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Salirono a piedi cinque piani. Non che si aspettasse di trovare pozzi di salita, in quel tipo di casa, ma si poteva almeno sparare che datassero dall’epoca degli ascensori. A quanto pareva no. Perché Lissa viveva lì? Perché non in una delle cooperative del popolo, che almeno erano pulite, e di sicuro non costavano di più? Preferiva quel posto, gli disse. Non riuscì a seguire le spiegazioni che farfugliò, ma era qualcosa che aveva a che fare con i materiali delle pareti: forse voleva dire che in un edificio vecchio come quello le emanazioni telepatiche dei vicini non la disturbavano come fra le mura sottili di una coop.

Entro quello squallore, si era ritagliata un nido altrettanto squallido. Una stanza quadrata, dal soffitto alto, con mobili goffi, tende rappezzate, utensili semplici. Una piccola unità di cottura macchiata, una ghiacciaia al posto di un vero frigorifero. Non vide servizi. Tutto quanto in disordine. Lissa non era il tipo della donna di casa. Il letto disfatto, le lenzuola con una mezza dozzina di strati di macchie giallastre (questo lo impensierì: poteva indovinare l’origine delle macchie), e libri sparsi dappertutto: sul davanzale, sul pavimento, perfino sotto il letto.

Così era una lettrice. Interessante. Si poteva giudicare il carattere di una persona dalle sue letture.

Macy si rese conto di conoscere Lissa a malapena. Cosa poteva dire di lei? Che sembrava piuttosto intelligente, ma non aveva dato segni di possedere interessi intellettuali, fino a quel momento; che se la cavava discretamente bene a letto (per quanto poteva giudicare, data la natura sintetica delle sue passate esperienze); che un tempo era stata strettamente associata a un importante artista contemporaneo. Punto. Aveva ricevuto un’educazione? Aveva avuto una carriera sua, delle mete nella vita, abilità, talento? Una modella è solo un simbolo, una forma, un insieme di curve e di superfici; Hamlin era un uomo troppo complicato per essersi innamorato di lei semplicemente come modella, perciò doveva esserci qualcosa sotto l’esteriorità, doveva possedere una sostanza interiore, doveva aver fatto qualcos’altro al mondo, oltre ad aver posato per Nat Hamlin. Perlomeno fino al momento in cui le sue tempeste interiori non l’avevano costretta a rifugiarsi in quel posto orribile.

Ma non sapeva nulla di lei. Aveva viaggiato? Aveva una famiglia? Sogni di diventare lei stessa un’artista? Forse i suoi libri avrebbero potuto svelargli qualcosa. Cercò di fare un inventario della sua biblioteca, mentre lei si dava da fare a raccogliere le sue cose.

Si trovò immediatamente in difficoltà: lui stesso non era un lettore, aveva solo dato una scorsa a qualche romanzo popolare durante la sua permanenza al Riab, e qualsiasi cosa avesse letto Hamlin, ammesso che avesse letto, era naturalmente sparito dalla mente di Macy. Lui aveva solo l’illusione di una familiarità con la letteratura. Il dottor Brewster, il letterato del Centro, aveva programmato in lui riassunti nebulosi e immagini slegate, e perfino la sensazione fisica di certi libri, per cui sapeva chiaramente che l’Iliade era un grosso volume arancione con le pagine color crema ed eleganti lettere arrotondate. Ma di cosa parlava? Una guerra di tanto tempo fa. Una lite circa una donna. Orgogliosi capi barbari. Chi era Omero? Era vissuto prima di Hemingway? Gesù, era proprio ignorante!

È così, esaminando le pile di libri di Lissa, non riuscì a raggiungere alcuna conclusione, a parte che lei sembrava leggere (o almeno possedere) un sacco di romanzi, spessi tomi dall’aria seria, e che circa un quinto erano opere di biografia o di storia; niente argomenti leggeri o frivoli. Doveva essere una persona più complessa di quanto gli si fosse rivelata fino a quel momento. A chiunque, per quanto stupido, poteva capitare di comprare un libro qualche volta, ma Lissa se ne era circondata, il che faceva supporre in lei una fame psichica di conoscenza.

