la fronte aggrottata, osservò i visitatori del museo entrare a gruppi di tre e quattro nella sala di Hamlin. Hamlin ha ragione, pensò cupamente. Non sono niente. Non ho spessore. Non ho passato. Non ho realtà. Alzandosi di scatto disse: — C’è qualcos’altro che vorresti vedere, dal momento che siamo qui?

— È stata una tua idea venire.

— Visto che ci siamo.

— No, niente — disse Lissa. — Niente di importante.

— Andiamo, allora.

— Hai saputo quello che volevi sapere dall’Antigone? — chiese lei.

— Sì — disse lui. — Tutto quello che volevo sapere. E di più. Forse troppo. — Uscirono in fretta dall’edificio usando una porta laterale, nell’ala egiziana.

8

Riemergere alla luce del sole lo fece sentire un po’ meglio. Erano solo le quattro del pomeriggio. Su suggerimento di Lissa andarono a casa sua, in un quartiere periferico; doveva prendere alcune cose, disse. Il sottinteso implicito, era che si sarebbe trasferita da lui. Macy non fece obiezioni. Non poteva dire di amarla, come evidentemente l’aveva amata Hamlin, o anche che fosse sul punto di innamorarsi di lei; ma la precarietà delle loro rispettive condizioni rendeva necessario un trattato di mutua difesa, e vivere insieme era la sistemazione logistica più ovvia. Per il momento, almeno.

Nel tubo che li trasportava verso nord fu allegra, perfino un po’ folle: decisamente su di giri, malgrado la calca dei viaggiatori che li premeva. La sua ESP pareva non operasse in continuazione. Era qualcosa di simile a quello che Hamlin era per lui: andava e veniva, come una marea, ora irresistibile, ora debole e quasi inavvertibile. Quando il demone si impossessava di lei, giungeva sull’orlo del collasso; in altri momenti, come quello, era vivace e spumeggiante. E tuttavia si avvertiva una tensione latente nella sua allegria. Come se temesse che da un momento all’altro la sua sensibilità telepatica si riaccendesse, lì nel tubo, e la facesse ripiombare nel delirio.

Il suo appartamento era deprimente: una stanza tetra, in un edificio vecchio, in una zona dimenticata della città. Come in un romanzo di Dickens. Storpi, zoppi e ciechi infestavano le strade, bambini sporchi dappertutto, vecchie donne grasse, giovinastri dall’aria di tagliagole, cani, gatti, grida e urla, risate sguaiate da dietro le porte. Un odore diffuso di urina e di spezie esotiche. Non era solo il ventesimo secolo a sopravvivere lì, ma soprattutto il diciannovesimo. Il rimbombare degli apparecchi olovisivi lungo i corridoi sembrava un anacronismo.