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E tutto questo senza il minimo segno da parte di Hamlin nelle ultime diciotto ore. Questa doppia esistenza, questa occupazione clandestina delle regioni inferiori del suo cervello, gli stava corrodendo la faccia, trasformandolo in un’insegna ambulante di sofferenza. Per forza erano tutti gentili con lui quel giorno; potevano vedere i segnali del collasso imminente scritti sulla sua fronte.

Tuttavia si sentiva relativamente rilassato? Che aspetto doveva avere quando Hamlin era vicino alla superficie e lo incalzava. Macy provò a lanciare un segnale. Hamlin? Hamlin, sei lì? Il mio brutto sogno permanente. Fatti vedere. Facciamo quattro chiacchiere.

Ma no: tutto tranquillo sul fronte cerebrale. Sentendosi offeso, Macy si diede da fare per riparare la sua faccia. Si spogliò a torso nudo e infilò la testa sotto il getto dell’aria calda. Rilassa i muscoli, spiana la fronte. Un po’ di umidità, maestro. Ah. Ah. Una stupenda sensazione tattile. Adesso infila la testa nel lavandino a vortice. Gira gira gira, giù giù giù, trattieni il fiato e lascia che l’acqua meravigliosa operi la sua magia. Ah. Ah. Splendido. Ancora l’aria calda per asciugarsi. Adesso ingoia un tranquillante, fumati una oro. Scruta la mappa. Meglio, molto meglio. La tensione si sta allentando; per fortuna: non ti avrebbero lasciato apparire davanti a una telecamera così conciato.

Macy stava ancora sistemandosi, rivestendosi, quando Fredericks entrò nel bagno. Una sonora risata: oh oh oh. — Ti ho interrotto in un momento di relax, Paul?

— No. Ormai sono già rilassato. Mi sento molto meglio.

— Ci siamo preoccupati quando hai telefonato, ieri.

— Soltanto lo stomaco in disordine, nient’altro. Adesso sto molto meglio. Vedi? — Sorrise a Fredericks con la sua faccia restaurata. — Ti ringrazio per la sollecitudine, ma ho la pelle abbastanza dura, Stilton — aggiunse con riluttanza. Che accidente di nome da portarsi dietro. Fredericks si dedicò allo svuotamento della sua vescica. Macy uscì, impegnandosi a sembrare tranquillo. Lo sforzo dovette sortire i suoi effetti, perché la gente smise di coccolarlo.

Alle due e mezzo prese in mano il copione della giornata, proiettò il video quattro o cinque volte, ripassò l’audio. Una notizia di due minuti sull’incoronazione in Etiopia: folle acclamanti, leoni che marciavano in catene per le strade, un angolo del quindicesimo secolo che faceva capolino nel ventunesimo.

Macy si chiese come se la cavava ad Addis Abeba il signor Bercovici, colui che l’aveva scelto al Centro Riab per quel lavoro. Era forse quell’uomo ai bordi della folla, registrato dal fedele occhio volante, quella faccia bianca e grassoccia fra le facce scure dai lineamenti aquilini? Già sparito; probabilmente era solo il console del Sud Africa, o chissà chi. Macy diede un tono nobile alla sua voce fuori campo. "Fra la pompa e lo sfarzo di un impero orientale, il principe Takla Haymanot è diventato oggi Leone di Judan, Re dei Re d’Etiopia, Sua Eccellenza il Negus Lebna Dengel II, ultimo monarca di una dinastia che discende da re Salomone stesso…" Stupendo.

Poi a casa da Lissa, sotto la pioggia.

Lei era a letto, leggeva, con addosso una vestaglia verde, stracciata, che sembrava abbastanza vecchia da essere una di quelle della regina di Saba, senza niente sotto, i capezzoli bruno-rosati che sbucavano fuori. Una rapida occhiata, e Macy capì, come se avesse ricevuto un messaggio telepatico, che lei aveva avuto una brutta giornata.

La sua faccia aveva quell’espressione cupa, imbronciata; i capelli erano spettinati, un groviglio color castano dorato; l’odore rancido di sudore asciugato impregnava l’aria della camera da letto. Macy provò una strana sensazione di vita domestica: il maritino che torna a casa da una giornata di duro lavoro in ufficio, la moglie trasandata che si appresta a raccontargli i piccoli guai giornalieri.