Cercò di ritoccare l’immagine mentale che aveva di lei, rendendola meno ragazzina abbandonata, bisognosa di aiuto, piagnucolante vittima delle circostanze, e più un individuo dotato di autonomia e ambizioni, e una sfera di interessi. Ma aveva ancora delle difficoltà a vederla come qualcosa di più che una parte dell’arredo dello studio di Nat Hamlin, o come una miserevole vittima della moderna vita urbana. Lei si rifiutava di acquistare vita come un essere umano autentico e pienamente operativo.

Forse è perché non capisco molto bene gli esseri umani, essendo così nuovo del mondo, pensò. O forse uno dei dottori mi ha riempito la testa dei suoi arcaici atteggiamenti verso le donne… Gomez, per esempio, le vede solo come estensioni e pallidi riflessi degli uomini con cui vivono? Meri ammassi di confuse emozioni e di reazioni imprecise. Ma esse non si limitano a passare da un avvenimento all’altro, lasciando che le cose succedano. Non si dimenticano di uscire dal letto, se nessuno glielo dice. Le donne hanno una loro personalità. Sono certo che è così. Deve essere così. E una personalità interessante. Degli scopi che vanno al di là della mera sopravvivenza, mangiare, scopare, i bambini. Allora perché mi sembra così vuota? Devo cercare di conoscerla meglio.

Lissa stava riempiendo con le sue cose una grossa valigia verde, malconcia. Vestiti, ninnoli, una dozzina di libri. Qualcosa di largo e piatto, forse un album di disegni. Una cartelletta con vecchie lettere e carte. Alla fine, ci infilò altri cinque libri.

Una serata tiepida, una notte mite. Cenarono in una trattoria a pochi isolati da casa di Macy. Poi, a casa: una paio di oro, quattro chiacchiere, a letto. Nessuna scarica telepatica a tormentarla. Nessuna apparizione di Hamlin a disturbarlo. Erano liberi di dedicarsi alle reciproche intimità senza distrazioni, ma non lo fecero. Parlarono girando intorno ai loro guai, senza affrontare direttamente i problemi. Lui apprese con sorpresa che lei non aveva ancora venticinque anni, quattro o cinque meno di quanto avesse pensato. Nata a Pittsburgh. Il padre era uno scienziato, la madre esperta in dinamica delle popolazioni. Buoni geni. Sembravano tipi accettabili. Lissa non li vedeva da anni. Era venuta a New York a diciassette anni per studiare arte. (Aha!) Aveva anche pensato di scrivere romanzi. (Ahahaha!)

La svolta nella sua vita era stata il 15 giugno 2004, all’età di diciotto anni, quando aveva incontrato il famoso artista Nathaniel Hamlin. Si era innamorata follemente di lui. Lui non si accorge neanche di lei, le sembra (la scena è una festa di facoltà della Art Student’s League, tutti quanti ubriachi fradici, Hamlin, conferenziere ospite o qualcosa del genere, che faceva la corte a tutte le ragazze carine).

Ma una settimana dopo le telefona. Posso offrirti da bere? Una passeggiata nel Central Park? Naturalmente. Lei è terrorizzata. Spera che l’accetti come allieva privata. Vorrebbe portarlo nel suo appartamento (non quello che occupa adesso) e fargli vedere i suoi disegni. Non osa. Una casta passeggiata estiva.

In seguito, è sicura che lui l’ha trovata troppo banale, troppo adolescente, e invece no, le telefona di nuovo, esattamente sette giorni dopo. Che giorni felici. Vorresti vedere il mio studio? A Darien, Connecticut. Non ha idea di dove si trovi Darien. La viene a prendere lui, nessun problema. Una lunga macchina affusolata. Guida lui stesso. Ha portato con sé la cartella dei suoi disegni, non si sa mai. Lui la porta in una sfarzosa residenza di campagna, un posto incredibile: piscina, torrente, stagno pieno di pesci rossi mutanti dai colori improbabili, una grande casa di pietra con annesso studio medio-grande.

Salta fuori che lui non è interessato a lei come artista: la vuole come modella; ha in mente un progetto ambizioso, per cui lei sarebbe perfetta. Lissa è impressionata. La sua cartella giace dimenticata in auto. Ho bisogno di vedere il corpo, dice lui. Certo. Certo. Si spoglia: camicia e pantaloni. Aveva evitato di indossare biancheria intima quel giorno. La studia con attenzione. Oh, Dio, ho il sedere troppo piatto, le tette troppo grosse, o forse non sono grosse abbastanza. Invece no, lui le fa i complimenti: un bel sederino sodo, belle curve, può andare, può andare.