— Non sei molto divertente — disse lui.
— Neanch’io mi sto divertendo molto.
— Cosa ne dici di una doccia? E poi una buona cena. — Cercando di rimediare. — Una cena elegante, in centro. Va bene? — Come per consolare un bambino ammalato. Aveva sentito anche quello?
Apparentemente no. Si alzò, togliendosi la vestaglia. Senza cercare di camminare dritta, le spalle cadenti, i seni penzolanti, la pancia spinta fuori. Si infilò nella doccia. Be’, tutti abbiamo i nostri giorni negativi. Rumore di acqua. Poi la sua testa che si infilava nella camera da letto.
— A proposito — disse. — Questa mattina ha telefonato il Centro Riab.
Macy alzò gli occhi e nello stesso istante Hamlin si svegliò e fece qualcosa al suo cuore, qualcosa di rapido e doloroso, che gli fece spalancare la bocca e stringersi una mano al petto.
— Ho detto che ha telefonato il Centro Riab…
— Ho sentito. — Macy tossì. — Aspetta un secondo. Hamlin in azione. — Lanciò un pensiero furente verso il fondo. Lasciami stare. Sparisci. Il dolore si attenuò. Macy disse: — Chi era?
— Una dottoressa, con un nome italiano.
— Iannuzzi.
— Quella. Voleva sapere perché non ti eri fatto vedere per la terapia, ieri. Dopo aver chiesto un appuntamento anticipato eccetera.
— Che cosa le hai detto?
Vide brillare la speranza. La sua precedente identità è riemersa, e sta cercando di impadronirsi di lui, dottoressa Iannuzzi. Una battaglia tremenda è in corso dentro di lui. Oh, veramente, signorina Moore? Molto strano. Ma possiamo sistemare tutto, naturalmente. Avremo la nostra unità mobile ego-distruttrice sul posto alle sette in punto. Tre rapide scariche di raggi della macchina egotronica, lanciati dalla strada, e sarà la fine del signor Nat Hamlin una volta per tutte, oh sì, oh sì. Dica al signor Macy di non preoccuparsi. Grazie per avermi informata, signorina Moore.
Lissa, molto lontana. Come in sogno. Macy ripeté, più forte: — Che cosa le hai detto?
— Non le ho detto niente.
— Cosa?
— Mi ha chiamato in un brutto momento. Non so neanche perché ho risposto. Non sono riuscita a capire bene che cosa volesse, se non in seguito.
— Allora hai riappeso e basta?
— No, qualcosa ho detto. Ho detto che non sapevo bene perché non fossi andato all’appuntamento. O dov’eri in quel momento. — Un’alzata di spalle. — Credo di essere stata un po’ confusa.
— Gesù, Lissa, hai avuto un’occasione per aiutarmi e l’hai lasciata sfumare! Avresti potuto raccontare l’intera storia!
Lei disse: — Non mi hai detto che Hamlin ha minacciato di ucciderti se facevi entrare in gioco il Centro Riab?
— Infatti. Ma lui non l’avrebbe saputo se tu avessi raccontato loro la storia mentre io ero al lavoro. Era l’occasione perfetta. E l’hai fatta sfumare. L’hai fatta sfumare.
— Mi spiace. — Ma non tanto.
— Se telefonano di nuovo, farai le cose per bene?
— Cosa vuoi che gli dica?
— Tutta la storia. Che Hamlin è tornato. E specialmente che ha detto che fermerà il mio cuore se mi avvicino a un Centro Riab. E che fa sul serio. Che ero partito per venire da loro, ma mi ha bloccato alla stazione di Greenwich. Non ti dimenticherai di questo?
— Forse dovresti chiamarli tu stesso.
— Ti ho detto che non posso. Hamlin controlla tutto quello che dico o penso. Nel momento in cui sollevassi il telefono allungherebbe le sue sgrinfie sul mio… — Gesù! Un’altra stretta al petto. Dita appiccicose e invisibili che strizzavano l’aorta. Un colpo di tosse. Un ansito. Una lenta ripresa, fra i brividi. Lissa che guardava, senza mostrare particolare preoccupazione. — Ecco — disse Macy alla fine. — L’ha appena fatto. Per farmi sapere che è sempre pronto.
— Ma a cosa serve comunicarglielo, dal momento che ti ucciderebbe se cercassero di aiutarti?
— Per lo meno lo saprebbero. Forse hanno un sistema per risolvere situazioni del genere a distanza. Forse possono prenderlo di sorpresa. Hanno i loro trucchi. Non può far male informarli di quello che è successo. A condizione che si rendano conto di quali sono i rischi per me. Non ti dimenticherai di questo?