Lissa gettò da parte il libro e si sedette. — Cristo — disse. La sua esclamazione favorita. — Una giornata di merda. Tempo schifoso dentro e fuori.

Lui si tolse le scarpe. — Brutta?

— Un coro spaventoso in testa. — Alzò le spalle. — Non parliamone. Avevo intenzione di prepararti una bella cenetta, ma non ho trovato la forza. Potrei preparare qualcosa di rapido.

— Andremo fuori a mangiare. Non preoccuparti. — Si tolse la giacca. Quindici secondi di aria morta. Malgrado Lissa avesse detto che non voleva parlare della giornata, sembrava in attesa che lui le facesse delle domande. Macy evitò l’esca. Era stanco e inquieto lui stesso; forse era Hamlin che stava ricominciando ad affiorare.

La guardò. Lei guardò lui. Il silenzio si protrasse, fin quando non ebbe raggiunto una presenza quasi tangibile. Poi Lissa parve smorzare la tensione; staccò qualcosa dentro se stessa e si lasciò andare contro il cuscino, affondando in quel suo mondo di meditazione in cui viveva per metà del tempo.

Macy si procurò una birra. Quando tornò nella camera da letto, lei era ancora lontana anni-luce. Gli venne un’idea curiosa: che se non avesse preso contatto con lei in qualche maniera, immediatamente, l’avrebbe persa del tutto. La sua chiusura lo irritava, ma superò l’irritazione, e avvicinandosi al letto tirò indietro la coperta per accarezzarle la coscia nuda. Un gesto gentile, quasi d’amore. Lei parve non accorgersene. Le appoggiò la birra fredda alla pelle. Un sibilo. — Ehi!

— Volevo solo scoprire se c’eri ancora — disse.

— Molto divertente.

— Cosa ti succede, Lissa? — La domanda l’aveva fatta, finalmente.

— Niente. Tutto. Questa pioggia di merda. L’aria qui dentro. Non so. — Un momento di follia nei suoi occhi. — Ho captato rumori tutto il giorno, nella testa. Tu e Hamlin, Hamlin e tu. Come una traccia radioattiva nell’aria. Non avrei dovuto venire qui.

— Non è possibile che tu capti gli impulsi telepatici di qualcuno che non è neppure nella stanza!

— No? Come fai a saperlo? Non ne sai niente di niente. Forse le tue onde ESP impregnano la pittura, il legno. E mi ritornano indietro per tutto il giorno. Non cercare di dirmi quello che io ho sentito. Voi due continuate a rimbalzarmi addosso dalle pareti, bam, bam, bam, ora dopo ora. — Queste frasi dure vennero pronunciate in un tono piatto, assente. E alla fine del suo discorso, Lissa staccò di nuovo la spina.

— Lissa?

Silenzio.

— Lissa?

— Cosa c’è?

— Ricordati che sei stata tu a cercarmi. Te l’ho detto che non era bene per noi stare insieme. E tu hai detto che avevamo bisogno l’una dell’altro, giusto? Perciò non prendertela con me se non funziona bene.

— Mi dispiace. — La scusa non sincera di una bambina.

Un altro silenzio.

Cercò di giustificare l’umore di lei. Tutto il giorno rinchiusa in casa. La pioggia, ioni ostili nell’aria. Forse aspettava le mestruazioni. Una donna ha diritto di rompere le palle qualche volta. Comunque, non era necessario che lui sopportasse. Se c’era troppo rumore telepatico lì, poteva tornarsene nel suo porcile.

— Ho sentito — disse lei.

— Oh, Gesù!

— Le mestruazioni mi devono arrivare fra una settimana. E se vuoi che torni nel mio porcile, dimmelo chiaro e tondo, e faccio subito la valigia.

— Leggi sempre nella mia mente?

— Non in questa maniera. Quello che ricevo in genere è un segnale confuso che posso identificare come tuo, e un ronzio diverso che è lui, ma di solito nessuna parola distinta. Questa volta invece è stato perfettamente chiaro. Davvero sto rompendo le palle?