— Se chiamano — disse Lissa vagamente — cercherò di raccontare tutto. Cercherò. — Non ne sembrava molto sicura.
Durante la notte, episodi frammentari di quasi-incubi, notiziari scivolosi trasmessi dal sottosuolo psichico. Momenti stranamente poco paurosi da un passato non ricordato che arrivavano al ponte superiore per l’ispezione e l’illuminazione del dormiente. Scene bucoliche: l’arresto, l’accusa, il centro di detenzione, il tribunale, il processo, il verdetto, la sentenza. Tenete giù quelle fottute mani, vi ho detto che vengo da solo!
Luci che lampeggiavano nei suoi occhi. Una telecamera volante che praticamente gli toccava il naso. Spettatori in tutto il mondo che si godevano lo spettacolo. Guardate il famoso autore di atti abominevoli! Osservate la giustizia trionfare! Morte ai nemici della castità! Una giuria di venti onesti e fedeli computer.
Giuratedidirelaveritàtuttalaveritànient’altrochelaverità. Logiurologiurologiuro. Guardate le testimoni singhiozzanti. Osservate le loro facce ossessionate, vendicative! Quali ricordi di oscene violazioni bruciano nelle loro anime? Si, è lui, è quell’uomo! Lo riconoscerei ovunque. L’aula silenziosa. Vostro onore, chiedo il permesso di presentare come prova la registrazione su nastro dell’intrusione dell’accusato nella casa di Maria Alicia Rodriguez la notte del.… Luci rosse si misero a lampeggiare sul banco degli avvocati. Obiezione! Obiezione! Un momento di trambusto. Obiezione respinta. L’accusa può procedere.
Sullo schermo a parete appare l’accusato, intento allo stupro. Se avesse saputo che recitava per una telecamera, l’avrebbe fatto in maniera molto più elegante. Sul davanzale, op! Forzare la finestra. Le mani fredde; tempo da cani. Sì. Dentro. La vittima tremante. E la telecamera si abbassa per prendere una buona inquadratura. Se erano così preoccupati della castità, perché gli hanno lasciato consumare lo stupro? Una buona domanda per la vittima. Ma naturalmente era stato registrato tutto automaticamente; soltanto più tardi qualcuno si era reso conto che l’occhio volante aveva colto lo stupratore folle all’opera. Bianche cosce che brillavano alla luce della luna. Intricato cespuglio nero, quasi blu. Dentro. Dentro. Wham!
Fate alzare l’imputato. Nathaniel James Hamlin, avete sentito il verdetto dei vostri pari. Questa corte vi dichiara colpevole di undici aggressioni aggravate, quattordici violenze carnali, cinque sodomie di terzo grado, sette danneggiamenti psichici irrecuperabili, diciassette violazioni dei doveri coniugali, sette atti osceni di primo grado, nove, undici, sedici.
Il dormiente diventa inquieto. Proviamo a rivolgere la nostra attenzione a tempi più felici. L’artista al lavoro nel suo splendido studio, cascate di luce primaverile si riversano attraverso la grande finestra. Sta abilmente costruendo l’armatura per l’ultimo capolavoro. Per prima viene una visione complessiva, capite, il senso dell’opera come totalità, senza di cui è impossibile cominciare. Questo vi colpisce come un fulmine, e se arriva in qualche altra maniera, non fidatevi. Dopo, è solo questione di sgobbare, di fare un sacco di saldature. Non me ne occuperei, non fosse che devo farlo. È il primo momento, la luce bianca che cade dal cielo, che giustifica tutto.
Ma naturalmente qualsiasi testa di cazzo può dire di avere un’ispirazione. È in grado di realizzarla? Io sì. Innanzi tutto bisogna costruire l’armatura, il che significa che uno deve armeggiare con relè e solenoidi e connettori e deviatori e porte-nexus e tutta quella roba. Si calcola l’atmosfera desiderata. Un computer ti fornisce le tavole di ionizzazione, ma uno deve fare le correzioni da solo, a intuito. Poi l’illuminazione. Poi si mette la pelle. Nel corso di tutta la faccenda, non bisogna mai perdere di vista l’impulso iniziale, che è in primo luogo una questione di forma, della fottuta forma effettiva del pezzo, e in secondo luogo di visione psicologica, di quel particolare movimento dello spirito che uno vuole esprimere. Adesso ne sapete altrettanto dei miei metodi di lavoro quanto me. Se volete saperne di più, comprate una delle mie opere e fatela a pezzi.